Il Movimento delle donne libere (TJA) condanna fortemente la decisione di Erdogan di ritirare la firma alla Convenzione di Istanbul, che tutela le donne contro la violenza.
Il Movimento delle donne libere (TJA) condanna fortemente la decisione di Erdogan di ritirare la firma alla Convenzione di Istanbul, che tutela le donne contro la violenza, ed è al fianco di tutte le donne che hanno riempito le piazze e di tutti gli insorti che hanno festeggiato il Newroz.
“ALLA STAMPA E ALL’OPINIONE PUBBLICA
ERAVAMO, SIAMO E SAREMO
Ricordiamo che il potere maschile ha alimentato la propria esistenza sfruttando la violenza sulle donne e la distruzione dei diritti di tutti gli oppressi, ma c’è qualcosa che dimentica e non tiene in conto: che la storia delle donne e dei popoli oppressi, che resistono con la forza, con l’intelligenza e con le lotte, insegna che essi non permetteranno mai alla schiavitù di rimanere, come la mentalità dominante vorrebbe ancora oggi.
Le donne e gli uomini oppressi non hanno accettato l’alienazione, la resa e la cultura dello stupro e continueranno a resistere per tutta la loro esistenza, difendendosi da questa mentalità e sventolando la bandiera della libertà.
Le donne non hanno lasciato le piazze e le strade, dove risuona il loro slogan “EM XWE DIPAREZIN” (“Ci difendiamo”).
Sono le donne che affollano le strade e le piazze con il motto “La Convenzione di Istanbul ci tiene in vita”, contro l’annullamento illecito della Convenzione, preparata con grande impegno e diligenza, e sono le stesse donne e i prigionieri ribelli che espongono i loro corpi fino alla morte per rompere l’isolamento assoluto e garantire la propria libertà.
Queste donne ribelli salutano tutte le altre donne che hanno gridato “BIJÎ 8Ê ADARÊ” (“Viva l’8 marzo”) con grande entusiasmo e determinazione nelle piazze del mondo, con lo slogan “Difendiamo la vita dall’isolamento contro il massacro delle donne” l’8 marzo.
Commemoriamo con grande gratitudine coloro che furono un ponte di fuoco [si fa riferimento a chi si diede fuoco a Newroz, ndt], le Sema [nome di una martire per la libertà, ndt], che lottarono con grande sacrificio nella nostra storia per la libertà. Per difendere la propria esistenza, le donne di tutto il Kurdistan sollevano la bandiera della libertà e, in particolare, il fuoco del Newroz, che ricorda a tutte noi che siamo presenti come donne e giovani che salutano tutto il popolo della Turchia.
Mentre si intensifica il bombardamento da parte dell’Esercito Nazionale Siriano (NSA) supportato dalla Turchia nell’area di Ain Issa, a sud di Tel Abyad, molti civili rimasti nella zona di conflitto sono stati costretti a fuggire.
Mentre si intensifica il bombardamento da parte dell’Esercito Nazionale Siriano (NSA) supportato dalla Turchia nell’area di Ain Issa, a sud di Tel Abyad, molti civili rimasti nella zona di conflitto sono stati costretti a fuggire, circa 9600 persone. 38 persone sono state ferite a causa del bombardamento indiscriminato e almeno 8 persone sono morte. Alcuni corpi devono ancora essere recuperati da sotto le macerie.
Testo dall’Ufficio delle Organizzazioni ad Ain Issa:
“A partire dal 15/12/2020, le sofferenze delle persone ad Ain Issa e nei villaggi circostanti sono aumentate a causa dell’intensificarsi degli attacchi delle organizzazioni armate supportate dallo Stato turco, che raggiungono le dimensioni di un disastro umanitario. Specialmente ora, nella stagione invernale, molte persone abbandonano i propri villaggi e le proprie case, lasciandosi dietro tutti i propri averi, andando verso villaggi lontani dalle linee di combattimento e dal raggio d’azione di indiscriminate bombe turche, con la speranza di poter tornare poi alle proprie case, terreni e proprietà.
Un enorme numero di residenti locali è recentemente stato sfollato, specialmente da villaggi sulle linee di combattimento come Al-Jahbl, Mashraqa, Ain Issa, al-Hayy, al-Sharqi, in aggiunta ai villaggi a ovest di Ain Issa, spaventati dalle mobilitazioni dello Stato turco, che minacciano i loro villaggi con improvvise rappresaglie.
Durante il recente avanzamento, l’Ufficio degli Affari Umanitari ha monitorato gli attacchi lanciati dall’occupazione turca e dai suoi mercenari dal 15/12/2020 contro i villaggi del confine orientale della città di Ain Issa, che hanno causato ai residenti sofferenze, evacuazione e deportazione dalle loro terre. I dati erano come segue:
1- I villaggi della zona orientale sono stati danneggiati, in seguito al recente attacco lanciato dall’occupazione turca, in particolare:
A- nel villaggio di Al-Jahbel, il numero di famiglie assediate è 30, il numero di famiglie sfollate è 25, ovvero circa 120 persone; il numero di martiri è 4, due fratelli sono sotto le macerie e 8 persone sono ferite. Per fuggire scelgono le aree dell’Amministrazione Autonoma, dove sono fuggiti verso la città di Al-Hisha e hanno alloggiato in terreni agricoli, a causa della mancanza di ripari dovuti all’evacuazione precedente, nel mese di ottobre (l’inizio degli attacchi).
B- nel villaggio di Al-Mashraqa, il numero di famiglie sfollate è 34 (155 persone), gli sfollati sono andati nella città di Al-Hisha, nell’area di Al-Shibl e nel villaggio di Tawila. Consideriamo che i residenti di questo villaggio hanno subito gravi sofferenze per andarsene, a causa del bombardamento indiscriminato e massiccio dal lato turco, senza assistenza delle forze russe.
C- nei quartieri di Ain Issa – Circa 840 famiglie, ovvero circa 6500 persone, sono fuggite dalla città nel corso degli ultimi cinque giorni, verso la città di Raqqa, i villaggi a nord di Raqqa e i villaggi di Ain Issa lontani dalle linee del fronte.
2- I villaggi della zona occidentale sono stati sfollati a causa delle forze turche adiacenti ai villaggi (Debs, Hisham, Khalidiya, Atshana, Rummana, Koberlik, Korek, Qazali, Bir Arab Al-Jarin).
I dati finali dall’inizio degli attacchi a inizio ottobre fino all’ultimo attacco in data 15/12/2020 sono quanto segue:
il numero di famiglie sfollate in totale è 1600 famiglie, circa 9600 persone;
il numero di villaggi colpiti, che sono stati evacuati, 15 villaggi inclusa la città di Ain Issa;
l’evacuazione sta avendo luogo nella direzione dei villaggi confinanti con i villaggi delle persone sfollate e lontano dal raggio del bombardamento, alcune persone partono con la speranza di tornare nei loro villaggi, il resto va verso la città di Raqqa e i suoi villaggi settentrionali e orientali;
il numero di feriti è 38, il numero di martiri è 8.
Il bombardamento continua a colpire i civili sfollati e quelli che attraversano la strada M4 davanti alle forze russe, che hanno smesso di attraversare l’incrocio, senza capacità di aiutare i residenti.
20/12/2020 Ufficio delle Organizzazioni a Tel Abyad – Ain Issa“
Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!
ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO PER LE SUE POLITICHE FEMMINICIDE! 100 MOTIVI PER CONDANNARE IL DITTATORE
La storia recente dell’umanità dimostra che, durante i regimi dittatoriali, si registra il numero più alto di catastrofi. Esempi sono: il Genocidio armeno, la Shoah, i genocidi dei colonizzatori contro le popolazioni indigene in America, nonché i numerosi massacri in luoghi come il Medio Oriente, incluso il Kurdistan. L’umanità ha dovuto affrontare tutti i tipi di genocidi, in particolare negli ultimi due secoli. Secondo la definizione della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, per genocidio si intende “uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, una nazione, etnia, razza o religione, in quanto tale: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri di quella collettività; infliggere deliberatamente certe condizioni di vita al gruppo, calcolate per causarne la distruzione fisica totale o parziale; imporre misure progettate per prevenire le nascite all’interno della comunità; trasferire con la forza i bambini di un gruppo ad un altro gruppo.” La definizione ampiamente accettata di dittatura descrive la monopolizzazione/concentrazione del potere nelle mani di un sovrano per rimanere leader supremo. Queste definizioni, secondo gli standard legali internazionali, offrono una ragione sufficiente per suggerire che Erdogan è un dittatore e, pertanto, dovrebbe essere processato per i suoi crimini. Il dittatore, che funge da presidente della Turchia, ha una mentalità machista, fascista e razzista che prende di mira le donne curde in modo consapevole, pianificato e specifico. In 18 anni di governo dell’AKP, Erdogan è diventato il principale autore di un sistema che si macchia di massacri, omicidi e stupri mirati e sistematici nei confronti delle donne.
Il 29 ottobre 2009, un obice dell’esercito turco ha ucciso la dodicenne Ceylan Onkol mentre stava pascolando le sue pecore. Il 9 gennaio 2013 Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Şaylemez sono state assassinate a Parigi dai servizi segreti turchi. Kader Ortakaya è stata colpita alla testa nel novembre 2014, mentre cercava di attraversare Kobane durante l’assedio di Daesh. La giovane attivista Dilek Doğan è stata uccisa, nella sua casa, dalla polizia il 18 ottobre 2015. Nel dicembre 2015, il corpo di Taybet Inan, una civile uccisa dalle forze armate turche, è stato lasciato marcire per le strade durante il coprifuoco a Silopi. Il 4 gennaio, le attiviste curde Seve Demir, Pakize Nayir e Fatma Uyar sono state massacrate dal fuoco dell’esercito a Silopi sotto l’assedio dell’esercito. Il 12 ottobre 2019, l’attivista e rappresentante politica delle donne curde Hevrin Khalaf è stata uccisa dalle forze islamiste, sostenute dalla Turchia, durante l’operazione di stato turco “Fonte di pace” a Serekaniye (Ras al-Ain) nel nord Siria. Nel giugno 2020, tre attiviste donne curde del movimento ombrello Kongra Star sono state uccise in un attacco di droni turchi contro una casa nel villaggio siriano settentrionale di Helince de Kobane. Purtroppo, potremmo aggiungere molti altri esempi. La violenza contro le donne è aumentata di oltre il mille per cento in Turchia. Lo stupro sta diventando sempre più frequente. Le donne sono sistematicamente escluse dai circoli politici (inclusa la reclusione per impedire di parteciparvi). Tutto questo va aggiunto alla criminalizzazione del lavoro accademico, artistico e professionale. La nostra memoria e la nostra rabbia sono vive perché ogni giorno affrontiamo un nuovo massacro. Abbiamo il coraggio e il potere di giudicare i responsabili, gli autori di questo massacro. Abbiamo ragioni e prove sufficienti per questo. Abbiamo anche abbastanza consapevolezza e capacità di analisi per riconoscere che questi massacri sono tutti crimini di guerra. Come movimento delle donne curde, abbiamo combattuto attraverso campagne, azioni e resistenza contro il femminicidio nel nostro Paese. Con la nostra campagna “100 motivi per condannare il dittatore”, ci ribelleremo contro il principale autore di questi crimini, Recep Tayyip Erdogan. Per essere precisi, nei 18 anni al potere, Erdogan ha commesso non 100, ma migliaia di crimini. Tuttavia, come donne, abbiamo deciso di concentrarci su crimini efferati, per i quali deve pagare affinché la nostra coscienza trovi pace. Non formuleremo una frase del tipo “Il numero di incidenti e morti è impossibile da contare”. In quanto donne, non condanniamo questi crimini solo sulle base delle prove che abbiamo raccolto. Li condanniamo anche alla luce della nostra ideologia, coscienza, posizione e spinte dal bisogno di soddisfare le nostre richieste. Non possiamo accettare che Erdogan sia come gli altri, che sono sempre stati visti come “leader di Stato”, e come “dittatori” solo dopo che i loro crimini di guerra sono stati smascherati o dopo la loro morte. Chiediamo che venga processato adesso. La nostra lista dei crimini commessi da Erdogan è abbastanza lunga e non vogliamo che diventi ancora più lunga. Come Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E), vogliamo raccogliere 100.000 firme per 100 motivi per opporci al dittatore e ai suoi mercenari nell’abuso di potere, e ai militari e alla polizia per violenza e ingiustizia. Nella prima fase della nostra campagna, nei 104 giorni che intercorrono tra il 25 novembre 2020 e l’8 marzo 2021, daremo ogni giorno un altro “motivo”, condividendo le storie delle donne assassinate dallo Stato.
Contro il dittatore, che riesce a commettere nuovi massacri ogni giorno, vi parleremo delle donne assassinate. Vogliamo che entrino per sempre nelle pagine della storia e nella memoria dell’umanità. Le firme che raccoglieremo costituiranno il primo passo per gettare le basi per il lavoro legale, sociale, politico e d’azione che intraprenderemo, con il massimo impegno per perseguitare il dittatore. Nella seconda fase, porteremo le nostre firme e i crimini che registriamo e tutte le prove che raccogliamo all’ONU e ad altre istituzioni competenti per chiedere l’avvio del processo di riconoscimento del femminicidio come crimine simile al genocidio. Il fallimento delle Nazioni Unite nel fare ciò che è necessario incoraggia dittatori come Erdogan, che rappresentano la forma istituzionalizzata della mentalità dominata dagli uomini.
Ogni firma che raccoglieremo rappresenterà un passo in avanti per mettere sotto processo il dittatore, così come ogni voce in più che si alzerà e diventerà azione restringerà lo spazio a disposizione dei dittatori. Puoi aggiungere potere al nostro potere, la tua voce alla nostra voce per eliminare il dittatore dalla nostra vita, prendendo parte a questa campagna su www.100-reasons.org.
ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO per le sue politiche femminicide! 100.000 firme per 100 motivi
Molto tempo fa, l’AKP ha promesso di democratizzare in modo significativo la Turchia, applicare le regole dello Stato di diritto, risolvere questioni interne come la questione curda attraverso mezzi politici, costruire un sistema parlamentare pluralista e democratico, con tolleranza zero per la tortura e nessun problema con paesi confinanti. Per anni, queste promesse hanno accresciuto le aspettative per le urgenti richieste di cambiamento della società. Tra le promesse c’era la lotta al sessismo e all’uguaglianza di genere. Nei 18 anni di governo dell’AKP, la Turchia non solo non è riuscita a mantenere queste promesse, ma ha fatto passi indietro nel tempo in modi senza precedenti. Insieme al suo partner di coalizione, l’ultranazionalista “Partito del Movimento Nazionalista” (MHP), il governo ha istituito un governo dittatoriale/fascista di una sola persona, prendendo il controllo di tutti gli organi statali, eliminando la libertà di pensiero e di espressione, trasformando il sistema giudiziario nel più grande veicolo di ingiustizia nello smantellamento della divisione dei poteri. Il governo di Erdogan usa sconsideratamente tutti le risorse del funzionamento statale contro coloro che si oppongono al suo governo. Cerca di eliminare ogni opposizione attraverso l’omicidio, la prigione, la tortura, lo sfollamento forzato e l’espropriazione. Inoltre, le persone vengono messe a tacere con minacce di licenziamento, intimidazioni e ricatti. A livello nazionale, il governo Erdogan ha trasformato il Paese in una prigione a cielo aperto, un regime di paura con metodi dittatoriali. Parallelamente, lo Stato ha fatto ricorso a aggressioni e ricatti nella sua politica estera oggi più che mai.
Sebbene il governo avesse promesso “zero problemi con i vicini”, il paese ora ha problemi con quasi tutti i suoi vicini nella regione e oltre. Nella sua ricerca dell’egemonia regionale basata sul sogno neo-ottomano, l’AKP conduce guerre in Siria, Iraq e Libia. Usa spesso l’ISIS e gruppi simili come mercenari per l’occupazione. Usa regolarmente il ricatto come parte della sua politica estera per far rispettare la sua volontà (il cosiddetto accordo sui rifugiati con l’UE è un esempio). In questo momento, la Turchia, sotto l’AKP, rappresenta una minaccia e un pericolo per l’intera regione. Siamo consapevoli di questi eventi nella misura in cui sono coperti dalla stampa. Tuttavia, c’è un’altra guerra pericolosa guidata dall’AKP che non viene riportata dai media e che è assente dalle agende mondiali: una guerra femminicida contro le donne! Con la crescente aggressività delle politiche interne ed esterne del governo Erdogan, sono aumentate anche le politiche femminicide. Con le sue politiche femminicide, l’AKP sta anche conducendo una politica “societicida”, di uccisione della societá. Il fascismo, come il sistema più profondamente dominato dagli uomini, può continuare la sua esistenza solo approfondendo lo stato di colonizzazione delle donne. La Turchia è il Paese con il maggior numero di prigioniere politiche. Durante il governo dell’AKP, la violenza contro le donne è aumentata del 1400%.
L’esplosione di femminicidi e violenza contro le donne non è una coincidenza, né è scollegata dalle politiche statali. Nelle regioni sotto l’occupazione dello Stato turco, le donne vengono rapite, violentate, vendute e massacrate. C’è un serio attacco alla volontà e alla capacità delle donne di decidere sulla propria vita. Le donne sono oggettivate e costrette ad assumere ruoli di genere tradizionali. Le donne affrontano costantemente il soffocamento da parte dello Stato e della società patriarcale che esso riproduce. Come in tutte le parti del mondo, le donne costituiscono un’importante dinamica di opposizione in Turchia. Il movimento delle donne curde è in prima linea in un serio risveglio. Non è un caso che le politiche femminicide di Erdogan aumentino ogni giorno in cui cresce questo risveglio. Con il femminicidio, lo Stato sta cercando di eliminare l’opposizione e quindi ogni potenziale forza di cambiamento. L’obiettivo è tenere in ostaggio la società. Il fatto che il femminicidio non sia ancora riconosciuto come crimine contro l’umanità significa che Stati e dittatori che ricorrono al femminicidio non hanno paura di essere ritenuti responsabili. Finché il femminicidio non sarà trattato come un crimine contro l’umanità, non sarà possibile condurre una lotta credibile ed efficace contro le politiche sociali come il genocidio. Con questa campagna, vogliamo attirare l’attenzione sulle politiche femminicide dell’AKP e di Erdogan.
Vogliamo giustizia e chiedere un processo giudiziario dell’AKP. Con questa campagna vogliamo essere la voce di tutte le donne del mondo che sono soggette a violenza e attirare l’attenzione su tutti i crimini di stato commessi contro le donne. Vogliamo porre fine alla violenza contro le donne commessa nella Repubblica Turca attraverso ii femminicidio, dove ogni giorno una donna viene uccisa dalla violenza sessista.
Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!
Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato.
Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato; condannate le politiche del regime del presidente Recep Tayyip Erdoğan, incapaci di arginare il recente aumento di violenza sulle donne.
Un crimine orrendo, vittima la giovane [studente] turca Pinar Gültekin: secondo Al Ain News, il fidanzato Jamal Matin Avci l’ha colpita e poi strangolata fino alla morte, quindi, dopo aver provato invano a bruciarlo, ha messo il corpo in una botte e l’ha trasportato in una foresta nell’ovest della Turchia per darlo alle fiamme.
Dopo la scoperta del delitto, l’opinione pubblica è insorta ed è scesa in piazza per esprimere rabbia per l’accaduto e chiedere che il governo adotti misure più efficaci per fermare la violenza contro le donne, che ha visto un’escalation negli ultimi anni.
A Istanbul, un gran numero di donne si è riunito nei quartieri di Beşiktaş, nel lato europeo della città, e di Kadıköy, nel lato asiatico, e ha condannato l’incidente. L’evento ha visto la partecipazione di un alto numero di artiste e artisti che rifiutano questi avvenimenti, della piattaforma “Fermeremo il femminicidio” (“Kadın Cinayetlerini Durduracağız” Platformu) e dei consigli di quartiere delle donne della città.
Le manifestanti recavano striscioni con slogan di condanna – “Non staremo in silenzio dinanzi a questi avvenimenti”, “È tempo di applicare l’accordo di Istanbul” per prevenire e combattere la violenza contro le donne – e immagini della giovane uccisa, gridando “Basta morte”, “Distruggeremo la vostra mascolinità” e “Rispettate l’accordo di Istanbul”.
In un discorso tenuto alle manifestanti, la segretaria generale della piattaforma Fidan Ataselim ha affermato: “Metteremo fine ai crimini commessi contro le donne”. “Siamo così adirate che non abbiamo intenzione di fare un solo passo indietro. Abbiamo firmato l’accordo di Istanbul e il regime vuole revocarlo”. In precedenza, a proposito di tale accordo, il vice-presidente parlamentare di Giustizia e Sviluppo (AKP) Numan Kortulmush ha dichiarato: “Proprio come questo accordo è stato firmato secondo le procedure, allo stesso modo verranno prese misure per uscirne”. Questa presa di posizione ha causato paura e panico tra le donne turche: per le loro vite, specialmente alla luce del pericolo concreto che minaccia i bambini e [soprattutto] le bambine.
Le YPS-Jin invitano all’autodifesa dopo che nei giorni scorsi si sono nuovamente verificati attacchi contro donne e minori da parte di uomini e militari nel Kurdistan turco.
Proteste in seguito al tentato stupro di una 13enne a Şırnak
Il tentato stupro d’una ragazzina di 13 anni ha scatenato proteste nella provincia di Şırnak. Il responsabile, un sergente scelto dell’esercito turco, è stato sopraffatto dagli abitanti del luogo e quindi arrestato.
Il tentato stupro d’una ragazzina di 13 anni da parte di un sergente scelto turco ha scatenato accese proteste a Şırnak, nel Kurdistan settentrionale. In serata la polizia ha disperso coi lacrimogeni una manifestazione contro la violenza sessuale. Prima avevano già avuto luogo numerose proteste nelle strade e altre sui network online, sotto l’hashtag #SusmaŞırnak (“Non tacere, Şırnak”). I manifestanti, in maggioranza uomini, hanno annunciato che continueranno con le azioni.
Secondo quanto riferito dai suoi avvocati, martedì sera sul tardi la ragazza si trovava sulle scale del suo condominio insieme a un’amica quando per poco non è rimasta vittima dell’aggressione sessuale commessa dal soldato A.A. I vicini si sono accorti del fatto grazie alle grida d’aiuto [della giovane], l’uomo ne è stato disturbato e si è dato alla fuga sulla propria autovettura. Di lì a poco è stato sorpreso dagli abitanti mentre si masturbava, affrontato e reso inoffensivo, non senz’aver prima estratto la pistola d’ordinanza e minacciato diverse persone: la gente è riuscita a sottrargli l’arma e a trattenerlo fino all’arrivo della polizia.
Mercoledì, sia alla stazione di polizia che durante l’interrogatorio condotto da funzionari del pubblico ministero, A.A. ha negato il tentato stupro, pretendendo di essere vittima di un attacco da parte d’un gruppo di persone a lui ignote “a causa della sua appartenenza all’esercito”: [a suo dire,] s’era recato al condominio a cercare una donna “di cui ignorava il nome”, con la quale avrebbe dovuto incontrarsi quella sera per un picnic.
A.A., dal 2017 sergente scelto presso la 1a Brigata di comando di Şırnak, è stato accusato dal pubblico ministero di tentato stupro e minacce a mezzo d’arma da fuoco. La sezione penale del tribunale distrettuale di Şırnak ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere in considerazione del rischio di fuga, latitanza e reiterazione del reato.
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In terapia intensiva il minore colpito da soldati turchi
Bağa è stato ferito sul lato destro del costato da una pallottola fuoriuscita dalla schiena, che l’ha lasciato in condizioni gravissime.
Nella prima mattinata di giovedì scorso, nel villaggio rurale di Çiliya Jor, nel distretto di Çaldıran in provincia di Van, alcuni soldati turchi hanno sparato al quindicenne Azat Bağa, intento a far pascolare le pecore.
Il ragazzo, rimasto gravemente ferito, è stato portato d’urgenza dai parenti al Centro medico “Dursun Odabaşı” dell’Università “Yüzüncü Yıl” (Yüzüncü Yıl Üniversitesi Dursun Odabaşı Tıp), dove si trova tuttora in terapia intensiva.
Stando a quanto riferito, Bağa è stato colpito sul lato destro del costato da una pallottola fuoriuscita dalla schiena, che l’ha lasciato in pericolo di vita; non si sa ancora quando verrà operato: la sua famiglia continua ad attendere fuori dall’ospedale.
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Le YPS-Jin esortano all’autodifesa contro lo stupro
In considerazione del crescente numero di casi di violenza sessuale, le Unità civili di difesa delle donne YPS-Jin (Yekîneyên Parastina Sivîl-Jin) invitano all’organizzazione delle donne in unità di difesa per “vendicarsi dello Stato maschio”.
In molte città del Kurdistan settentrionale e della Turchia, sono attivi dei gruppi organizzati delle Unità di difesa delle donne YPS-Jin che si stanno facendo un nome attraverso azioni militanti. Il Coordinamento YPS-Jin ha pubblicato un comunicato in cui invita le donne a resistere e difendersi. Specialmente gli stupri da parte dei militari sono descritti dalle donne come un’espressione della speciale guerra in atto in Kurdistan.
“La promozione della cultura dello stupro è l’attacco dello Stato contro le donne”
Riguardo alle politiche sessiste del regime dell’AKP e alle loro conseguenze sociali, le YPS-Jin hanno affermato: “Promuovendo una cultura di prostituzione e stupro, l’obiettivo è attaccare le donne in quanto forza creativa della società. Una società le cui donne sono spezzate o distrutte può essere facilmente sottomessa. Si dice sempre ‘spara prima alle donne'”.
“L’attacco a Şırnak è un attacco a tutte le donne”
Riguardo alla recente ondata di violenze sessuali (molestie e stupri) da parte dei membri dell’esercito turco, le YPS-Jin hanno detto: “A Şırnak un ufficiale ha commesso violenza sessuale contro una ragazza curda di 13 anni. È un attacco a tutte le donne e ai valori del Kurdistan. In Kurdistan lo stupro e la molestia sessuale sono diventati espressione del fascismo turco. Come donne dobbiamo essere consapevoli di questa realtà. La nostra identità, la nostra terra e i nostri corpi appartengono a noi e qualsiasi resistenza per proteggerli è legittimata.
“Dobbiamo esercitare il diritto all’autodifesa”
Il popolo di Şırnak si è difeso, ha affrontato il perpetratore e ha dato vita a manifestazioni di protesta. È risultato chiaro ancora una volta che in Kurdistan una vita dignitosa è possibile soltanto attraverso l’autodifesa. L’autodifesa è per noi una necessità più urgente persino del pane quotidiano. In questo senso, noi come donne dobbiamo esercitare il nostro diritto all’autodifesa in tutta la sua ampiezza. Ovunque ci siano stupratori, ovunque ci sia violenza sessuale, ovunque ci sia aggressione da parte dello Stato, dobbiamo scendere in piazza in autodifesa. Il silenzio è complicità. Dobbiamo usare un’ampia gamma di mezzi per mostrare il potere delle donne e mettere fine al fascismo maschile patriarcale.
“Le mani che si allungano sulle donne saranno spezzate”
Come YPS-Jin, dichiariamo che espanderemo la nostra lotta e chiederemo conto allo Stato stupratore colonialista. Spezzeremo tutte le mani che si allungheranno sulle donne. Le nostre unità di vendetta si scaglieranno su occupanti e stupratori. Chiediamo a tutte le donne di organizzarsi sotto l’ombrello delle YPS-Jin, di ricorrere all’autodifesa e vendicarsi dello Stato maschio.
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Donna denuncia stupro e viene uccisa dal marito
Nel villaggio di Gölağılı presso Malazgirt, provincia di Muş, una donna è stata prima violentata dal fratello del marito e poi assassinata da quest’ultimo.
Stando alle informazioni ricevute, Fatma Altınmakas, madre di sei figli, è stata uccisa dal marito, Kazım Altınmakas. La famiglia ha preso il cadavere e l’ha sepolto nel villaggio di Özdemir (Hozdemir) presso Patnos, in provincia di Ağrı.
Dopo il delitto, Kazım Altınmakas è stato arrestato e incarcerato con l’accusa di omicidio volontario. I sei figli della coppia sono stati tutti presi in carico dai servizi sociali.
Fatma Altınmakas sarebbe anche stata vittima di violenza sessuale: secondo quanto riferito dai familiari, il 12 luglio la donna si è recata insieme al marito alla stazione di Polizia di Malazgirt, dove ha sporto denuncia contro il fratello del marito, S.A., dichiarando d’essere stata violentata da costui; S.A. è stato arrestato e rilasciato dopo due giorni: il giorno del rilascio ha coinciso con l’assassinio di Altınmakas.
Stando alle informazioni, la famiglia [d’origine] di Fatma Altınmakas avrebbe sporto denuncia contro Kazım Altınmakas e altri membri della famiglia [di quest’ultimo].