Affinché il movimento “Donna, Vita, Libertà” non muoia mai!

Una chiamata alla solidarietà con le/i prigioniere/i politiche/i del regime Iraniano.

Una chiamata alla solidarietà con le/i prigioniere/i politiche/i del regime Iraniano.

Da più di tre settimane, il mondo ha potuto vedere un nuovo volto dell’Iran, che mostra la soggettività politica delle oppresse e degli oppressi, e non i soliti giochi delle élite del regime dittatoriale. L’omicidio di Zhina (Mahsa) Amini da parte della polizia morale ha dato il via a rivolte in tutto il paese contro la misoginia, l’oppressione e l’ingiustizia, e in cui è stato largamente utilizzato lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Queste rivolte per la libertà e contro l’oppressione hanno avuto molta attenzione e dato speranza in tutto mondo, in particolare per la presenza coraggiosa di molte donne e per le loro richieste. Sebbene questa lotta autonoma per la libertà sia in cerca di una prospettiva rivoluzionaria, è una lotta totalmente impari, fra i manifestanti disarmati e una brutale dittatura. Una dittatura che per decenni ha espanso il suo apparato repressivo con i soldi derivanti dal petrolio. Tuttavia, i manifestanti hanno consapevolmente deciso di non arrendersi all’estrema brutalità della polizia e continuano a scendere per le strade, nonostante rischino la vita.

Come nelle rivolte precedenti, il regime islamico sta cercando di intimidire e terrorizzare le persone, intensificando la repressione. Il loro obiettivo è quello di aumentare il “prezzo da pagare” per chi partecipa alle proteste a un livello tale che coloro in grado di continuare questa lotta o iniziare a prendervi parte siano sempre meno. Per esempio, solo nella città di Zahedan, in meno di un’ora sono stati uccisi più di 90 manifestanti dai colpi delle forze di polizia. Organizzazioni indipendenti per i diritti umani stimano che fino ad ora siano state uccise più di 200 persone e migliaia arrestate. Le proteste e la sanguinosa repressione continuano, mentre l’accesso a internet è stato interrotto, anche se solo formalmente, in Iran.

Contemporaneamente, l’apparato di propaganda del regime e i suoi organi giudiziari e repressivi stanno incrementando la repressione e il terrore in diversi modi: le persone arrestate vengono accusate di essere contro la sicurezza nazionale e si afferma che chi partecipa alle proteste sia manovrato da nemici “esterni” dell’Iran. Queste accuse sono anche rivolte ad attiviste/i di diversi movimenti; lavoratrici e lavoratori, donne, insegnanti, studentesse/i, etnie diverse, minoranze religiose e persone che hanno orientamenti sessuali non binari, così come tutti gli attivisti per l’ambiente e i diritti umani. Alcuni di questi attivisti e attiviste sono stati arrestati alcune settimane o addirittura mesi prima delle rivolte; altri “preventivamente”, durante le rivolte, senza che ne fossero nemmeno coinvolti. Il regime sta sfruttando l’attuale situazione turbolenta per mettere ancora più pressione su prigioniere e prigionieri politici e applicare pene ancora più dure attraverso accuse false. Lo scopo di questi arresti e accuse è evitare ulteriori iterazioni delle rivolte e la loro escalation, così come quello di prevenire qualsiasi potenziale espansione organizzativa – soprattutto perché una combinazione tra proteste di strada e diffusione di scioperi (incluso uno sciopero generale) potrebbe diventare il tallone d’Achille del governo.

È ben noto in tutto il mondo che il sistema politico iraniano non riconosce nemmeno il minimo indispensabile di giustizia legale, e che le esecuzioni e morti sospette di oppositori politici in prigione non siano rare. Ciò che succede nelle prigioni non viene messo a verbale e non ha diffusione. Normalmente, i prigionieri sono costretti, sotto tortura, a rilasciare dichiarazioni auto-incriminanti di fronte alle telecamere dei Servizi Segreti, che vengono poi mandate in onda nelle televisioni. Come gruppo di esiliati politici, attivisti ed ex-prigionieri in Iran, alcuni dei quali sopravvissuti al massacro di prigionieri politici del 1988, siamo profondamente preoccupati per la la catastrofe umana attualmente in corso nelle carceri iraniane. Secondo numerose esperienze e prove, il regime sta espandendo la sua brutale oppressione dalle proteste di strada alle carceri.

Ci attendiamo che tutte le persone che difendono i diritti umani nel mondo non solo prendano iniziativa contro la sanguinosa repressione dei manifestanti, ma che siano anche la voce dei prigionieri politici in Iran. Crediamo che la vera solidarietà con le lotte degli oppressi debba anche includere la protezione della vita e il sostegno alla liberazione di quelli che sono stati imprigionati per aver partecipato a queste lotte. Esortiamo gli attivisti e le organizzazioni politiche di tutto il mondo a fare tutto quello che possono per aumentare la pressione sul regime iraniano affinché rilasci i prigionieri politici. Questo include non solo la diffusione di questo appello, ma il coinvolgimento pubblico permanente e azioni come manifestazioni di fronte ai consolati e alle ambasciate iraniane in cui si faccia riferimento alla situazione dei prigionieri. Chiamiamo anche tutte le organizzazioni politiche, gli attivisti, e le organizzazioni per i diritti umani, a fare pressione su politici locali e nazionali, per far sì che rispondano concretamente alla brutale repressione, alle detenzioni, alle torture e alle esecuzioni di prigionieri politici da parte del regime iraniano.

Teniamo vivo lo slogan “Donna, Vita, Libertà”, e diamogli senso attraverso le nostre azioni individuali e collettive. Questa lotta e questo slogan appartengono a chiunque voglia un mondo libero e giusto.

Lunga vita alla solidarietà internazionale!

Un collettivo di attiviste/i iraniane/i in esilio ed ex prigioniere/i politiche/i

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Il futuro di Zeyneb Jalalian è incerto!

Dopo anni di tortura nelle prigioni iraniane e nonostante sia stata impedita la sua esecuzione, il futuro di Jalalian è ancora incerto. La minaccia della sua esecuzione da parte dello Stato iraniano esiste ancora.

Alla luce dell’attuale crisi del Coronavirus, siamo molto preoccupate per la situazione dei prigionieri politici in Iran, specialmente delle donne. Alla fine di marzo, 200 donne prigioniere hanno iniziato uno sciopero della fame nel carcere femminile di Urmia a causa dell’alto rischio sanitario. In aprile, 36 prigioniere sono state uccise dalle forze di sicurezza durante proteste carcerarie per avere più misure igieniche. In aggiunta, la pena di morte è ancora una pratica comune in Iran e 13 prigionieri sono stati giustiziati in aprile.

Oggi la nostra attenzione va all’attivista curda Zeynab Jalalian. Jalalian ha combattuto per i diritti delle donne per anni ed è incarcerata in Iran dal 2008. È stata arrestata nell’estate del 2008 a Kermanshah e condannata a morte nel gennaio del 2009 per “ostilità verso Dio”. Comunque, le proteste e un’ampia attenzione pubblica hanno evitato la sua esecuzione.

Il 28 aprile di quest’anno, Zeynab Jalalian è stata trasferita dalla prigione di Khoy. Dopodiché, sembrava che fosse scomparsa. Giorni dopo è stata reso noto che era stata trasferita bendata e con le mani legate alla prigione di Qarchak a Varamin, a sud della capitale iraniana. Secondo indiscrezioni, sta per essere aperto un nuovo caso contro di lei.

Zeynab Jalalian è seriamente malata e appartiene al gruppo a rischio, nonostante le autorità iraniane le rifiutino l’accesso ai dottori specialisti e a trattamenti medici fuori dalla prigione. Amnesty International ritiene il rifiuto di far ricevere cure a Jalalian come una pratica “equivalente alla tortura”.

Dopo anni di tortura nelle prigioni iraniane e nonostante sia stata impedita la sua esecuzione, il futuro di Jalalian è ancora incerto. La minaccia della sua esecuzione da parte dello Stato iraniano esiste ancora.

Nonostante l’attuale crisi del Coronavirus, è ancora più necessario che noi in quanto donne pretendiamo i nostri diritti. Dobbiamo alzare le nostre voci contro tutte le forme di oppressione delle donne. Come donne, è nostro dovere prendere posizione per ciascuna e ogni donna, perché soltanto insieme possiamo pretendere la nostra libertà.

Zeyneb Jalalian e tutte le prigioniere politiche devono essere rilasciate immediatamente!
Pretendiamo che tutte le forze e le comunità internazionali facciano pressione sullo Stato iraniano!
Pretendiamo l’abolizione della pena di morte e la trasparenza del caso di Zeyneb Jalalian!

Movimento delle Donne Kongra Star

3 marzo 2020