Le vite nere contano, le vite curde contano e siamo pronte a difenderle fianco a fianco

Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto.

Traduciamo il comunicato da WomenDefendRojava (3 giugno 2020).

Questa settimana, molte persone negli Stati Uniti sono scese in strada a causa dell’uccisione razzista di George Floyd da parte della polizia. Le proteste continuano giorno dopo giorno con fermezza mentre lo Stato risponde con la più brutale violenza. Manifestanti e giornalisti vengono colpiti, arrestati e umiliati, senza rispetto per il diritto di protesta e per le vite libere dalla violenza.

Soltanto due giorni fa, il giovane curdo Barış Çakan è stato ucciso dai fascisti in Turchia. Un’altra persona curda uccisa dal fascismo che lo Stato turco promuove e protegge, sia attraverso la polizia, l’esercito e i servizi segreti che attraverso fascisti che agiscono impuniti per le strade. Soltanto qualche settimana fa diverse attiviste per la libertà della donne e rappresentanti del popolo curdo in diverse istituzioni sono state colpite e arrestate.

Questi non sono eventi isolati: sia l’uccisione di George che quella di Barış sono parte dell’ideologia su cui si basa lo Stato. Un’ideologia razzista sciovinista che è espressa in diversi luoghi e in diversi modi, ma che è parte dello stesso sistema di Stati-nazione capitalisti basati sulla mentalità maschile di potere e dominazione.

Con questa mentalità provano a dividere la società, creando un nemico in chiunque sia diverso, che sia per colore della pelle, etnia o genere. Generano odio per mantenere il loro potere. Barış e George non sono stati sfortunatamente gli unici a pagare con le loro vite per la brutalità di questo sistema. La storia della comunità nera e quella del popolo curdo sono state storie di oppressione e resistenza.

Dalla tratta degli schiavi neri alle politiche razziste e alla violenza di oggi, dal massacro di Dersim all’occupazione della Siria del Nord e dell’Est da parte della Turchia e dei suoi alleati jihadisti, vediamo la continuità del sistema e la mentalità che sta portando al collasso dell’ambiente, che nega libertà alle donne e alla società. Vediamo come la guerra contro la società sia espressa ogni giorno dalla modernità capitalista e dalla mentalità patriarcale contro il volere democratico del popolo.

Una guerra che si esprime in particolare sui corpi e sulle vite delle donne, come possiamo vedere nella regione occupata di Afrin. Qualche giorno fa è stato pubblicato un video che mostrava donne che sono state rapite e tenute prigioniere in condizioni disumane e violente da gruppi jihadisti supportati dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dal resto della NATO. Questi Stati supportano gruppi che rapiscono, torturano e uccidono donne ad Afrin, così come la polizia, che uccide persone nere restando impunita e attacca e abusa donne. Qui e là, combattiamo la stessa guerra e, in quanto donne, poiché siamo il primo obiettivo, dobbiamo essere la prima linea di resistenza.

Lo Stato difende per sé il monopolio della violenza, mentre l’autodifesa è etichettata come terrorismo, sia che si pratichi nelle strade degli Stati Uniti, sia sulle montagne del Kurdistan. Ma, come spiega giustamente Abdullah Öcalan, “una pace senza autodifesa è un’espressione di rassegnazione e schiavitù.”

Nei territori liberati della Siria del Nord e dell’Est abbiamo un chiaro impegno per la pace. Sappiamo che senza giustizia non c’è pace. Senza etica non c’è pace. Senza democrazia del popolo, non c’è pace. Senza libertà delle donne non c’è pace. Questo è il motivo per cui stiamo costruendo e difendendo un sistema che si basa sulla liberazione delle donne e un sistema democratico ed ecologico che protegge come valori inalienabili il diritto all’autodifesa e alla coesistenza dei popoli, delle religioni e dei gruppi etnici.

Perché giorno dopo giorno continuiamo a essere bombardati, uccisi e umiliati. Continuano a metterci gli uni contro gli altri, dividendo la società. E questo è il motivo per cui la nostra maggiore arma per difenderci come società è rimanere uniti, nella diversità che ci forma, guardando alla differenza come qualcosa che ci arricchisce.

La nostra oppressione ha la stessa origine e perciò dobbiamo combattere insieme per metterle fine, per difendere una vita libera. Combattere l’uccisione dei curdi in Turchia è combattere l’uccisione di persone nere negli Stati Uniti. Combattere l’invasione della Siria del Nord e dell’Est è combattere il razzismo della polizia. Difendere il Rojava è difendere la comunità nera e difendere la comunità nera è difendere il popolo curdo.

Come donne, prendiamo l’impegno di combattere per una libertà che liberi tutta la società. Il nostro impegno è di ricostruire una società che viva insieme come una comunità nella sua diversità, in risposta a così tanta distruzione, divisione e odio. Il nostro impegno è nel difendere la vita di fronte alla morte che ci è imposta.

Difendiamoci dal razzismo, dal fascismo e dalla mentalità patriarcale degli Stati-nazione capitalisti. Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto. Insorgiamo e organizziamoci perché soltanto insieme renderemo il razzismo un doloroso ricordo di una storia finita.

Per tutti i martiri, dal Rojava al mondo, diciamo apertamente che “le vite nere contano”, “le vite curde contano” e siamo pronte per difenderle fianco a fianco.

KJK: l’uccisione di George Floyd non è un incidente isolato

Il KJK chiede che l’assassinio di George Floyd negli USA non sia derubricato ad atto isolato e afferma che “il razzismo e il nazionalismo sono uno strumento ideologico estremamente efficiente dei sistemi dello Stato, del potere e della dominazione.” (31 maggio 2020)

Le Comunità delle donne del Kurdistan (KJK) hanno emesso un comunicato riguardo all’uccisione, avvenuta il 25 maggio 2020, di George Floyd durante un’operazione di polizia a Minneapolis (USA), evento che ha provocato shock e ondate di rabbia in tutto il mondo.  

Il comunicato del KJK dichiara quanto segue:

“Condanniamo con fermezza questa violenza chiaramente razzista perpetrata dallo Stato ed esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia e agli amici di George. Sfortunatamente questo crimine non è né il primo né sarà l’ultimo di questo tipo.

Per esempio, il 19 febbraio di quest’anno, dieci persone sono state uccise in un attacco razzista in un bar della città tedesca di Hanau.

Non passa giorno senza che qualche persona curda non venga attaccata e uccisa solo per il fatto di essere curda. In ogni parte del mondo accade che comunità specifiche vengano dichiarate nemiche e attaccate.

Non dobbiamo derubricare queste atrocità ad atti individuali.

Dobbiamo guardare ad esse nel contesto complessivo delle condizioni sociali. Il nazionalismo e il razzismo devono essere sfidati in maniera critica e combattuti con efficacia nel contesto della realtà dello Stato-nazione e del capitalismo. Il razzismo e il nazionalismo sono strumenti ideologici estremamente efficaci nelle mani dei sistemi dello Stato, del potere e della dominazione.

Il popolo curdo lotta da lungo tempo con le origini del nazionalismo e dell’oppressione. Quello curdo è un popolo che ha combattuto per secoli per i propri diritti e per la libertà e abbiamo fatto il possibile per comprendere l’oppressione di cui siamo oggetto per poterla combattere e superare.

Studiamo per capire se l’oppressione sia naturale, se sia sempre stata così o se sia stata creata nel corso della storia umana. La risposta è chiara. L’oppressione non è naturale. È un prodotto umano che serve a mantenere il potere e la dominazione. 

I problemi principali del nostro tempo, cioè la catastrofe climatica, la distruzione dell’ambiente, la guerra, la povertà, le migrazioni forzate, la pandemia e molti altri, derivano dal potere e dalla dominazione. Gli squilibri di potere che si traducono in certe atrocità sono sostenuti da una mentalità precisa.

Questa mentalità costruisce gerarchie e relazioni di potere tra umani e natura, tra generi diversi, tra comunità etniche e religioni, tra persone con un diverso colore della pelle, tra culture e classi sociali.

Come può riuscire un gruppo particolare a dominare, opprimere e sfruttare gli altri popoli? Questo risultato non può essere ottenuto soltanto con la violenza fisica. Indubbiamente la violenza fisica gioca un ruolo essenziale, ma questa forma di dominazione vecchia di millenni non può essere mantenuta senza una mentalità che classifichi alcuni gruppi di individui come soggetti e altri come oggetti.

In questo modo, emergono gerarchie e relazioni di potere in cui i dominatori – che siano uomini, bianchi, ricchi o altri settori della società “privilegiati” – vedono come naturale il loro diritto di abusare, sfruttare e uccidere i “non privilegiati”.

L’uccisione di George Floyd dovrebbe anche essere vista come parte di una guerra che uno Stato intraprende nei confronti di parti della società. Specialmente con l’implementazione delle misure di sicurezza e con l’estensione dei poteri delle forze di polizia, i cittadini non benvenuti sono quelli più a rischio. Più le persone osano sfidare il sistema, più cresce la violenza dello Stato nei loro confronti. Secondo i dati, nel 2019, soltanto negli USA, le forze di sicurezza hanno ucciso 1099 persone.

Mentre gli spazi per una vita autodeterminata si stringono sempre più, l’egemonia dello Stato cresce in tutte le aree.

Oggi, lo Stato vuole mantenere il monopolio della violenza, mentre la legittima difesa viene etichettata come terrorismo.

Lo Stato-nazione come pilastro del capitalismo ha contribuito da una parte a standardizzare le diverse identità locali e culturali e delle comunità all’interno dei confini statali, e dall’altra il nazionalismo ha fatto in modo che le diverse comunità etniche entrassero in conflitto tra loro.

L’umanità durante le due guerre mondiali ha sperimentato la disumanità e la capacità distruttiva del nazionalismo.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, per esempio, il territorio del Kurdistan fu diviso tra quattro Stati-nazione senza che al popolo curdo e a molti altri popoli dell’area venissero garantiti diritti o l’esistenza stessa.

La nostra identità è stata negata e tutto ciò che era curdo è stato dichiarato come barbaro e retrogrado.

Siamo a lungo stati soggetti a politiche di assimilazione, per integrare la nostra cultura, lingua e identità a quelle turche, arabe o persiane. Per gli Stati-nazione è fondamentale avere all’interno dei loro confini un’identità etnica omogenea, spesso imposta con la violenza.

Oppressione, potere e dominazione non sono naturali. Quindi, a sua volta, il sistema dello Stato non è naturale, ma uno strumento di potere della classe dominante. È un prodotto dell’organizzazione umana originata a partire dalla sottomissione delle donne. Le donne sono la prima nazione oppressa, la prima classe oppressa. Non c’è quindi da stupirsi se, nonostante le innumerevoli (sia anticoloniali-nazionali che di classe) lotte per la libertà e l’uguaglianza, questi sistemi di oppressione non siano stati superati. Fino a che i movimenti rivoluzionari non porranno la liberazione delle donne al centro della loro lotta, il cuore del sistema oppressivo continuerà ad avere la meglio.

Oggi sappiamo che, fino a che non verrà messa la parola fine al sessismo sociale, la palude della gerarchia, del potere e dell’oppressione non potrà essere bonificata. Non è un caso che gli attacchi nei confronti delle donne siano esplosi in tutto il mondo con l’ascesa del nazionalismo, dell’oppressione e del fascismo.

Mentre gli attacchi a sfondo razziale aumentano in tutto il mondo e i sistemi politici al governo si spostano sempre più a destra, il comportamento statale-patriarcale si sta manifestando in modo sempre più lampante attraverso una certa categoria di individui.

Capi di Stato minacciano donne di stupro e uccisione, restringono i loro diritti duramente conquistati e tentano di forzarle fuori dalla vita pubblica ancora una volta.

È tempo di dichiarare una guerra significativa a questo sistema oppressivo nella sua complessità. Questo vuol dire che dobbiamo comprendere e portare avanti tutti insieme la lotta contro il suprematismo bianco, il nazionalismo, il sessismo e il capitalismo.

Dobbiamo lottare per un sistema alternativo che consideri le differenze una ricchezza della società, e lavorare per unire le nostre lotte in un mosaico che valorizzi le diversità.

Le persone non dovrebbero mai essere considerate inferiori soltanto a causa del colore della loro pelle, del genere o delle loro identità etniche e religiose.

Costruiamo la nostra vita libera oltre lo Stato, il potere e la gerarchia, attraverso strutture democratiche di auto-organizzazione e autodeterminazione.”