UN ALTRO PASSO VERSO LA DEMOCRAZIA

Le prime elezioni dei territori federati del nord della Siria.

Il 18 marzo 2016 è stata dichiarata l’assemblea costituente del federalismo democratico del nord della Siria, da quel momento si è cominciato a lavorare per autorganizzare i territori facenti parte della federazione.
Il 29 dicembre 2016 l’assemblea costituente termina di riscrivere il “contratto sociale del federalismo democratico del nord della Siria” e oggi 22 settembre 2017 un’altro grande passo per compiere la democrazia diretta: le prime elezioni della Siria del Nord.
Le zone interessate dalle elezioni sono le regioni di Firat, Afrin e Cizre, quest’ultima è la regione che stata presa in considerazione per questa analisi e su cui si basano le ricerche.

Seggio elettorale in una comine di Qamislo

Il diritto di voto è esteso a tutti i cittadini e le cittadine che vivono nelle regioni facenti parte della federazione, quindi il diritto di voto non è esclusivo della popolazione curda ma comprende tutte le etnie che vivono in questi territori come assiri, armeni, ceceni, arabi, cristiani, turcomanni e yazidi.
Alcune città della federazione infatti sono a maggioranza araba ad esempio, ma questo non è in alcun modo un impedimento, anche perchè uno dei punti del confederalismo democratico (il sistema attualmente vigente nella Siria del nord) è la negazione dello stato e la lotta contro il capitalismo che non è un problema riguardante solo l’etnia curda, ma di tutti i popoli.
Queste prime elezioni saranno dedicate alla scelta dei co-presidenti delle comine.

Scheda elettorale, a sinistra le candidate donne, a destra i candidati uomini. Nel voto si può esprimere una preferenza per entrambi

Le Comine sono delle assemblee di quartiere di massimo 400-500 case e sono alla base del sistema confederale
“La comine è la base essenziale della democrazia diretta”
articolo 48 del contratto sociale
La comine si occupa di tutte le decisioni che riguardano la società ed è composta da semplici cittadini e cittadine, tutta la società fa parte delle comine che discutono i problemi del quartiere, le iniziative, gli eventi e le questioni riguardanti acqua, elettricità, costruzione delle strade ecc.
Nella regione di Cizre ci sono 2487 comine, nella sua capitale, Qamislo, le comine sono 264.
Ogni comina risolve e autorganizza la vita della società in maniera autonoma, i problemi e le decisioni delle comine vengono riportati ai consigli, i cui membri sono i co-presidenti delle comine.
I co-presidenti del cosiglio a loro volta compongono l’assemblea del cantone e così fino ad arrivare all’assamblea costituente.
L’assemblea costituente non può prendere decisioni o approvare leggi senza aver discusso e organizzato delle votazioni con tutte le comine presenti nei tre cantoni, quindi sono le comine che prendono le decisioni rispetto alle necessità della popolazione, anche le proposte che arrivano all’assemblea costituente vengono direttamente dalle comine.
Ad esempio l’eta per votare è 18 anni, prima che questo diventi legge la proposta si discute e si vota in tutte le comine che hanno l’ultima parola e potere decisionale sull’approvazione della legge.
Con queste elezioni dunque si sceglieranno i co-presidenti delle comine ma nello stesso tempo i membri del consiglio.
I co-presidenti sono sempre un uomo e una donna, questo è un’altro punto importante del confederaliso democratico che garantisce una quota del 50% alla donna, per non far si, come è accaduto in passato, che questi tipi di incarichi diventino prerogativa degli uomini, questo sistema garantisce anche una completa parità dei generi.
Tutti I cittadini e le cittadine che fanno parte delle comine e dunque della federazione possono candidarsi all’età minima di 18 anni, se sono parte di partiti o movimenti devono abbandonarli in maniera tale che la provenienza non influenzi il voto. Quindi non ci sono partiti o movimenti nelle elezioni ma solo ma solo semplici cittadini.
Per poter votare l’età minima è di 18 anni e il diritto di voto si stabilisce all’interno della comine.

Dopo aver dato il voto si ricopre di inchiostro, che va via dopo 3 giorni, il dito degli elettori per evitare che votino dinuovo

Per le persone che vivono nel territorio ma non fanno parte delle comine c’è una legge che garantisce il diritto di voto a coloro che hanno un documento che dimostri una residenza di almeno 10 anni in quel terrirorio, se invece si è un membro della comine il tempo di resisdenza non è un dato di valutazione per il diritto al voto ma questo viene stabilito in base ad altri principi come ad esempio la partecipazione o il contributo dato alla comine.
Nelle decisioni del diritto al voto non influiscono in alcun modo la provenienza etnica, la religione, l’appartenenza a gruppi culturali e a frammentazioni sociali.
Nella maggior parte dei casi le comine non necessitano di un documento statale per la partecipazione alle votazioni nè alla vita sociale, non riconoscendo lo stato automaticamente non si riconoscono le sue pratiche.

Elettore inserisce nell’urna la scheda elettorale in una busta sigillata

Una volta scelti i co-presidenti, essi riceveranno una formazione teorica e pratica sul sistema del confederalismo democratico per ricoprire al meglio il loro incarico.
I co-presidenti non ricevono alcuno stipendio ma mantengono il proprio lavoro, in casi particolari ricevono dei rimborsi ma questo è raro dato che si provvede a qualsiasi cosa e non si creano le condizioni per cui si debbano spendere soldi per il proprio lavoro.
Ad esempio un rimborso spese potrebbe essere la benzina per I movimenti, ma di solito ci sono delle auto comuni con una serie di buoni benzina che si usano per le questioni che riguardano gli spostamenti dei co-presidenti.
I co-presidenti non possono candidarsi per più di due termini consecutivi, I termini non sono fissi ma variano in base alla situazione e ai bisogni.
L’incarico di co-presidente quindi non ha alcun interesse economico o di carriera, chi ricopre questo ruolo lo fa generalente per dare un contributo alla propria società e per autorganizzarsi autonomamente partendo dal basso e rispetto alle necessità della popolazione .
Se la condotta dei co-presidenti non è adeguata, per esempio se rubano soldi, la comine decide di dimetterli dalla carica e di rifare le votazioni per la propria comine.
Nei giorni antecedenti alle elezioni in tutti i quartieri di tutte le regioni si sono svolti degli incontri aperti a tutta la popolazione in cui i/le rappresentanti dell’assemblea costituente approfondivano la questione delle elezioni, spiegavano l’importanza del voto, il momento storico in cui ci troviamo e la situazione geopolitica.

“quando abbiamo cominciato questa rivoluzione, nessuno credeva che ce l’avremmo fatta, che il nostro sistema avrebbe funzionato, ma insieme abbiamo dimostrato il contrario, abbiamo dimostrato che questo sistema funziona proprio perchè parte dal basso, ecco perchè sono così importanti queste elezioni, perchè sono la conferma che questo sistema è possibile, che un’alternativa al sistema capitalista è possibile.”
Qual è la differenza fra l’elezioni statali e le elezioni nella Siria democratica?
“Senza il popolo uno stato non può esistere, ma senza uno stato un popolo può vivere.”
La differenza non è solo nelle elezioni , qui il popolo ha cominciato ad autorganizzarsi in completa autonomia e facendolo si è reso conto che lo stato era solo un’oppressione.
“All’inizio della rivoluzione non avevamo acqua ed elettricità e la gente pensava che almeno con lo stato potevamo averle, ma con il tempo si sono resi conto che era solo un contentino per distogliere la popolazione dai problemi e per far si che non si ribellasse.”
Oggi nel nord della Siria c’è acqua e luce, bisogni a cui il sistema confederale provvede senza chiedere nulla in cambio.
Abdullah Ocalan ( leader del PKK , il partito dei lavoratori del kurdistan) dice che tutti gli stati prima o poi crolleranno perchè lo stato è oppressione e nega la libertà e un popolo senza libertà si ribellerà.
Grazie alla rivoluzione in kurdistan la popolazione ha realizzato che non ha bisogno dello stato per vivere e questa è la prova concreta che la mancanza di uno stato non porta al caos ma alla liberazione di tutte e tutti.

SOLIDALI CON CHI RESISTE!

La mattina di sabato 15 settembre è partita, in Sardegna, un’operazione contro 3 compagni, due accusati di associazione a fini terroristici, ed uno di favoreggiamento.

Rete jin è solidale con i compagni e le realtà colpite, percepiamo questo attacco da parte del sistema repressivo dello Stato come un attacco contro chi voglia portare le idee del confederalismo democratico, contro la rivoluzione delle donne, contro la solidarietà verso il popolo curdo. Per questo, riportiamo il comunicato dei gruppi di appartenenza di alcuni dei compagni coinvolti.

SOLIDALI CON CHI RESISTE!

Car* tutt*

La Rete Kurdistan Sardegna e l’ASCE hanno sempre camminato assieme a reti, assemblee e movimenti, tanti percorsi che in questi anni ci hanno unito, in Sardegna e non solo. Perciò, questa breve nota sui fatti accorsi questo fine settimana, non vuole essere un mero comunicato firmato da due sigle, ma un testo da sostenere e condividere, anche dopo la sua prima pubblicazione. Per questo vi chiediamo di sottoscriverlo assieme a noi e di diffonderlo sui vostri mezzi.

Al termine di questo intenso fine settimana sarebbe superfluo riepilogare la cronaca di quanto accaduto, già ampiamente riportata dagli organi di stampa locali e dalle tante dichiarazioni di solidarietà dei movimenti sardi, collettivi, giuristi democratici, intellettuali, partiti, sindacati di base e singoli cittadini.

L’infamante insinuazione di terrorismo proprio verso chi il terrorismo l’ha combattuto e lo combatte, si è propagata anche a tutti i singoli soci e amici che da anni si impegnano nella tutela dei diritti umani e nella solidarietà con il popolo curdo.

Siamo sgomenti per l’assurdità delle motivazioni delle indagini che la mattina del 15 settembre scorso hanno portato alle perquisizioni personali e domiciliari di Antonello Pabis e Luisi Caria, due persone che non hanno mai fatto mistero delle loro posizioni e azioni politiche.

Temiamo che l’intera vicenda possa dare adito all’ennesima interpretazione fuorviante della realtà.

La lotta dei kurdi nel Rojava arriva fino ai principali organi di stampa in maniera attutita e incompleta, tuttavia, anche se ciò che trapela è una flebile eco, risulta adamantino e tutt’altro che fraintendibile che le Unità di Protezione popolare kurde rappresentino le forze che effettivamente hanno contrastato la presenza dello Stato Islamico nei territori della Siria del Nord. Quello stato islamico che ci ha terrorizzato con le immagini terrificanti dei suoi tagliagole di fronte alle spiagge del Mediterraneo, nei teatri di Parigi e per le strade di Bruxelles. La stessa organizzazione che ha fatto tornare la minaccia del terrorismo in cima alla lista delle nostre paure. Le parole e i fatti in questa vicenda devono avere una logica: chiunque sia solidale con il popolo curdo che combatte strenuamente quella minaccia e che quell’orrore lo vive quotidianamente in casa propria, come può essere considerato un terrorista?

Antonello Pabis non è un terrorista, è presidente dell’Associazione Sarda Contro l’Emarginazione, ha dedicato tutta la sua vita all’impegno umanitario e alla difesa dei più deboli, contro ogni angheria e contro ogni causa di emarginazione e discriminazione sociale.

Luisi Caria è un indipendentista sardo, un generoso militante internazionalista che non ha mai nascosto il suo appoggio alla lotta di autodeterminazione del popolo curdo. La sua presunta adesione all’International Freedom Batallion (composto da volontari internazionali che combattono accanto ai kurdi) non lo renderebbe un terrorista e neanche un foreign fighter, l’ennesimo termine fuorviante che abbiamo visto comparire questi giorni sui principali organi di stampa e che sappiamo essere foriero di tutt’altra letteratura.

Chi scrive dovrebbe avere la responsabilità delle parole, chi indaga la responsabilità di accertarsi dei fatti.

Auspichiamo la rapida e positiva conclusione delle indagini.

Rete Kurdistan Sardegna

Associazione Sarda Contro l’Emarginazione

Qualunque organizzazione si riconosca nelle parole di questo comunicato, può sottoscriverlo inviandoci una mail all’indirizzo: retekurdistansardegna@riseup.net

STOP ALLE ESTRADIZIONI POLITICHE!

STOP ALLE ESTRADIZIONI POLITICHE!

STOP ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI E DELLE CURD*!

LIBERTÀ PER GULIZAR TASDEMIR!

Abbiamo appreso solo di recente e con grande dolore che l’attivista Kurda Gulizar Tasdemir ha ricevuto l’estradizione dalla Norvegia verso la Turchia. Questo è avvenuto mercoledì 4 luglio.

Rispetto a quanto sappiamo, questo tipo di assurdità era ancora sconosciuta. Gulizar Tasdemir è un’attivista curda di lunga data, che ha passato 27 anni della sua vita in prima linea nella lotta curda. Lei è una fra quelle voci che hanno preso parola contro i crimini della Turchia e fra quelle determinate a resistere al regime tirannico di Erdoğan. Inoltre, lei è una fra le migliaia di donne curde che hanno lottato per liberare le nostre strade dall’ISIS, dando voce alle minoranze in Turchia, e tenendo accesa una fiamma per i curdi e le curde in tutti i territori.

Sappiamo che Gulizar Tasdemir è stata in condizioni di salute critiche negli ultimi anni. Nonostante ciò, le autorità norvegesi sono arrivate al punto di ricorrere alla pratica di legarle polsi e caviglie mentre la estradavano verso la Turchia su un aeroplano militare.  La compagna Gulizar è stata rimandata dalle autorità norvegesi in un regime, quello turco,  che giustizia le donne rivoluzionarie, espone i loro corpi nudi, trascina i loro corpi per le strade e li butta da dirupi. Un regime che è il frutto di una politica autoritaria di lunga data, il quale è arrivato a tagliare i seni delle donne prigioniere e a compiere  atti nauseanti sui corpi delle donne per tenerle sotto controllo.

Non ci sono dubbi che, il 4 luglio, con questo atto, la Norvegia da cosiddetta “culla della democrazia”, si è trasformata in un altro stato opportunista che parteggia per gli islamisti radicali/ultra nazionalisti del regime di Erdogan. Un regime assetato di sangue famoso per minacce, corruzione e genocidi. Siamo consapevoli che nei prossimi mesi avremo ancora più coscienza di ciò a cui dobbiamo questa pazzia. Potrebbe essere la costruzione di un altro condotto del gas, un impianto nucleare o l’installazione di una piattaforma petrolifera in Norvegia? O  la Norvegia ha consegnato un’ attivista Curda al regime turco in cambio della sicurezza che Erdogan non “spedisca” rifugiati? Al di là di questa assurda razionalità, l’azione della Norvegia è deprecabile e inumana. La Turchia è un paese che apertamente non rispetta i diritti umani, la legge e la giustizia. Come Curd* e amic* de* Curd* noi non dovremmo restare a guardare mentre compagn* curd* o amic* vengono deportati verso uno dei maggiori sponsor dell’ISIS da così detti Paesi “democratici”.

Non possiamo tollerare né accettare il carattere sommario di questo rimpatrio forzato orchestrato dalla Turchia con l’appoggio della Norvegia nel più grande disprezzo per i diritti umani, delle garanzie di sicurezza e protezione politica. Con le donne curde e il popolo curdo riteniamo responsabile la Norvegia, ma anche i firmatari della Convenzione di Ginevra sui diritti d’asilo, per le drammatiche conseguenze di questo rimpatrio in un Paese come la Turchia in cui l’indipendenza della magistratura viene violata e dove l’uso della tortura è quasi sistematico. Chiediamo a tutte le istituzioni, al CPT (Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti), alla Corte europea per i diritti umani, al Parlamento europeo, di prendere atto di questa espulsione e di fare ciò che è necessario affinché l’attivista kurda sia considerata e giudicata prigioniera politica e che i suoi diritti fondamentali siano rispettati.


Invitiamo tutte le donne, le femministe, gli/le attivist*, le/i democratic* e tutt* coloro che si battono per i diritti fondamentali a denunciare questa palese violazione di una attivista la cui intera vita è stata una lotta per il riconoscimento dei diritti culturali e politici del popolo curdo ma anche una lotta per la liberazione delle donne.

STOP ALLE ESTRADIZIONI POLITICHE!

STOP ALLA CRIMINALIZZAZIONE DEI E DELLE CURDE!

LIBERTÀ PER GULIZAR TASDEMIR!

Per adesioni: solidarietadonnekurde@gmail.com, jin.mediaitalia@gmail.com 

ADESIONI:

 

  • Acrobax (Roma)
  • Alma Terra (Torino)
  • Amazora (Bologna)
  • assemblea permanente contro carcere e repressione di Udine
  • Associazione Ambrosia (Milano)
  • Associazione Dax 16 marzo 2003 (Milano)
  • Associazione Sakalesh (Palermo)
  • Associazione senza paura (Genova)
  • Autonomia diffusa
  • Black Panthers F.C. (Milano)
  • Casa delle donne di Milano
  • casa delle donne Lucha Y Siesta (Roma)
  • Casa internazionale delle donne e consorzio di associazioni che rappresenta (Roma)
  • CASC Lambrate (Milano)
  • Centro Politico Comunista Sandro Santacroce (Teramo)
  • CISDA (Milano)
  • Cobas Scuola-Ct
  • Collettivo autonomo studentesco Cosenza
  • collettivo femminista K.A.L.L. (Genova)
  • Collettivo studenti federico secondo (Napoli)
  • Comitato di base no MUOS Palermo
  • Comitato di base NoMuos/NoSigonella
  • Comitato Madri per Roma Città Aperta
  • Cooperazione Rebelde (Napoli)
  • CPOA Rialzo (Cosenza)
  • CS. TPO (Bologna)
  • CSO Ricomincio dal Faro (Roma)
  • CSOA Angelina Cartella (Reggio calabria)
  • CSOA Gabrio (Torino)
  • CSOA la Strada (Roma)
  • CSOA Lambretta (Milano)
  • CSOA officina 99 (Napoli)
  • DeGener_azione (Milano)
  • Donne in nero Roma
  • Ex Caserma Liberata (Bari)
  • Gruppo donne no dal Molin (Vicenza)
  • IAM – Iniziativa Antagonista Metropolitana (Firenze)
  • IFE Italia
  • infoaut.org
  • L.O. Ska (Napoli)
  • Labàs (Bologna)
  • Laboratorio Libertario Landauer (Catania)
  • Laboratorio metripolitano di cultura indipendente (Roma)
  • Las Sioux (Milano)
  • Le Mafalde di Prato
  • Lume- Laboratorio universitario metropolitano (Milano)
  • Lisangà culture in movimento (valSusa)
  • Mala Servanen Jin – Casa delle donne che combattono (Pisa)
  • Mamme in piazza per la libertà di dissenso (Torino)
  • Mamme no MUOS (Sicilia)
  • Mamme no TAP (Melendugno – Lecce)
  • Mensa Occupata (Napoli)
  • Milanoinmovimento
  • Movimento No TAP
  • Mujeres Libres (Bologna)
  • NDO – Napoli direzione opposta
  • NSM Non Solo Marange (Bari)
  • NUDM Bari
  • NUDM Milano
  • Rete Antirazzista Catanese
  • Rete Kurdistan Cosenza
  • Rete Kurdistan Roma
  • Senza Confine (Roma)
  • Sparrow (Cosenza)
  • Studenti Indipendenti Sapienza (Roma)
  • Ya Basta Bologna
  • ZAM- Zona Autonoma Milano
  • ZIP – Ex Autofficina Occupata (Milano)

Mano nella mano con la Rivoluzione delle Donne in Rojava

Le donne della Comune Internazionalista del Rojava hanno organizzato una delegazioneinternazionale femminista per far conoscere la realtà delle donne e la società della Rivoluzione. La lotta contro il patriarcato, la lotta per la libertà degli esseri umani e la natura (ecologia) è una lotta
internazionalista. Indipendentemente dalle diverse esperienze che abbiamo fatto nella nostra vita, il nostro cuore e il nostro respiro è all’unisono con la rivoluzione sociale. Alla delegazione hanno partecipato 15 donne da diversi paesi (USA ed Europa) per discutere, vivere autonomamente e direttamente la rivoluzione. Questa esperienza ci ha dato la possibilità di sentire, sviluppare e vivere la potenza e la forza delle nostre relazioni a livello globale.
La delegazione si è formata i primi giorni giugno alla Comune Internazionalista, dove ci siamo ritrovate. L’accademia internazionalista è dedicata a Sehid Helen Qerecox, martire ad Afrin. La prima città in cui abbiamo fatto degli incontri è stata Qamişlo, dove abbiamo incontrato le giovani donne che sono parte della rivoluzione con il gruppo Jinên Cîwan, che gestiscono uno spazio limitrofo ad una zona ancora controllata dal regime di Assad. Ragazze con diverse origini culturali perché provenienti da famiglie kurde, assire e turcomanne, che insieme organizzano corsi di teatro, sport, gestiscono una piccola biblioteca e offrono sostegno alle ragazze in difficoltà.
Con loro siamo andate alla stazione radio Dengê Cudî, la radio della rivoluzione, abbastanza potente da trasmettere anche a Nisebîn, l’altra metà della città che è sotto il controllo turco*, oggi separata dal muro che corre lungo il confine. La frequenza è 101.5 e la programmazione è gestita da giovani con approfondimenti che tentano di rappresentare le diverse sfaccettature della società. C’è un focus specifico sulle ragazze in cui vengono proposte delle letture ad alta voce e discussioni sul loro ruolo nella società e nella rivoluzione. La stazione è completamente autogestita, noi abbiamo partecipato al palinsesto con un momento ricreativo di grande forza, cantando una canzone originale dedicata alla rivoluzione, che finisce con lo slogan “Jin, Jian, Azadi”, Donna, Vita, Libertà!

A pranzo siamo state ospiti delle donne che partecipano al gruppo Forze di Difesa della Società, HPC-Jin (Hêzen Parastina Cîvaka). Le HPC sono forze di auto-difesa delle Comuni e in questo caso, come in tutte le altre strutture, le donne si organizzano autonomamente, pur coordinandosi con tutte le organizzazioni. Le donne, perlopiù madri e nonne, sviluppano la loro consapevolezza attraverso la filosofia di Abdullah Öcalan e con la pratica di anni di lavoro rivoluzionario. Più tardi ci siamo spostate nella sede di Asayîşa Jin dove abbiamo incontrato fantastiche giovani donne che lavorano instancabilmente per la difesa della società.

Sempre a Qamişlo siamo state invitate alla Mala Bîrindar, Casa dei Feriti. In un grandeedificio con giardino, orto ed alcuni animali da cortile, vivono, collettivamente, donne e uomini delle forze di difesa popolari YPG e YPJ pesantemente ferite durante i combattimenti. In questo momento sono impegnati in un riconoscimento più ufficiale in modo da avere accesso alle cure necessarie per i feriti più gravi, anche con l’aiuto di paesi esteri. Attualmente la loro capacità di ottenere trattamenti salva vita e terapie specifiche è fortemente limitato dall’embargo attivo (Iraq e
Turchia) e dal pessimo lavoro diplomatico a livello internazionale che ha permesso ad Erdogan di attaccare il cantone di Afrin pochi mesi fa. Fra le persone con cui abbiamo avuto la fortuna di pranzare, parlare, cantare e bere çay, abbiamo incontrato anche un partigiano che aveva combattuto proprio ad Afrin insieme alla nostra compagna internazionalista Şehîd Hêlîn Qereçox, che è caduta martire nel tentativo di liberare il cantone dalle forze di occupazione (militari turchi e jihadisti).
Dopo una pausa çay all’Accademia di Jineolojî International in Amûde siamo andate a Navenda Ciwanên Azad, il centro sociale della gioventù libera a Dîrbesiyê, dove abbiamo giocato a pallavolo, bevuto çay e ballato. La sera siamo andate in visita ad alcune famiglie dei martiri, abbiamo parlato con i genitori, con i fratelli e sorelle dei giovani membri delle forze di difesa popolare YPG-YPJ. Per la notte ci siamo divise fra alcune di queste famiglie, condividono con loro la colazione. La mattina seguente siamo partite per Jinwar, il villaggio delle donne libere.
Cosa possiamo dire di Jinwar? Il più bel posto creato qui. Appena siamo scese dal bus siamo state catturate da un’atmosfera che ci ha aperto alle possibilità e ci ha liberato dalle catene del ruolo. E’ un villaggio sperimentale aperto soltanto alle donne, nato come utopia ha trovato concretezza nel corso dello scorso anno. Quest’aria gioiosa è la creativa possibilità che si concretizza con il progetto. Girando nel villaggio possiamo vedere i luoghi in cui la comunità umana vivrà e crescerà in stretta connessone con la natura. Una consistente parte del villaggio è in costruzione, donne uomini stanno lavorando per portare a termine le strutture con la tecnologia tradizionale dei mattoni crudi. Le persone che lavorano sono principalmente uomini,
scettici quando il progetto è iniziato, si sono persuasi a poter venire per un çay nel loro giorno libero. Abbiamo pranzato insieme e trascorso alcune ore partecipando alla realizzazione di alcuni mattoni di terra cruda. La comunità sta già organizzando un orto con frutteto che permetterà
prima l’autonomia poi il commercio di prodotti della terra. Purtroppo la Turchia ha bloccato l’acqua del ruscello che scorre vicino, provocando una costante diminuzione di acqua che, nella stagione estiva, è particolarmente preoccupante.
Il giorno successivo abbiamo incontrato il Kongreya Star di Dîrbesiyê, l’ombrello di tutte le organizzazioni e istituzioni femminili, l’equivalente del TEV-DEM. Sono il riferimento per il coordinamento e l’organizzazione delle strutture autonome delle donne, ad esempio Mala Jin
(Casa della donna), dove abbiamo preso un çay poco dopo, è parte del Kongreya Star . La Casa delle Donne funziona come luogo della risoluzione dei conflitti, anche quando siamo arrivate per l’incontro, nella stanza vicina, stavano cercando una soluzione per questa situazione: un uomo
che ha vissuto in Europa per alcuni anni è tornato ed ha sposato una ragazza. Prima del matrimonio la ragazza aveva insistito che la condizione per sposarsi era che poi avrebbero vissuto come coppia nel territorio del Confederalismo Democratico del Nord della Siria. L’uomo aveva accettato ma ora aveva intenzione di trasferirsi in Europa. Altre donne si rivolgono per le violenze domestiche o le oppressioni che subiscono in famiglia.

Dalla città di Dîrbesiyê abbiamo viaggiato verso est lungo il confine fino a Serêkaniyê, altracittà divisa in due dal confine turco-siriano. Siamo state ospiti della Komîna Film Rojava ( https://www.youtube.com/watch?v=E3etVMFG7DU&feature=youtu.be ) che stanno lavorando ad un film sulle danze e canzoni tradizionali curde, realizzando documentari nei villaggi vicini.
Un lungo viaggio ci ha portato da Serêkaniyê a Kobanê, città divenuta famosa a livello internazionale per la resistenza opposta dalle donne delle YPJ che hanno portato alla definitiva liberazione del territorio dell’Eufrate dall’IS. La battaglia per la liberazione è costata centinaia di vite di giovani, appena arrivate siamo andate al Şehidlik, il cimitero dei combattenti morti per la liberazione della città, centinaia di persone.

“In questo luogo mi sono fatta molte domande ed ho sentito un profondo odio verso il sistema crescere in me, ho iniziato a capire che cosa significa la lotta contro il sistema e quale responsabilità abbiamo ricevuto dal sacrificio delle martiri.

Nella città di Kobanê abbiamo visitato il museo dei martiri e il Museo della Resistenza, un quartiere al confine turco che non è stato ricostruito dopo la
liberazione. Costituisce la memoria fisica delle conseguenze della guerra, il significato della resistenza e la distruzione. Le strade e le case sono colme di storie, le macerie raccontano di sofferenze, di violenza, di resistenza e l’estrema crudeltà dello Stato Islamico. Tutte le persone raccontano
dettagli dell’assedio di Kobanê, tutti conoscono le storie dei martiri che hanno sacrificato la loro vita per la libertà. La martire Şehîd Arîn Mirkan riveste un ruolo particolare nella storia della battaglia di liberazione. Il suo sacrifico ha cambiato il corso della resistenza, il suo coraggioso suicidio ha dato vigore e fiducia alle forze di difesa popolari mentre ha abbattuto il morale dei miliziani Daesh, poiché credono che se una donna ti uccide non andrai in paradiso. Abbiamo visitato l’altura in cui è avvenuta l’azione, Mistenur.
Fuori dalla città abbiamo incontrato un campo YPG dove le giovani ragazze combattenti ricevono un’educazione e preparazione militare. Un luogo ricco di energia positiva dove abbiamo bevuto çay conversando, ciascuna ci ha raccontato la sua storia personale, arricchendoci delle numerose sfaccettature che ha il tema dell’autodifesa. Il comandate e le ragazze combattenti ci hanno accolto ne loro ambiente quotidiano, pervaso di amore, profonda consapevolezza e senso di responsabilità, qui abbiamo condiviso un profondo desiderio di pace e libertà. Il campo presiede la sicurezza di alcune famiglie ezide provenienti da Afrin. Da qui siamo andate a visitare Mala Serokatîla, la casa in cui Abdullah Öcalan è stato per alcuni mesi prima di andare nella valle della Bekka in Libano, un posto simbolico per il movimento curdo perché qui Serok Apo ha elaborato una strategia, analizzando la situazione, alla base dello stesso movimento.

Infine le YPJ hanno reso possibile la visita di Raqqa e Tebqa, le due città arabe recentemente liberate dall’IS. Mentre a Kobane la battaglia si è svolta
principalmente a terra con le forze di difesa curde, in queste due città c’è stata la collaborazione degli attacchi aerei USA.
Sono territorio costellati di luoghi in IS ha commesso i crimini più atroci contro la società civile. La popolazione che è solo in minima parte tornata vive fra le macerie, fra palazzi mezzi crollati, perché ancora i segni della guerra sono dominanti.
La delegazione si è conclusa con la partecipazione al campo per giovani ragazze sul tema di Jineologî, un concetto iniziato da Ocalan che è una fusione di scienza, femminismo, studi di genere e storia dalla prospettiva delle donne. Abbiamo campeggiato con cinquanta ragazze sulle sponde dell’Eufrate, per cinque giorni abbiamo condiviso il quotidiano e le attività di formazione sulla storia del patriarcato, sulla conoscenza di se stesse, su Jineologî, le libere relazioni. Il pomeriggio era impegnato con workshop di musica, pittura, guida, lezioni di inglese e lingua curda. L’ultimo giorno lo abbiamo trascorso in piscina, divertendoci molto, alcune hanno imparato a nuotare, abbiamo ballato e ascoltato musica costruendo la nostra idea di hevaltî.
Poi è arrivato il momento di lasciare non solo le compagne del campo ma anche la stessa delegazione. In queste settimane abbiamo vissuto molto profondamente siamo state accolte e protette, abbiamo ascoltato e condiviso moltissime esperienze. Ma una è rimasta esclusa: Afrin.

In marzo la Turchia, il secondo esercito per grandezza della Nato, ha occupato il cantone di Afrin dopo circa 58 giorni di resistenza. Le milizie di occupazione stanno commettendo crimini, massacri e costringendo la popolazione a lasciare le proprie case e la terra che abitavano. Come donne della Comune Internazionalista del Rojava e come delegazione condanniamo l’occupazione. Afrin è e rimarrà parte della Confederazione Democratica del Nord della Siria. Sarà nuovamente libera, questo è l’obiettivo del movimento per la libertà dei popoli di tutto il mondo.

Abbiamo visto la complessità e la realtà della rivoluzione, la vita e la società nella Federazione Democratica della Siria del Nord, questo fa germogliare in noi nuove forme di resistenza. Siamo pronte a lasciare la Comune Internazionalista, piene di speranza, convinte che il mondo cambierà con il nostro cambiamento interiore.

Žene, Život, Sloboda! Jin, Jiyan, Azadî! Women, Life, Freedom!
Femmes, Vie, Liberté! Frauen, Leben, Freiheit! Mujeres, Vida, Libertad!

Kvinnor, liv, frihet! Donna, vita, libertà!

 

*Durante l’assedio della città nel 2016 ha svolto un ruolo importante per la comunicazione ed 1 informazione alla popolazione che stava cercando di difendersi dall’invasione militare turca.

Le donne insorgono per Afrin (WomenRiseUpForAfrin) e cresce la resistenza!

La nostra città di Efrîn diventa famosa nel mondo a partire dai selvaggi attacchi dell’esercito turco e dei suoi alleati jihadisti. E diventa famosa con la resistenza del suo popolo contro l’occupazione fascista. Efrîn è diventata il simbolo delle donne e della rivoluzione dei popoli, il simbolo di una democrazia multiculturale. Dall’inizio della storia umana, Efrîn e la sua natura giocarono un ruolo centrale nello sviluppo delle virtù umane promosse dalle donne, come l’agricoltura, la vita sociale e la solidarietà. La prima rivoluzione delle donne ebbe luogo in questa terra.

L’imposizione dell’oppressione maschile portò alla prima rottura di genere, che si è manifestata nel corpo, nella cultura e nell’esistenza della donna e della società. Il suolo e i valori delle dee-madri Taratha e Ishtar sono stati saccheggiati e occupati. Allo stesso modo, oggi assistiamo all’oppressione dell’uomo e all’occupazione militare, che mirano alla sottomissione delle donne, della società e della natura imponendo la loro cultura dello stupro, assimilazione e schiavizzazione. Ma la resistenza delle donne e della società non potrà mai essere distrutta.

Durante la rivoluzione in Rojava le donne si sono sollevate contro questo sistema di atrocità. Con la loro resistenza contro la coercizione degli Stati-nazione e i massacri commessi dai gruppi jihadisti come Daesh e Al-Nusra, passo dopo passo sul territorio del Nord della Siria, la terra delle dee-madri Taratha, Atargatis e Ishtar, è stata difesa e liberata dall’occupazione. Dal 2011 le donne hanno svolto una funzione guida nella creazione del sistema Democratico ed Ecologico, Auto-Governato e della liberazione delle donne. Il sistema è stato abbracciato da tutti i differenti popoli del Nord della Siria negli ultimi anni. La rivoluzione delle donne e della società del Rojava sprigiona speranza e diventa un esempio per le donne e i popoli di
tutto il mondo.

Con l’obiettivo di difendere questa speranza, di una vita in libertà contro l’aggressione, donne di tante differenti parti del mondo sono arrivate in Rojava, come le combattenti YPJ Hêlîn Qereçox (Anna Campbell) dall’Inghilterra e la compagna Lêgerîn Çiya (Alina Sanchez) dall’Argentina. Con amore e
fiducia profondi queste donne hanno dato la loro vita per difendere Efrîn e la seconda rivoluzione delle donne.
Il 20 gennaio 2018, l’attacco genocida dei fascisti dello Stato turco e dei suoi gruppi jihadisti è partito contro il cantone di Efrîn. Questi attacchi continuano fino a oggi, con tutta la loro ferocia. Centinaia di persone – donne, uomini, bambini e anziani – sono rimaste ferite e uccise durante i bombardamenti dei nostri villaggi e delle nostre città. Case, scuole, ospedali, infrastrutture dell’acqua, il Meydanke damm, campi, luoghi sacri e siti storici sono stati danneggiati e abbattuti dagli attacchi dell’esercito turco. Gli occupanti hanno saccheggiato le nostre case e le nostre terre. Tutti i tipi di tortura, assassinio, stupro e assimilazione sono stati imposti contro le donne e la società. Con la loro politica e lo scambio di armi, gli Stati europei, la Russia e gli USA hanno supportato le aggressioni dello Stato turco. Specialmente con l’alleanza russa, il regime fascista turco è in grado di portare avanti l’esecuzione del massacro ad Efrîn.
Con il loro silenzio le istituzioni interstatali come l’ONU e l’UE, hanno di fatto approvato dei crimini contro l’umanità. Come donne di Efrîn condanniamo le sporche politiche e le alleanze delle forze statali, e non dimenticheremo mai!

Con la minaccia di un genocidio su larga scala, il 18 marzo, insieme a circa 200.000 abitanti di Efrîn, abbiamo capito di essere obbligate e obbligati a lasciare la nostra terra. Da quel momento viviamo in condizioni difficili, senza aiuti o protezioni da parte delle istituzioni internazionali.
Siamo determinate e determinati a rilanciare la nostra resistenza e la nostra lotta finché avremo liberato la nostra Efrîn dall’occupazione fascista e dall’imposizione dello Stato turco.
Con questo intento annunciamo la seconda campagna “Woman Rise Up For Afrin”.
A margine della prima fase della campagna, attraverso la nostra resistenza e le azioni delle donne in tutto il mondo, la verità sul sistema istituzionale d’oppressione dal carattere fascista dello Stato turco e della sua occupazione è stato rivelato. Sotto lo slogan “Woman Rise Up For Afrin” in diversi paesi e luoghi nel mondo le donne hanno organizzato proteste, dipingendo i muri, fotografando, con il teatro di strada e altre azioni creative. Ma adesso è necessario raccogliere tutte le nostre forze per la liberazione di Efrîn e in difesa della rivoluzione delle donne, per combattere e vincere. Dobbiamo creare pressione tanto verso le istituzioni internazionali quanto verso gli Stati, perché queste istituzioni assumano le loro responsabilità nel contesto dei diritti universali, per fermare l’attacco genocida della cultura, del popolo e delle donne di Efrîn.

I nostri obiettivi e richieste:
– L’Organizzazione delle Nazione Unite, le istituzioni internazionali e le organizzazioni per i
Diritti Umani, devono assumersi le proprie responsabilità per garantire la sicurezza e i bisogni
umani al popolo di Efrîn!
– L’occupazione dello Stato turco deve finire. Il popolo di Efrîn deve tornare nella propria terra, la
liberazione dell’occupazione dev’essere protetta e garantita dalla comunità internazionale!
– Tutti i soggetti responsabili d’aver perpetrato crimini contro l’umanità contro la popolazione di
Efrîn come l’occupazione, lo stupro, l’omicidio, il saccheggio e il femminicidio devono essere
condannati per i loro crimini da una corte internazionale!
Ci appelliamo a tutte le nostre sorelle e compagne, a tutte le donne del mondo:
– Donne, insorgiamo – insieme porteremo avanti la nostra resistenza per la liberazione di Efrîn e la
vittoria della rivoluzione delle donne!
– Contro il femminicidio, costruiamo l’unione delle donne e sprigioniamo la rivoluzione delle
donne ovunque!
– Ovunque Efrîn – Ovunque Resistenza!

#WomenRiseUpForEfrîn
#StopTurkishFeminicideInEfrîn
Kongra Star Efrîn
8 April 2018