Da alcuni anni, nel Rojava e nord est della Siria, un nuovo progetto politico e sociale sta prendendo forma, nei territori liberati grazie alle Unità di difesa del popolo YPG e YPJ, dalla barbarie di ISIS e dall’oppressione del regime siriano. Un modello di vita ispirato ai principi del Confederalismo Democratico, ecologia e teoria di liberazione delle donne, teorizzato dalla figura carismatica di Abdullah Ochalan ma sviluppato in gran parte nelle montagne che attraversano il Kurdistan, dalle guerrigliere e guerriglieri curde che da più di 40 anni difendono la propria libertà contro i grandi poteri presenti sul territorio, Turchia in primis.
Una rivoluzione in continuo divenire e trasformazione, non senza contraddizioni e problematiche, con una prospettiva internazionalista e una lucida analisi sulle responsabilità del patriarcato nella costruzione di ogni oppressione, troppo poco conosciuta fuori da certi contesti geografici e politici, che ci chiama a schierarci e continuare a lottare.
25 Aprile, tra gli Appenini e Rojava, la resistenza continua, mai un passo indietro
Helin, raccontami una storia…
Una storia…una storia…
Dalle montagne di Qandil, tra Bakur e Rojilat, in questo Kurdistan diviso e massacrato eppure ribelle, ho difeso per anni la mia identità, il mio popolo, la mia terra colonizzata, il mio corpo di donna non più terreno di conquista, ma arma di liberazione. E con le mie compagne, uscendo dai rifugi invernali al primo sbocciare della primavera, guardavamo la cima di Cudi (Giudi) ancora piena di neve, in quel Kurdistan in mano alla Turchia che era nostro da sempre eppure da sempre dal potere negato.
Cudi (Giudi) la montagna, una di noi, come tutte le montagne, che da secoli difendono e proteggono partigiani, ribelli e rivoluzionarie, senza tradire mai. Dicevamo, io e le altre due, un giorno saliremo su quella cima e vedremo sorgere una nuova alba. Ed eravamo in tre, fucile in spalla e amore nel cuore, ma solo in due, un giorno, scalammo la cima e guardammo sorgere il sole in quella terra per cui l’altra aveva dato la vita. I martiri non muoiono mai perché vivono nei nostri ricordi e nella nostra lotta. Sehid namirin.
E da Cudi (Giudi) vedevamo un’immensa valle, giù, verso ovest, il Rojava e un lago pieno di vita e dicevamo, un giorno scenderemo e ci bagneremo in quell’acqua, perché sarà simbolo e testimone della nostra battaglia di liberazione. E fu Kobane, Rojava liberata, fu un vento nuovo di donne resistenti, di un’intera armata che voleva liberare una terra e liberare i corpi che l’abitavano, che lottava, sì!, contro la barbarie dell’Isis e contro il fascismo, ma anche contro millenni di patriarcato, e che dalle macerie cominciò a ricostruire quel mondo nuovo che portavamo nel cuore. E mi tuffai nel lago, e lo feci per me e per le altre due, che per quell’acqua e quel sogno avevano dato la vita. I martiri non muoiono mai. Sehid namirin.
E adesso non sono più solo curda, sono araba, armena, yazidi, assira. Sono argentina, zapatista, indiana, tamil, slava, catalana, terrona. Sono figlia di ogni terra e portatrice di resistenza. Perché dalle grotte di Qandil alla cima innevata di Cudi (Giudi) fino a qui, in questo lago, non è più solo il Kurdistan che difendiamo né solo la Turchia che combattiamo. Il fascismo è ovunque e ovunque ce ne libereremo. D’altronde l’abbiamo sempre fatto, secolo dopo secolo. Ci hanno imprigionato, bruciato, rinchiuso, ci hanno fatto bere olio di ricino e torturato, ci hanno marchiate, imbavagliate, hanno creduto possibile sconfiggerci, fatto passare per pazze. E invece come fenici risorgiamo. Perché la resistenza non muore mai, brucia dentro, dagli appennini fino alla selva lacandona.
E forse è qui, tra questa montagna e il lago, che iniziamo a scrivere una nuova storia, la storia, la nostra storia. Iniziamo a conoscerci e riconoscerci, noi donne ed altre identità mai riconosciute, iniziamo ad organizzarci, amarci, armarci. Con il kalashnikov, le scuole, le parole, il pane, le canzoni dei partigiani che sugli appennini, già allora, parlavano di noi. Non è tutto perfetto, liberare è un cammino verso un orizzonte lontano, ma forse ad ogni passo, possiamo farlo differente, migliore. Non abbandoneremo le armi per una promessa di un falso futuro, non seppelliremo le asce di guerra, non smetteremo di cercare e di domandarci e metterci in discussione. Questa società, questa terra, non sarà mai libera se le donne non saranno libere. E chi può mai liberarci se non noi stesse? E come possiamo essere libere fin quando tutte non saremo libere?
La resistenza non è una storia da raccontare, mia cara, non è un capitolo di un libro, la resistenza siamo noi, è la vita che diamo, la vita che vogliamo, la memoria che tramandiamo non come un ricordo ma come una promessa.
Helin?
Helin?
E adesso verso dove guardi?