Consegnare l’ISIS alla giustizia

Lo stato islamico, ISIS, è conosciuto per i suoi misfatti contro l’umanità quali genocidio, crimini di guerra, violenza sessuale e tortura. Al momento ci sono almeno 11.600 donne straniere affiliate dell’ISIS – provenienti da almeno 54 paesi diversi – detenute con i loro figli nei campi Roj, Aïn-Issa e Al-Hol in Siria del Nord-Est, dal futuro imprevedibile. I sospettati di far parte dell’ISIS in Siria – detenuti dalle SDF (Forze democratiche siriane) – sono stati processati dalle Corti di Difesa del Popolo, dove oltre 7.000 sono stati chiamati in giudizio e condannati ma ancora più di 6.000 rimangono in attesa di un processo.

In seguito alla sua abolizione, nella Siria del Nord-Est non è prevista alcuna pena di morte: da quando la regione ha ottenuto l’autonomia dal regime siriano la punizione detentiva massima consiste in 20 anni di prigionia. Il sistema giudiziario della Siria del Nord-Est garantisce l’accesso a un avvocato di difesa e il diritto di appello, iter totalmente diverso dai tribunali in Iraq, dove la pena di morte è ancora permessa e i diritti umani vengono costantemente violati.

La maggior parte delle donne e dei bambini sono detenuti nel campo di Al-Hol, un campo per rifugiati nella regione Hasakah in Siria del Nord-Est, ma il numero sempre crescente di arrivi al campo ha causato un punto di incrinatura. Cibo, cure mediche e istruzione sono forniti dalla direzione del campo, ma l’aumento del numero di persone sta causato molte difficoltà. Il campo costa più 700.000 dollari al giorno all’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est – una somma ingente – difficile da recuperare. Per permettere al campo di rimanere operativo, attualmente tale somma viene ricavata con il
taglio degli stipendi alle Forze Democratiche Siriane e di altri impiegati locali; differenti organizzazioni internazionali umanitarie vorrebbero lavorare nel campo, ma incontrano difficoltà burocratiche a causa della mancanza di uno status politico riconosciuto per la Siria del Nord-Est.

Negli ultimi cinque anni i sopravvissuti alla violenza dell’ISIS in Siria e in Iraq hanno chiesto giustizia internazionale ma la comunità internazionale rimane però tuttora in silenzio. L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est e l’Organizzazione delle Nazioni Unite chiedono e sollecitano la comunità internazionale a un’assunzione di responsabilità. I delegati umanitari delle Nazioni Unite hanno ammonito sul fatto che le persone nei campi si trovino in una situazione disperata e hanno fatto appello alla comunità internazionale al fine di assumersi la responsabilità dei propri cittadini. Al momento la singola responsabilità dei Paesi coinvolti rimane immobile e molti hanno negato il rimpatrio ai propri connazionali. Alcuni paesi come il Regno Unito, la Germania, l’Austria, la Finlandia, la Danimarca e il Kyrgyzstan hanno discusso e si sono mossi verso la revoca della nazionalità dei propri cittadini detenuti in Siria del Nord-Est. La revoca della cittadinanza agli affiliati stranieri del Califfato Islamico rende facile per potenti Stati-nazione consegnare la responsabilità e la questione della sicurezza agli Stati nazionali meno potenti e all’Amministrazione Autonoma nella Siria del Nord-Est.

Le SDF hanno reso noto che se le persone che hanno vissuto sotto l’ISIS e/o lo hanno supportato saranno lasciate allo stato attuale – senza una prospettiva politica di lungo termine –l’organizzazione della Regione Autonoma della Siria del Nord-Est si troverà ad affrontare molti rischi di sicurezza: per esempio la costante minaccia di un’invasione turca evidenzia che la detenzione o la sicurezza dei prigionieri ISIS non potrà più essere garantita.

Anche la partecipazione delle donne all’ISIS deve essere indagata. Molte fonti mediatiche occidentali le hanno descritte come vittime, ma le donne hanno svolto un ruolo chiave nell’ISIS svolgendo attività logistiche, amministrative e militari, educando all’ideologia fondamentalista ISIS i propri figli, creando un’organizzazione terroristica multigenerazionale; infine reclutando online nuovi stranieri. Le donne sono state anche coinvolte nella Polizia Morale che controllava il comportamento di ogni donna e il suo aspetto estetico e conforme alla legge islamica (Sharia) forzata da ISIS nella vita quotidiana. Le donne dovevano seguire – per non ricevere punizioni severe – regole rigorose in accordo con l’interpretazione dell’Islam fondamentalista. Le donne del Califfato Islamico erano in grado di combattere attraverso addestramento militare segreto nella Kattibah, una base di esercitazione militare al femminile allo scopo di “difendere” la propria casa. Ogni donna straniera che si univa allo Stato Islamico riceveva un addestramento militare obbligatorio, molte di loro erano presenti in prima linea durante i combattimenti.

Alcune delle donne che si sono arrese alla SDF – alla fine delle operazioni ad Al-Baghouz – hanno ammesso che fino a poco tempo prima erano combattenti attive dell’ISIS. Dobbiamo smettere di vedere le donne solo come vittime. Detto questo non possiamo negare che ci siano state anche donne che sono state rapite e forzate al matrimonio. Ma le donne devono essere indagate in ogni caso e, nell’ipotesi in cui la loro colpevolezza per crimini ISIS non possa essere provata, dovrebbero essere rieducate e reinserite nelle loro società di provenienza.

La paura è un potente strumento di controllo dell’ opinione pubblica ed è questo il metodo che molti Stati-nazione occidentali stanno utilizzando per la questione del rientro in madrepatria dei combattenti stranieri dell’ISIS (foreign fighters). Ma deve essere compreso che la questione non può essere lasciata solo nelle mani dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, sia per motivi che riguardano la sicurezza sia per le risorse a disposizione, ma anche perché i sopravvissuti alla violenza dell’ISIS meritano giustizia.

Soprattutto, l’ISIS non è un problema del Medio Oriente ma del mondo intero. I paesi sono riluttanti di riportare i sospettati ISIS nei propri territori a causa del timore che loro leggi e risorse nazionali non bastino a condannare l’affiliato ISIS rimpatriato. Questo è il motivo per cui i membri dell’ISIS necessitano di essere giudicati da un tribunale internazionale che si possa concentrare su casi come questo. Per poter fornire prove sufficienti e ascoltare i testimoni,  l’opzione migliore sarebbe istituire il tribunale in Siria del Nord-Est o in Iraq. Ma a causa delle violazioni dei diritti umani da parte del governo iracheno stabilire il tribunale internazionale in Siria del Nord-Est sarebbe un’opzione migliore. Un tribunale locale renderebbe anche la giustizia più visibile ai sopravvissuti delle violenze perpetrate da ISIS. Istituire il tribunale in Siria del Nord-Est non significa che l’Amministrazione Autonoma dovrebbe essere lasciata da sola in questo compito ma è richiesto l’aiuto della comunità internazionale.

L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est ha bisogno di aiuto soprattutto da parte di quei paesi che hanno i loro connazionali qui detenuti, cosi come del supporto delle Nazioni Unite, della Corte Penale Internazionale e della società civile mondiale. La decisione ufficiale dipende dalla partecipazione internazionale. Il tribunale da istituire necessita di essere riconosciuto a livello internazionale e la comunità internazionale deve contribuire  all’ammodernamento dell’infrastruttura, supportare le risorse per le necessità quotidiane dei prigionieri e delle persone che vivono nei campi, così come al supporto legale e alla formazione dei funzionari locali.

L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est non può essere lasciata fuori dalle negoziazioni di pace: è assolutamente necessario prendere coscienza del lavoro delle Forze Democratiche Siriane (SDF) dal momento che ci si è fidati di loro alla guida della campagna militare di terra contro l’ISIS, così come per l’arresto e la detenzione di migliaia di combattenti ISIS, trattati secondo i diritti umani e civili vigenti internazionalmente.

L’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est dovrebbe anche avere il diritto di prendere parte alle negoziazioni circa il futuro di questi combattenti e per la ricostruzione della Siria. Ma i suoi portavoce sono regolarmente esclusi dagli incontri ufficiali della Coalizione globale per sconfiggere l’ISIS e dalla Conferenza di Pace di Ginevra sulla Siria: ciò significa che i rappresentanti internazionali non hanno rapporti puntuali di cosa stia succedendo realmente in
campo, informazioni assolutamente necessarie per superare la continua minaccia dell’ISIS.

Il popolo della Siria del Nord-Est sta creando un’esperienza di pace e di democrazia in un’area devastata dalla guerra, mostrando al mondo intero un esempio di auto-organizzazione e co-esistenza democratica.

Il mondo gli deve riconoscere lo status politico della Siria del Nord-Est come parte autonoma della Siria. Fino a che il suo status politico rimarrà incerto e minacciato da confinanti ostili – soprattutto la Turchia – giustizia non potrà essere fatta. Per di più in questa situazione è impossibile garantire la detenzione sicura di migliaia di prigionieri ISIS, così come mantenere la pace in tutta l’area.

In questo momento il governo turco sta minacciando di attaccare le regioni a est dell’Eufrate; abbiamo già assistito alla guerra nella regione di Afrin – lo scorso anno – dove l’invasione da parte della Turchia e il supporto ai jihadisti ha destabilizzato del tutto l’area, permettendo l’introduzione della Sharia, la tortura e la violenza sessuale in un territorio che è stato uno dei luoghi di partenza della rivoluzione democratica. Afrin è stata anche la casa di migliaia di sfollati interni (IDPs) fin dall’inizio della guerra in Siria.

Non vogliamo che questo succeda ancora.
C’è la minaccia di una nuova guerra e senza il supporto della comunità internazionale questo porterà a una nuova ascesa dell’ISIS.

YPJ International
27 Luglio 2019 – YPJ International Fighters Info Office

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