A Jinwar è sbocciato un nuovo fiore

A Jinwar è sbocciato un nuovo fiore: è l’ambulanza per Sifa Jin!

A Jinwar, l’ecovillaggio delle donne, è sbocciato un nuovo fiore della solidarietà, della sorellanza e dell’amore internazionalista. Seminato e curato da Rete Jin col sostegno di Cisda, innaffiato da artist* di varie parti d’Italia con il regalo della loro arte, concimato da quant* hanno effettuato le donazioni. È l’ambulanza per Sifa Jin, il centro di salute e cura, acquistata grazie alla campagna di raccolta fondi “Arte per Jinwar”, in nome di un obiettivo comune: la costruzione del confederalismo mondiale delle donne. Jin, Jiyan, Azadi!

Il video di ringraziamento da Jinwar dopo l’acquisto dell’ambulanza per Sifa Jin

In Jinwar, the women’s ecovillage, a new flower of solidarity, sisterhood and international love has blossomed. This flower has been sown and grown by Rete Jin with the support of Cisda. This flower has been watered by artists coming from different parts of Italy who have donated their works of art. This flower has been fertilized by those who have made donations. This flower is the ambulance for Sifa Jin, the healthcare centre, bought thanks to the fundraising campaign “Art for Jinwar”, in the name of a common goal: the creation of the world women’s confederation.
Jin, Jiyan, Azadi!

Ringraziamenti da Jinwar

Condividiamo il video da parte delle compagne e amiche di Jinwar di ringraziamento per la raccolta fondi.

Condividiamo il video da parte delle compagne e amiche di Jinwar di ringraziamento per la raccolta fondi 🎨 ARTE PER JINWAR 🎨 promossa da ReteJin 🌺

Il video si trova anche sul nostro canale Jin Media IT.

Grazie ancora a voi tutt3 che state sostenendo la raccolta fondi 🌱

JIN JIYAN AZADI ✌🏽🌹

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100.000 firme per 100 motivi

Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!

ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO PER LE SUE POLITICHE FEMMINICIDE! 100 MOTIVI PER CONDANNARE IL DITTATORE

La storia recente dell’umanità dimostra che, durante i regimi dittatoriali, si registra il numero più alto di catastrofi. Esempi sono: il Genocidio armeno, la Shoah, i genocidi dei colonizzatori contro le popolazioni indigene in America, nonché i numerosi massacri in luoghi come il Medio Oriente, incluso il Kurdistan. L’umanità ha dovuto affrontare tutti i tipi di genocidi, in particolare negli ultimi due secoli. Secondo la definizione della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, per genocidio si intende “uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, una nazione, etnia, razza o religione, in quanto tale: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri di quella collettività; infliggere deliberatamente certe condizioni di vita al gruppo, calcolate per causarne la distruzione fisica totale o parziale; imporre misure progettate per prevenire le nascite all’interno della comunità; trasferire con la forza i bambini di un gruppo ad un altro gruppo.” La definizione ampiamente accettata di dittatura descrive la monopolizzazione/concentrazione del potere nelle mani di un sovrano per rimanere leader supremo.
Queste definizioni, secondo gli standard legali internazionali, offrono una ragione sufficiente per suggerire che Erdogan è un dittatore e, pertanto, dovrebbe essere processato per i suoi crimini. Il dittatore, che funge da presidente della Turchia, ha una mentalità machista, fascista e razzista che prende di mira le donne curde in modo consapevole, pianificato e specifico. In 18 anni di governo dell’AKP, Erdogan è diventato il principale autore di un sistema che si macchia di massacri, omicidi e stupri mirati e sistematici nei confronti delle donne.

Il 29 ottobre 2009, un obice dell’esercito turco ha ucciso la dodicenne Ceylan Onkol mentre stava pascolando le sue pecore. Il 9 gennaio 2013 Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Şaylemez sono state assassinate a Parigi dai servizi segreti turchi. Kader Ortakaya è stata colpita alla testa nel novembre 2014, mentre cercava di attraversare Kobane durante l’assedio di Daesh. La giovane attivista Dilek Doğan è stata uccisa, nella sua casa, dalla polizia il 18 ottobre 2015. Nel dicembre 2015, il corpo di Taybet Inan, una civile uccisa dalle forze armate turche, è stato lasciato marcire per le strade durante il coprifuoco a Silopi. Il 4 gennaio, le attiviste curde Seve Demir, Pakize Nayir e Fatma Uyar sono state massacrate dal fuoco dell’esercito a Silopi sotto l’assedio dell’esercito. Il 12 ottobre 2019, l’attivista e rappresentante politica delle donne curde Hevrin Khalaf è stata uccisa dalle forze islamiste, sostenute dalla Turchia, durante l’operazione di stato turco “Fonte di pace” a Serekaniye (Ras al-Ain) nel nord Siria. Nel giugno 2020, tre attiviste donne curde del movimento ombrello Kongra Star sono state uccise in un attacco di droni turchi contro una casa nel villaggio siriano settentrionale di Helince de Kobane. Purtroppo, potremmo aggiungere molti altri esempi.
La violenza contro le donne è aumentata di oltre il mille per cento in Turchia. Lo stupro sta diventando sempre più frequente. Le donne sono sistematicamente escluse dai circoli politici (inclusa la reclusione per impedire di parteciparvi). Tutto questo va aggiunto alla criminalizzazione del lavoro accademico, artistico e professionale. La nostra memoria e la nostra rabbia sono vive perché ogni giorno affrontiamo un nuovo massacro.
Abbiamo il coraggio e il potere di giudicare i responsabili, gli autori di questo massacro. Abbiamo ragioni e prove sufficienti per questo. Abbiamo anche abbastanza consapevolezza e capacità di analisi per riconoscere che questi massacri sono tutti crimini di guerra. Come movimento delle donne curde, abbiamo combattuto attraverso campagne, azioni e resistenza contro il femminicidio nel nostro Paese. Con la nostra campagna “100 motivi per condannare il dittatore”, ci ribelleremo contro il principale autore di questi crimini, Recep Tayyip Erdogan.
Per essere precisi, nei 18 anni al potere, Erdogan ha commesso non 100, ma migliaia di crimini. Tuttavia, come donne, abbiamo deciso di concentrarci su crimini efferati, per i quali deve pagare affinché la nostra coscienza trovi pace. Non formuleremo una frase del tipo “Il numero di incidenti e morti è impossibile da contare”. In quanto donne, non condanniamo questi crimini solo sulle base delle prove che abbiamo raccolto. Li condanniamo anche alla luce della nostra ideologia, coscienza, posizione e spinte dal bisogno di soddisfare le nostre richieste. Non possiamo accettare che Erdogan sia come gli altri, che sono sempre stati visti come “leader di Stato”, e come “dittatori” solo dopo che i loro crimini di guerra sono stati smascherati o dopo la loro morte. Chiediamo che venga processato adesso. La nostra lista dei crimini commessi da Erdogan è abbastanza lunga e non vogliamo che diventi ancora più lunga.
Come Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E), vogliamo raccogliere 100.000 firme per 100 motivi per opporci al dittatore e ai suoi mercenari nell’abuso di potere, e ai militari e alla polizia per violenza e ingiustizia. Nella prima fase della nostra campagna, nei 104 giorni che intercorrono tra il 25 novembre 2020 e l’8 marzo 2021, daremo ogni giorno un altro “motivo”, condividendo le storie delle donne assassinate dallo Stato.


Contro il dittatore, che riesce a commettere nuovi massacri ogni giorno, vi parleremo delle donne assassinate. Vogliamo che entrino per sempre nelle pagine della storia e nella memoria dell’umanità. Le firme che raccoglieremo costituiranno il primo passo per gettare le basi per il lavoro legale, sociale, politico e d’azione che intraprenderemo, con il massimo impegno per perseguitare il dittatore.
Nella seconda fase, porteremo le nostre firme e i crimini che registriamo e tutte le prove che raccogliamo all’ONU e ad altre istituzioni competenti per chiedere l’avvio del processo di riconoscimento del femminicidio come crimine simile al genocidio. Il fallimento delle Nazioni Unite nel fare ciò che è necessario incoraggia dittatori come Erdogan, che rappresentano la forma
istituzionalizzata della mentalità dominata dagli uomini.

Ogni firma che raccoglieremo rappresenterà un passo in avanti per mettere sotto processo il dittatore, così come ogni voce in più che si alzerà e diventerà azione restringerà lo spazio a disposizione dei dittatori.
Puoi aggiungere potere al nostro potere, la tua voce alla nostra voce per eliminare il dittatore dalla nostra vita, prendendo parte a questa campagna su www.100-reasons.org.

ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO per le sue politiche femminicide! 100.000 firme per 100 motivi

Molto tempo fa, l’AKP ha promesso di democratizzare in modo significativo la Turchia, applicare le regole dello Stato di diritto, risolvere questioni interne come la questione curda attraverso mezzi politici, costruire un sistema parlamentare pluralista e democratico, con tolleranza zero per la
tortura e nessun problema con paesi confinanti. Per anni, queste promesse hanno accresciuto le aspettative per le urgenti richieste di cambiamento della società. Tra le promesse c’era la lotta al sessismo e all’uguaglianza di genere. Nei 18 anni di governo dell’AKP, la Turchia non solo non è riuscita a mantenere queste promesse, ma ha fatto passi indietro nel tempo in modi senza precedenti. Insieme al suo partner di coalizione, l’ultranazionalista “Partito del Movimento Nazionalista” (MHP), il governo ha istituito un governo dittatoriale/fascista di una sola persona, prendendo il controllo di tutti gli organi statali, eliminando la libertà di pensiero e di espressione, trasformando il sistema giudiziario nel più grande veicolo di ingiustizia nello smantellamento della divisione dei poteri. Il governo di Erdogan usa sconsideratamente tutti le risorse del funzionamento statale contro coloro che si oppongono al suo governo. Cerca di eliminare ogni opposizione attraverso l’omicidio, la prigione, la tortura, lo sfollamento forzato e l’espropriazione. Inoltre, le persone vengono messe a tacere con minacce di licenziamento, intimidazioni e ricatti.
A livello nazionale, il governo Erdogan ha trasformato il Paese in una prigione a cielo aperto, un regime di paura con metodi dittatoriali. Parallelamente, lo Stato ha fatto ricorso a aggressioni e ricatti nella sua politica estera oggi più che mai.

Sebbene il governo avesse promesso “zero problemi con i vicini”, il paese ora ha problemi con quasi tutti i suoi vicini nella regione e oltre. Nella sua ricerca dell’egemonia regionale basata sul sogno neo-ottomano, l’AKP conduce guerre in Siria, Iraq e Libia. Usa spesso l’ISIS e gruppi simili come mercenari per l’occupazione. Usa regolarmente il ricatto come parte della sua politica estera per far rispettare la sua volontà (il cosiddetto accordo sui rifugiati con l’UE è un esempio). In questo momento, la Turchia, sotto l’AKP, rappresenta una minaccia e un pericolo per l’intera regione. Siamo consapevoli di questi eventi nella misura in cui sono coperti dalla stampa. Tuttavia, c’è un’altra guerra pericolosa guidata dall’AKP che non viene riportata dai media e che è assente dalle agende mondiali: una guerra femminicida contro le donne!
Con la crescente aggressività delle politiche interne ed esterne del governo Erdogan, sono aumentate anche le politiche femminicide. Con le sue politiche femminicide, l’AKP sta anche conducendo una politica “societicida”, di uccisione della societá. Il fascismo, come il sistema più profondamente dominato dagli uomini, può continuare la sua esistenza solo approfondendo lo stato di colonizzazione delle donne.
La Turchia è il Paese con il maggior numero di prigioniere politiche. Durante il governo dell’AKP, la violenza contro le donne è aumentata del 1400%.

L’esplosione di femminicidi e violenza contro le donne non è una coincidenza, né è scollegata dalle politiche statali. Nelle regioni sotto l’occupazione dello Stato turco, le donne vengono rapite, violentate, vendute e massacrate. C’è un serio attacco alla volontà e alla capacità delle donne di decidere sulla propria vita. Le donne sono oggettivate e costrette ad assumere ruoli di genere tradizionali. Le donne affrontano costantemente il soffocamento da parte dello Stato e della società patriarcale che esso riproduce.
Come in tutte le parti del mondo, le donne costituiscono un’importante dinamica di opposizione in Turchia. Il movimento delle donne curde è in prima linea in un serio risveglio. Non è un caso che le politiche femminicide di Erdogan aumentino ogni giorno in cui cresce questo risveglio. Con il femminicidio, lo Stato sta cercando di eliminare l’opposizione e quindi ogni potenziale forza di cambiamento. L’obiettivo è tenere in ostaggio la società.
Il fatto che il femminicidio non sia ancora riconosciuto come crimine contro l’umanità significa che Stati e dittatori che ricorrono al femminicidio non hanno paura di essere ritenuti responsabili. Finché il femminicidio non sarà trattato come un crimine contro l’umanità, non sarà possibile condurre una lotta credibile ed efficace contro le politiche sociali come il genocidio.
Con questa campagna, vogliamo attirare l’attenzione sulle politiche femminicide dell’AKP e di Erdogan.

Vogliamo giustizia e chiedere un processo giudiziario dell’AKP. Con questa campagna vogliamo essere la voce di tutte le donne del mondo che sono soggette a violenza e attirare l’attenzione su tutti i crimini di stato commessi contro le donne. Vogliamo porre fine alla violenza contro le donne commessa nella Repubblica Turca attraverso ii femminicidio, dove ogni giorno una donna viene uccisa dalla violenza sessista.

Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!

web: www.100-reasons.org
mail: signatures@100-reasons.org / info@100-reasons.org
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TJK-E (TEVGERA JİNÊN KURD Lİ EWROPAYÊ)
www.tjk-e.com
international-relations@tjk-e.com

No al genocidio e all’occupazione, proteggiamo le donne e la vita insieme

La rivoluzione delle donne non si ferma e ora più che mai ha bisogno della solidarietà attiva della società civile internazionale.

di Fabiana Cioni

Nei territori della Federazione Democratica della Siria del Nord e dell’Est (Rojava) le organizzazioni delle femminili il 10 novembre hanno presentato a Qamislo le attività in programma per celebrare la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Il processo rivoluzionario si fonda sulla liberazione delle donne perché soltanto affrontando e abbattendo la prima forma di colonizzazione, di sfruttamento e schiavitù emersa nel corso dell’evoluzione della storia dell’essere umano, può compiersi la trasformazione radicale della società verso quella che Ocalan ha chiamato “Modernità Democratica”. Una democrazia dal basso che viene costruita dalla popolazione quotidianamente, in cui le donne con impegno e consapevolezza si auto-organizzano in associazioni, cooperative, organizzazioni territoriali sui temi della salute, dell’economia, dell’ecologia, dell’autodifesa, tutte riunite in Kongra Star, associazione di associazioni. Kongra Star ha lanciato a livello internazionale la campagna di raccolta firme per rendere più intensa la solidarietà tra le donne contro l’occupazione e il genocidio che terminerà il 25/11. Il genocidio è espressione della mentalità nazionalista che non può accettare, per definizione, la molteplicità delle presenze culturali, linguistiche e religiose della società e il femminicidio è lo strumento che viene utilizzato per sopprimere le diversità e distruggere la società. Per sostenere la campagna clicca qui.

Nel corso del mese di novembre le associazioni di donne organizzeranno workshop e incontri di formazione sui temi del matrimonio nell’infanzia, sulla parità di genere, sull’aumento della violenza con la pandemia da covid-19 e sulla partecipazione alle scelte politiche. Nessuna donna è lasciata indietro perché la società democratica ha bisogno di tutte le sfumature e soltanto se c’è una partecipazione diffusa può realizzarsi l’utopia concreta dell’autogoverno e della vita libera insieme.

Free life together

Jinwar è l’eco-villaggio delle donne, auto-costruito con mattoni di terra cruda riappropriandosi del sapere ancestrale delle donne a cui la Dea Cosmica trasmise l’arte della modellazione della creta. A Jinwar le donne imparano a liberarsi dai legami di subalternità fisica, psicologica ed emotiva dei maschi con un processo di conoscenza, consapevolezza e pratica di vita insieme seguendo Jineolojî. La Jineolojî, definita come scienza dalla prospettiva delle donne, nasce da più di 40 anni di lotta del movimento delle donne curde. è considerata la scienza della società democratica perché Jineolojî coniuga teoria e prassi affinché si realizzi una società ecologica in cui comunitariamente sono gestiti i beni comuni, l’economia, la salute, la formazione, l’autodifesa.

Jinwar è stato inaugurato il 25 novembre 2018 ed è aperto a tutte le donne, senza distinzione di religione, lingua, cultura, che abbiano bisogno di essere accolte. Nel villaggio vivono donne arabe, curde, yezide, alcune sono vedove di martiri per la liberazione, altre si sono allontanate dal marito o dalla famiglia a causa delle continue violenze subite, altre ancora perché  desiderano formarsi, imparare, acquisire un approccio olistico ai problemi e partecipare ad una esperienza collettiva da portare successivamente nella società. La comunità vive collettivamente fuori dalla logica del mercato, in connessione con i ritmi naturali, recuperano i saperi dell’agricoltura tradizionale e si rendono autosufficienti. Le donne a Jinwar cercano nel passato remoto le radici di una relazione ecologica con il mondo naturale, consapevoli di custodire alcune reminiscenze della civiltà neolitica della Mesopotamia nelle usanze popolari trasmesse di madre in figlia e non ancora completamente sradicate dalla modernità capitalista.

Gli edifici si articolano intorno a forme geometriche elementari che simbolicamente richiamano la Dea Cosmica come il triangolo e il cerchio. La spiritualità per millenni è stata interna alla natura, un lunghissimo periodo in cui le comunità umane svilupparono società ecologiche con al centro la cura per il gruppo, il benessere della collettività e il sostegno reciproco. A Jinwar le donne rendono attuale questa visione olistica del mondo e delle relazioni umane senza escludere la tecnologia che viene valutate rispetto all’ecosistema complessivo. Per esempio il progetto di autosufficienza energetica è in parte realizzato con l’allestimento di una serie di pannelli fotovoltaici sul tetto dell’Accademia delle donne.

Sifa Jin

La cura del corpo come riappropriazione del primo territorio da difendere è un principio di Jinwar che trova espressione nel centro di Medicina Naturale Sifa Jin. è stato inaugurato nella settimana dell’8 marzo di quest’anno, il centro è aperto anche alle donne e famiglie dei villaggi vicini (gli uomini adulti sono visitati soltanto se anziani o se gravemente malati e impossibilitati a raggiungere il più vicino ospedale). Le donne con Sifa Jin hanno l’obiettivo di riappropriarsi della conoscenza olistica del corpo avvicinandosi ad una epistemologia ancestrale, condivisa con i pueblos originarios, che si prenda cura dei corpi e del territorio. In cerchio condividono i saperi del passato riconciliandosi con la natura, entrano in contatto con i suoi cicli per produrre olii essenziali, unguenti e tisane. La formazione avviene in modo formale e informale, per esempio i dialoghi durante la raccolta delle erbe sono scambi di saperi e approfondimento.

Dalla sua apertura circa 1000 donne si sono recate a Sifa Jin ed è molto positivo che questo presidio sia stato aperto poco prima della diffusione anche in Rojava del virus covid-19 perché anche le famiglie che vivono vicino sono state informate e hanno avuto una formazione sulla regole da seguire per il contenimento, oltre a ricevere le necessarie cure. Per potenziare la presenza sul territorio del presidio sanitario il collettivo di Jinwar ha attivato un progetto per l’acquisto di un’ambulanza. In Italia Cisda (coordinamento donne afgane) e Rete Jin hanno organizzato una campagna di raccolta fondi, questo è il momento di esprimere la solidarietà donando al progetto Arte per Jinwar.

La diffusione di Covid-19 sta progredendo anche in Rojava, l’ultimo bollettino relativo a ottobre evidenzia il raddoppio dei casi in un solo mese, i posti letto attrezzati sono meno di 60 per una popolazione di circa un milione di persone. La situazione già critica potrebbe peggiorare notevolmente con l’arrivo dell’inverno. La Mezzaluna Rossa Kurda segnala la mancanza di ventilatori, kit per fare i test e i dispositivi di protezione personali. L’embargo continua a gravare sulla popolazione nonostante la pandemia. Per arginare la rapida diffusione dell’epidemia la regione dell’Eufrate, compresa la città di Kobanê, è sotto coprifuoco da 15 novembre per due settimane. La Turchia continua ad attaccare e costruisce nuove postazioni nei pressi di Dirbêsiyê.

Ma la rivoluzione delle donne non si ferma e ora più che mai ha bisogno della solidarietà attiva della società civile internazionale.

JIN JIYAN AZADI!

Fabiana Cioni è attivista in solidarietà con MLK, dottoranda IUAV Università di Venezia.

Il presente articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2020 col titolo “Non solo violenza di genere, c’è anche un nemico invisibile per le donne curde del Rojava su Left.

Le donne turche insorgono contro Erdoğan dopo l’uccisione di una ragazza

Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato.

Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato; condannate le politiche del regime del presidente Recep Tayyip Erdoğan, incapaci di arginare il recente aumento di violenza sulle donne.

Traduciamo da Kongra Star (23 luglio 2020).

Un crimine orrendo, vittima la giovane [studente] turca Pinar Gültekin: secondo Al Ain News, il fidanzato Jamal Matin Avci l’ha colpita e poi strangolata fino alla morte, quindi, dopo aver provato invano a bruciarlo, ha messo il corpo in una botte e l’ha trasportato in una foresta nell’ovest della Turchia per darlo alle fiamme.

Dopo la scoperta del delitto, l’opinione pubblica è insorta ed è scesa in piazza per esprimere rabbia per l’accaduto e chiedere che il governo adotti misure più efficaci per fermare la violenza contro le donne, che ha visto un’escalation negli ultimi anni.

A Istanbul, un gran numero di donne si è riunito nei quartieri di Beşiktaş, nel lato europeo della città, e di Kadıköy, nel lato asiatico, e ha condannato l’incidente. L’evento ha visto la partecipazione di un alto numero di artiste e artisti che rifiutano questi avvenimenti, della piattaforma “Fermeremo il femminicidio” (“Kadın Cinayetlerini Durduracağız” Platformu) e dei consigli di quartiere delle donne della città.

Le manifestanti recavano striscioni con slogan di condanna – “Non staremo in silenzio dinanzi a questi avvenimenti”, “È tempo di applicare l’accordo di Istanbul” per prevenire e combattere la violenza contro le donne – e immagini della giovane uccisa, gridando “Basta morte”, “Distruggeremo la vostra mascolinità” e “Rispettate l’accordo di Istanbul”.

In un discorso tenuto alle manifestanti, la segretaria generale della piattaforma Fidan Ataselim ha affermato: “Metteremo fine ai crimini commessi contro le donne”. “Siamo così adirate che non abbiamo intenzione di fare un solo passo indietro. Abbiamo firmato l’accordo di Istanbul e il regime vuole revocarlo”. In precedenza, a proposito di tale accordo, il vice-presidente parlamentare di Giustizia e Sviluppo (AKP) Numan Kortulmush ha dichiarato: “Proprio come questo accordo è stato firmato secondo le procedure, allo stesso modo verranno prese misure per uscirne”. Questa presa di posizione ha causato paura e panico tra le donne turche: per le loro vite, specialmente alla luce del pericolo concreto che minaccia i bambini e [soprattutto] le bambine.