BI JIN JIYAN AZADÎ RE BER BI ŞOREŞA JINÊ!
CON JIN JIYAN AZADI, FINO ALLA RIVOLUZIONE DELLE DONNE

In occasione dell’8 marzo 2023, ricondividiamo un comunicato del TJK-E, movimento delle donne curde in Europa.

Vogliamo ribadire ancora un volta che le donne sono l’avanguardia della rivoluzione, e che non ci potrà essere società libera fino a quando anche una sola di noi sarà oppressa.

In periodi di crisi profonda come questo, la violenza e il fascismo degli stati-nazione e della Modernità Capitalista si riversano sulle donne, con attacchi quotidiani alle loro libertà di scelta, di movimento e di autodeterminazione.

Difendiamo e rivendichiamo con orgoglio il principio di autodifesa, di organizzazione e di autonomia per lottare collettivamente e con una prospettiva internazionalista.

LA NOSTRA VENDETTA SARÀ LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE


Dal Movimento delle donne curde in Europa -TJK-E


Come popolo e donne curdi, accogliamo l’8 marzo in un momento in cui le crisi causate dalla modernità capitalista minacciano il nostro diritto alla vita. Nonostante ciò, la nostra determinazione a resistere a queste forze è grande e incrollabile come il nostro dolore e la nostra perdita. Le nostre ragioni di lotta sono più forti che mai, poiché gli attacchi del dominio maschile e la continua alleanza tra Stato e capitalismo contro le donne si sono trasformati in una guerra tra sistemi.


Le pratiche delle multinazionali, il nuovo volto del fascismo, delle dittature e del colonialismo, si combinano con la violazione della libertà delle donne e il saccheggio della natura. I conflitti all’interno delle potenze egemoniche e le loro politiche orientate al profitto non offrono alle donne e alla società altro futuro che la guerra, la migrazione, la distruzione, la violenza e la povertà. Il sole dell’umanità si sta oscurando. C’è un’ondata di sfruttamento e di attacchi da parte del dominio maschile in tutte le parti del mondo. Dall’Afghanistan ad Abya Yala, dall’India all’Africa, la resistenza delle donne sta crescendo in risposta.
Siamo l’onda più forte di questa resistenza. Sappiamo che non possiamo vivere se non intrecciamo le nostre vite con essa ogni giorno. Lo sappiamo grazie a ciò che abbiamo vissuto quest’anno. Abbiamo detto che il capitalismo e il fascismo significano la distruzione della società. E purtroppo questa affermazione è stata confermata ancora una volta dal terremoto che si è verificato il 6 febbraio nel nostro Paese, il Kurdistan, e nelle città della Turchia e della Siria. La dittatura dell’AKP e le politiche fasciste hanno aggravato le conseguenze di questo disastro, che ora può essere descritto come un crimine contro l’umanità.

Riconosciamo il volto più brutto del fascismo nelle grida delle donne e dei bambini sepolti sotto le macerie, nelle grida delle loro vite sepolte. Abbiamo detto che questo sistema dominato dagli uomini porta al femminicidio. Lo sappiamo dalla realtà del nostro Paese, il Kurdistan. Conosciamo gli attacchi quotidiani, le uccisioni di donne pioniere nel nostro Paese. Conosciamo le occupazioni perpetrate, con la complicità delle forze internazionali, dopo aver fallito nel tentativo di sconfiggere la rivoluzione delle donne del Rojava, la speranza di tutti i popoli del mondo, attraverso lo Stato Islamico.
Sappiamo che lo Stato turco è diventato così brutale da uccidere con armi chimiche le donne guerrigliere che, con 30 anni di pratica di autodifesa, hanno insegnato alle donne il coraggio, la fiducia in se stesse e l’esperienza nella difesa. Conosciamo il fascismo che ha estromesso le donne dalla politica e dalle amministrazioni locali. Il fascismo che non sopportava di vedere donne deputate e sindaci eletti dalla volontà popolare, che le faceva pagare e le sbatteva in prigione.
Li conosciamo per le loro leggi che mettono a tacere e imprigionano le donne accademiche e giornaliste che cercano di denunciare le ingiustizie e le pratiche del fascismo. Sono donne che si battono per la verità e sono quelle che vengono arrestate, mentre i matrimoni tra minori sono permessi, i molestatori di bambini e gli stupratori sono lasciati liberi. Lo sappiamo perché con una parola del dittatore questo Paese si è ritirato dalla Convenzione di Istanbul e ha tolto alle donne i diritti che avevano conquistato. Conosciamo coloro che temono la liberazione delle donne, che temono persino i loro capelli. Conosciamo coloro che hanno assassinato Jina Amini. Abbiamo sperimentato la bassezza di questa mentalità quando hanno assassinato le nostre compagne Sakine Cansız, Fidan Doğan, Leyla Şaylemez e dieci anni dopo Evin Goyi a Parigi.


Tutto è iniziato quando le donne si sono organizzate per diventare una forza trainante piuttosto che una semplice parte della rivoluzione. Hanno aperto la strada alla rivoluzione delle donne imboccando la strada dell’ecologia democratica e del paradigma di liberazione della donna, invece di seguire la mentalità del sistema. In questa marcia rivoluzionaria, il sapere delle donne ha permesso lo sviluppo dei Jineolojî. La Jineolojî ha iniziato a trasmettere la resistenza e le esperienze delle donne curde a quelle di tutto il mondo. Ha iniziato scoprendo la formula magica che permetterà di liberare la vita: JIN JYAN AZADÎ.

IN MEMORIA DELLE MARTIRI DI PARIGI: POSSONO UCCIDERE LE RIVOLUZIONARIE, MA NON POSSONO FERMARE LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE!

9 gennaio 2013: Ömer Güney, su mandato dei servizi segreti turchi, assassina tre attiviste curde, Fidan Doğan, Sakine Cansiz e Leyla Şaylemez, nella sede del Centro Informazioni Kurdistan a Parigi. Fiumi di manifestanti scendono in strada in Europa e in Kurdistan. Solo ad Amed,città curda in Turchia, il 17 gennaio 2013 se ne contano decine di migliaia.


4 ottobre 2022: la giornalista curda Nagihan Akarsel, membro dell’Accademia di Jineoloji,e appartenente al comitato editoriale del “Jineolojî Journal”, viene assassinata a colpi di pistola a Sulaymaniyah,in Kurdistan iracheno,davanti alla porta di casa. 


Nel 2022, in Kurdistan iracheno, oltre a Nagihan, sono state uccise altre cinque donne legate ai movimenti femminili curdi.


23 dicembre 2022: William Malet,di nazionalità francese,attacca il Centro culturale curdo “Ahmet-Kaya” di Parigi durante una riunione preparatoria per la commemorazione dell’assassinio del 2013. Perdono la vita Emine Kara (attivista), Mir Perwer (musicista) and Abdurrahman Kizil (pensionato).

“Sakine Cansiz è storia. È l’incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione curdo. È la donna che ha sputato in faccia al suo aguzzino, quando era in prigione.” Cosi` scrive Dilar Dirik nel ricordare Sara. Co-fondatrice del PKK, simbolo di resistenza eroica in carcere, l’importanza di Sara nel movimento curdo e` tale che lo stesso Abdullah Öcalan le chiede di scrivere un libro sulla sua vita. 


Leyla, heval Ronahî, figlia della diaspora curda in Europa, era un membro della gioventu` del PKK. Quando e` stata assassinata aveva appena 24 anni. 
Sempre Dilar Dirik, in un articolo pubblicato su “The Kurdistan Tribune”, ricorda cosi` Fidan: “Non conoscevo Fidan Doğan, perché per me era Rojbin. L’ho incontrata per la prima volta quando ero alle elementari. Io e la mia famiglia ci siamo subito innamorate di lei! Era così energica, sorrideva sempre. La sua voce è ancora nelle mie orecchie.”


Di Nagihan, scrive cosi` Zîlan Diyar del Comitato Europeo di Jineolojî:”Volevo iniziare con una poesia. Poi mi sono accorta che la poesia sei tu. Com’e` stato bello respirare la vita che sapeva di poesia.” 


Emine,heval Evîn Goyî, e` arrivata in Europa dopo essere stata ferita nella battaglia per la liberazione di Raqqa dallo Stato Islamico. Prima di allora, aveva combattuto a Kobane e preso parte all’organizzazione dell’Amministrazione Autonoma.

Queste donne straordinarie, piene di dedizione e amore per la liberta, ci sono state sottratte. Piangiamo la loro morte, ma soprattutto celebriamo la loro vita. Raccogliamo la loro eredita` che parla di impegno e speranza. I loro esempi ci indicano la strada da percorrere per una vita libera, dignitosa e bella. E belle lo sono state, le nostre compagne: ben lontane dalla cupa immagine di pericolose terroriste costruita da dittatori e burocrati, il loro popolo le ricorda per l’amore sconfinato che hanno coltivato e per il coraggio con cui hanno lottato e vissuto. 


E cosi` vogliamo ricordarle noi oggi.

Donna, vita, liberta`!

Note
Il PKK e`attualmente inscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche mondiali,tale è ritenuto, tra gli altri, da Stati Uniti e Unione Europea. Nel gennaio 2020 la Corte di Cassazione belga ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Bruxelles secondo cui il PKK non dovrebbe essere classificato come organizzazione terroristica. A oggi non vi e` stato seguito a questa sentenza.

Şehid namirin. Le martiri non muoiono mai.


Rete Jin Nazionale
9 gennaio 2023

Sakine, Fidan e Leyla: i martiri non muoiono mai! *

“I martiri non muoiono mai!” Si può sentire questo slogan del movimento kurdo durante i funerali, nei cortei che attraversano le città europee, lungo le frontiere. Queste parole vengono ripetute davanti agli scudi antisommossa e alle armi del nemico, con gli occhi fissi al cielo. “I martiri non muoiono mai!”

Ma quando sono nate? Nel fermento di una guerra infinita di cui sfuggono i veri disegni, avvolti nella nebbia di miti e immagini propagandistiche; sono nate nel passaggio dalla vita al sacrificio, dal volto al ritratto, dall’umano al simbolico, in cui non trova posto la giustizia o un cenno di verità.

Queste nebbie, questa propaganda, oscureranno per sempre un appartamento di Rue Lafayette 123, a Parigi, dove, in una notte del gennaio 2013, furono assassinate tre donne appartenenti a differenti organi del PKK. I loro nomi: Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez. Un’azione di guerra condotta nella capitale francese, le cui modalità e le cui ragioni sono ancora senza risposta, che forse non verrà mai data.

Il principale sospettato, Ömer Güney, muore in carcere per un tumore al cervello il 17 dicembre 2016. Un mese dopo avrebbe dovuto presentarsi davanti ai magistrati per l’apertura del procedimento giudiziario a suo carico, che invece si ferma; tuttavia, nell’estate del 2021 sembrava che potesse avere fine l’inerzia che aveva accompagnato le indagini. Restano così molte incertezze sulla dinamica di questo crimine, molte doppiezze e illusionismi.

Le tre vittime, uccise insieme nello stesso appartamento, avevano storie differenti. Leyla Söylemez, 24 anni, era una leader del movimento giovanile kurdo. Fidan Dogan, 30 anni, aveva un profilo molto più alto: era una pedina fondamentale negli sforzi diplomatici del movimento nelle capitali europee, ed era in contatto costante con politici francesi di rango elevato. Infine, Sakine Cansiz era una figura leggendaria del movimento curdo, conosciuta per la sua rettitudine e la sua austerità. Aveva 54 anni ed era ai vertici del movimento che aveva contribuito a fondare, insieme all’incontestato leader Abdullah Öcalan, ancora imprigionato.

I destini di queste tre militanti, parte dello stesso movimento e promotrici della stessa causa, sono stati spezzati in pochi secondi dalle pallottole di un assassino che ogni evidenza farebbe corrispondere a Ömer Güney, un personaggio dalla vicenda oscura da poco reclutato nel movimento curdo. Eppure Güney era diventato l’autista di Sakine Cansiz, un ruolo molto delicato per un personaggio così poco conosciuto. Proveniva da una famiglia affiliata all’estrema destra turca e da una regione in cui è molto diffuso il violento nazionalismo anticurdo; come ha potuto questo militante improbabile introdursi nel cuore del movimento curdo a Parigi in così poco tempo, fino al punto di poter avvicinare una figura importante come quella di Sakine?

La domanda è ancora più inquietante alla luce delle prove emerse dopo l’arresto di Güney, che mostrano i collegamenti di questo personaggio con i servizi segreti turchi, il MIT (Millî Istihbarat Teskilati). Le radici di questo caso affonderebbero perciò nei meandri più torbidi dello stato turco, in un momento fondamentale non solo per il conflitto con i curdi ma per la politica turca in generale.

In effetti, l’attentato fu perpetrato proprio mentre, nel 2013, era iniziato il processo di pace tra Ankara e il PKK, che non godeva di un unanime sostegno tra i servizi di sicurezza, allora parzialmente infiltrati dalla rete del predicatore Fetullah Gülen, già alleato di Recip Tayyip Erdogan nella sua ascesa al potere agli inizi degli anni Duemila. Chi poteva aver commissionato il triplice assassinio, elementi interni all’apparato di sicurezza che intendevano prevenire ogni possibile trattativa di pace tra le due parti? Nel corso del conflitto esploso nei mesi seguenti tra il campo di Erdogan e i gülenisti sono venute misteriosamente alla luce conversazioni tra Güney e membri dei servizi segreti turchi. In anni più recenti sono emerse altre evidenze che confermano questi rapporti. Perciò c’è da chiedersi, se questi assassinii sono stati ordinati da Ankara, l’ordine era ufficiale o proveniva da una fazione particolare dello stato turco, determinata a implementare il suo piano per aumentare le tensioni? E se fosse così, qual era l’obiettivo?

Nell’estate del 2021 l’affare potrebbe tornare a galla, in un momento in cui le relazioni tra Francia e Turchia, sensibilmente peggiorate negli ultimi anni, restano tese. Nonostante la morte di Güney, l’inchiesta potrebbe svilupparsi coinvolgendo possibili complici. Sebbene sia stato nominato un nuovo giudice istruttore, la magistratura non ha ancora avuto accesso alle registrazioni delle conversazioni fatte dai servizi francesi nei confronti di individui connessi al caso, e queste registrazioni sono ancora top secret. Comunque, importanti documenti analizzati dalla magistratura belga hanno portato altre prove sui rapporti del presunto assassino con i servizi segreti turchi.

Mentre continua l’attesa per gli sviluppi dell’inchiesta e prima di qualsiasi eventuale chiarimento sulle circostanze che portarono alla morte di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez, queste tre donne figurano oggi tra i principali martiri della causa kurda. In tutto l’arcipelago del movimento kurdo, dalle strade del nord-est della Siria a quelle d’Europa, della Turchia e dell’Iraq, i ritratti sulle loro tombe restano testimoni silenziosi. E i fili tagliati delle loro vite sono ancora persi nelle nebbie dei segreti di stato, nelle ombre più buie di un conflitto che continua a costare vite.

* Il testo che pubblichiamo è tratto dal libro fotografico di Maryam Ashrafi Rising among ruins, dancing amid bullets, Hemeria.

Ancora oggi l’inchiesta sull’attentato a Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez è a un punto fermo.


Şehîd namirin!

Gli affari tra Italia e Turchia

Questo dossier è stato presentato da Rete Jin Milano in occasione del 19 luglio 2022, ossia il decimo anniversario dalla liberazione di Kobane, definito come l’inizio della rivoluzione in Rojava.

Questa è una prima versione che verrà ampliata nel corso del tempo, andando ad approfondire sempre di più i legami economici tra lo Stato turco e quello italiano. In questa prima versione la ricerca si è concentrata su settore tessile, del turismo, della vendita di armi e una panoramica generale di quali sono le relazioni commerciali.

Questo lavoro è partito dall’esigenza di capire come si muove la politica internazionale e spiegare/spiegarci perchè ad Erdogan e allo stato turco siano permessi tali guerre nei confronti del popolo curdo e dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria.

Ogni contributo è ben accetto.

è presente il link per scaricarlo e diffonderlo.

Rete Jin

Gli attuali attacchi della Turchia all’amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est

— Riportiamo l’articolo pubblicato su Women Defend Rojava il 4 dicembre: https://womendefendrojava.net/en/2022/12/04/turkeys-current-attacks-on-the-autonomous-administration-of-north-and-east-syria/ —

Questo articolo si basa sul contributo di Iida Käyhkö al BRIEFING STAMPA e alla sessione di domande e risposte con Newroz Ahmed (SDF) Sugli attacchi della Turchia nel NE della Syria: https://www.youtube.com/watch?v=MYYvxo55gxE&t=2023s

Per capire il silenzio degli Stati occidentali di fronte agli ultimi attacchi dello Stato turco in Rojava, è fondamentale guardare al contesto geopolitico e sottolineare l’impatto che sta avendo il consenso globale del programma di sicurezza dello Stato turco.

La posizione dello Stato turco si è rafforzata grazie ai cambiamenti geopolitici successivi all’invasione russa dell’Ucraina. I piani della NATO di espansione in Finlandia e Svezia, e la necessità di mostrare un fronte unito, hanno dato alla Turchia l’opportunità di forzare la propria agenda.

Lo Stato turco vuole un consenso planetario con la sua propaganda – cioè quella che dipinge il movimento curdo per la libertà come terrorista. La Turchia è la seconda potenza militare nella NATO, ma sostiene che l’amministrazione autonoma di Rojava rappresenta una minaccia per la sua esistenza.

Non esistono prove o precedenti a sostegno di questa narrazione. Infatti, lo Stato turco ha continuato a tenere in piedi la sua alleanza con gruppi terroristici jihadisti e fascisti nei suoi tentativi di destabilizzare la regione. È stato lo stato turco che ha sostenuto gli attacchi ISIS nei confronti del Rojava. È lo Stato turco che sta attualmente attaccando le unità di difesa nel campo di Al-Hol per cercare di provocare una rinascita dell’ISIS. Consentire che lo Stato turco asserisca di combattere il terrorismo non è solo una farsa, è pericoloso.

Dobbiamo essere assolutamente chiari su questo punto: sono le continue aggressioni e violenze perpetrate dallo Stato turco a causare insicurezza e instabilità in tutta la regione. La Turchia usa la narrazione della guerra al terrorismo per spingere l’idea che la sicurezza nella regione può essere raggiunta solo attraverso l’annientamento totale dei movimenti politici curdi.

Sia chiaro: per molti decenni, la Turchia è stata sostenuta dalla NATO, sia militarmente che politicamente, nei suoi attacchi al Kurdistan. Il mondo è rimasto a guardare mentre la Turchia massacrava i curdi, imprigionava decine di migliaia di persone per piccoli atti di dissidenza e compiva attacchi illegali e sanguinosi in tutto il Kurdistan. Gli alleati della NATO hanno continuato a vendere armi alla Turchia e si sono detti d’accordo con le cosiddette preoccupazioni di sicurezza della Turchia, dichiarando per tutto il tempo di essere in favore della libertà e della democrazia.

Come se non bastasse, gli alleati NATO della Turchia e altri Stati occidentali attaccano i curdi e i loro alleati al di fuori del Kurdistan, per conto della Turchia. Lo Stato turco ha coerentemente spinto gli Stati occidentali a criminalizzare il Movimento Curdo per la Libertà e ad utilizzare la legislazione antiterrorismo per colpire le organizzazioni curde. Gli Stati della NATO che continuano ad aiutare la Turchia nei suoi attacchi contro il movimento curdo per la libertà criminalizzano anche coloro che all’interno dei loro confini cercano di influenzare o criticare questa politica estera. Questa repressione politica ha un effetto estremamente dannoso sull’organizzazione della solidarietà e la creazione di un fronte popolare efficace per resistere al genocidio e alla guerra in Kurdistan.

Le comunità curde, così come gli attivisti solidali, affrontano incursioni, arresti, imprigionamento e deportazione per la loro partecipazione all’attività politica, organizzazione della comunità e lobbying diplomatica. Tutto ciò avviene nell’ambito della legislazione antiterrorismo, che conferisce agli Stati poteri eccezionalmente ampi e brutali. Il movimento di liberazione curdo chiama queste tattiche “guerra speciale” – perché sono un’estensione cruciale della guerra in Kurdistan. Senza questa criminalizzazione, gli Stati occidentali dovrebbero affrontare sfide molto più grandi alla loro complicità negli attacchi dello Stato turco.

Nell’ultimo decennio, l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale ha offerto al mondo la possibilità di vedere come può funzionare la democrazia di base, basata sulla liberazione delle donne. Ci ha mostrato la possibilità di creare un’alternativa radicale al sistema dominante di disuguaglianza, conflitto e patriarcato.

Per le donne ovunque, Rojava si pone come un esempio di ciò che l’azione anti-patriarcale organizzata può ottenere – dalla creazione di spazi di libertà e organizzazione collettiva nelle comunità, per sconfiggere l’ISIS sui campi di battaglia, a ispirare e sostenere le donne in tutto il Kurdistan e nel mondo per difendersi contro l’oppressione.

Possiamo vedere questo impatto nelle proteste e le rivolte che continuano in tutto l’Iran e Rojhelat dopo la morte di Jina Mahsa Amini, dove le donne hanno adottato lo slogan Jin, Jiyan, azadî, che ha le sue radici nel movimento ci liberazione curdo.

È necessario che gli Stati occidentali respingano la narrazione sulla sicurezza della Turchia e trovino soluzioni politiche che rispettino i progressi democratici compiuti in Rojava. Quelli di noi che vivono in Occidente devono resistere alla criminalizzazione e unirsi all’appello a difendere il Kurdistan. Questa è l’unica strada per una pace duratura.