In occasione dell’8 marzo 2023, ricondividiamo un comunicato del TJK-E, movimento delle donne curde in Europa.
Vogliamo ribadire ancora un volta che le donne sono l’avanguardia della rivoluzione, e che non ci potrà essere società libera fino a quando anche una sola di noi sarà oppressa.
In periodi di crisi profonda come questo, la violenza e il fascismo degli stati-nazione e della Modernità Capitalista si riversano sulle donne, con attacchi quotidiani alle loro libertà di scelta, di movimento e di autodeterminazione.
Difendiamo e rivendichiamo con orgoglio il principio di autodifesa, di organizzazione e di autonomia per lottare collettivamente e con una prospettiva internazionalista.
LA NOSTRA VENDETTA SARÀ LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE
Dal Movimento delle donne curde in Europa -TJK-E
Come popolo e donne curdi, accogliamo l’8 marzo in un momento in cui le crisi causate dalla modernità capitalista minacciano il nostro diritto alla vita. Nonostante ciò, la nostra determinazione a resistere a queste forze è grande e incrollabile come il nostro dolore e la nostra perdita. Le nostre ragioni di lotta sono più forti che mai, poiché gli attacchi del dominio maschile e la continua alleanza tra Stato e capitalismo contro le donne si sono trasformati in una guerra tra sistemi.
Le pratiche delle multinazionali, il nuovo volto del fascismo, delle dittature e del colonialismo, si combinano con la violazione della libertà delle donne e il saccheggio della natura. I conflitti all’interno delle potenze egemoniche e le loro politiche orientate al profitto non offrono alle donne e alla società altro futuro che la guerra, la migrazione, la distruzione, la violenza e la povertà. Il sole dell’umanità si sta oscurando. C’è un’ondata di sfruttamento e di attacchi da parte del dominio maschile in tutte le parti del mondo. Dall’Afghanistan ad Abya Yala, dall’India all’Africa, la resistenza delle donne sta crescendo in risposta. Siamo l’onda più forte di questa resistenza. Sappiamo che non possiamo vivere se non intrecciamo le nostre vite con essa ogni giorno. Lo sappiamo grazie a ciò che abbiamo vissuto quest’anno. Abbiamo detto che il capitalismo e il fascismo significano la distruzione della società. E purtroppo questa affermazione è stata confermata ancora una volta dal terremoto che si è verificato il 6 febbraio nel nostro Paese, il Kurdistan, e nelle città della Turchia e della Siria. La dittatura dell’AKP e le politiche fasciste hanno aggravato le conseguenze di questo disastro, che ora può essere descritto come un crimine contro l’umanità.
Riconosciamo il volto più brutto del fascismo nelle grida delle donne e dei bambini sepolti sotto le macerie, nelle grida delle loro vite sepolte. Abbiamo detto che questo sistema dominato dagli uomini porta al femminicidio. Lo sappiamo dalla realtà del nostro Paese, il Kurdistan. Conosciamo gli attacchi quotidiani, le uccisioni di donne pioniere nel nostro Paese. Conosciamo le occupazioni perpetrate, con la complicità delle forze internazionali, dopo aver fallito nel tentativo di sconfiggere la rivoluzione delle donne del Rojava, la speranza di tutti i popoli del mondo, attraverso lo Stato Islamico. Sappiamo che lo Stato turco è diventato così brutale da uccidere con armi chimiche le donne guerrigliere che, con 30 anni di pratica di autodifesa, hanno insegnato alle donne il coraggio, la fiducia in se stesse e l’esperienza nella difesa. Conosciamo il fascismo che ha estromesso le donne dalla politica e dalle amministrazioni locali. Il fascismo che non sopportava di vedere donne deputate e sindaci eletti dalla volontà popolare, che le faceva pagare e le sbatteva in prigione. Li conosciamo per le loro leggi che mettono a tacere e imprigionano le donne accademiche e giornaliste che cercano di denunciare le ingiustizie e le pratiche del fascismo. Sono donne che si battono per la verità e sono quelle che vengono arrestate, mentre i matrimoni tra minori sono permessi, i molestatori di bambini e gli stupratori sono lasciati liberi. Lo sappiamo perché con una parola del dittatore questo Paese si è ritirato dalla Convenzione di Istanbul e ha tolto alle donne i diritti che avevano conquistato. Conosciamo coloro che temono la liberazione delle donne, che temono persino i loro capelli. Conosciamo coloro che hanno assassinato Jina Amini. Abbiamo sperimentato la bassezza di questa mentalità quando hanno assassinato le nostre compagne Sakine Cansız, Fidan Doğan, Leyla Şaylemez e dieci anni dopo Evin Goyi a Parigi.
Tutto è iniziato quando le donne si sono organizzate per diventare una forza trainante piuttosto che una semplice parte della rivoluzione. Hanno aperto la strada alla rivoluzione delle donne imboccando la strada dell’ecologia democratica e del paradigma di liberazione della donna, invece di seguire la mentalità del sistema. In questa marcia rivoluzionaria, il sapere delle donne ha permesso lo sviluppo dei Jineolojî. La Jineolojî ha iniziato a trasmettere la resistenza e le esperienze delle donne curde a quelle di tutto il mondo. Ha iniziato scoprendo la formula magica che permetterà di liberare la vita: JIN JYAN AZADÎ.
Delsha Osman, responsabile di Kongra Star, ha incontrato le istituzioni e le donne che si organizzano nel territorio.
Il 15.16.17 ottobre son state giornate dense di incontri con Delsha Osman responsabile di Kongra Star (il congresso delle donne, il nome in curdo si riferisce alla antica dea Ishtar).
A Delsha Osman è stato conferito sabato 15 ottobre il Premio internazionale Daniele Po, con le motivazioni: “Il comitato istituzionale del Premio ha designato come vincitrice per l’anno 2022 Delsha Osman, curdo-siriana, rifugiata politica in Europa, responsabile europea del Coordinamento dell’organizzazione femminile Kongreya star, movimento fondato nei territori del Rojava nella Siria nord orientale e impegnato nella diffusione dei principi della democrazia confederale basata sulla parità di genere e sul ruolo centrale delle donne a livello economico, culturale e sociale e nella difesa dei diritti umani e dell’ambiente, attraverso quella che viene definita la rivoluzione delle donne del Rojava e che è oggi più che mai in gravissimo pericolo.” La gestione organizzativa è stata curata dall’ associazione Bangherang della prov. di Bologna.
Rete Jin Bologna ha avuto la possibilità di incontrare Delsha al di fuori degli eventi istituzionali: il sabato 15 pomeriggio, la domenica 16 pomeriggio e il lunedi 17 sera.
Sabato mattina, all’ingresso di Palazzo d’Accursio un sit-in ha accolto la responsabile di Kongra Star tra striscioni, bandiere e canti. Rete Jin Bologna, il Comitato Curdo Italiano e Rete Kurdistan Emilia Romagna hanno poi riportato i loro saluti ufficiali a Delsha durante la cerimonia di premiazione nella Cappella Farnese.
Delsha Osman ha evidenziato nel suo intervento l’importanza dell’organizzazione confederale curda nella battaglia contro l’Isis e tutti i fondamentalismi politico-religiosi che opprimono le donne. Ha tenuto a sottolineare che per la confederazione del Nord-est Siria il cambiamento ha come base la liberazione femminile, le assemblee come forma organizzativa, ed ha fatto riferimento all’abolizione del tradizionale matrimonio forzato di donne spesso minorenni. Osman ha anche raccontato la genesi del villaggio di Jinwar, nato come luogo separato ed autogestito da donne per l’ospitalità di reduci dalla guerra, vittime di violenza, ma ora ospitale a tutte. Un accenno molto interessante da parte sua è stato quello al concetto di “minoranza”, spesso usato dagli Stati nazionali per togliere potere agli abitanti dei territori, in nome della…maggioranza, una forma di colonizzazione interna e di autorizzazione alla predazione di chi abita e vive le terre.
E’ stato anche svolto un incontro con Delsha presso il centro di Armonie. Un intervento di Laura Quagliuolo di Rete Jin Milano ha illustrato le modalità di autorganizzazione del movimento delle donne curde.
Il collettivo Le Matriarcali ha esposto le tracce e fonti comuni dal neolitico ed è stato proiettato il film “Blooming in the Desert” (2021), documentario di Benedetta Argentieri che narra la vita e la rinascita della città di Raqqa, in Siria, dopo la sconfitta dell’Isis.
Nel suo intervento Delsha Olsman ha ribadito l’importanza dell’organizzazione e in particolare dell’autonomia delle donne e illustrato l’importantissimo lavoro di Kongra Star in Europa. La compagna ha anche parlato dell’attualità e della responsabilità dei governi occidentali nella guerra in Nord-est Siria e nel supporto alla Turchia. È stato un intervento molto intenso, efficace e partecipato (saranno disponibili video registrazioni con autorizzazione alla divulgazione).
Il 16 ottobre a Pieve di Cento si è svolta l’iniziativa con Delsha Osman e Mirca Garuti, Flavio Novara di Alkemia press Mo e Rete Kurdistan Emilia-Romagna, con mostra fotografica. L’iniziativa è stata realizzata con il supporto delle reti di solidarietà femminista sul territorio.
Il 17 ottobre a Valsamoggia si è svolto l’incontro separatista con Raffa Rete Appenninica Femminista c/o casa per ospitalità La Lodola (Appennino bolognese).
Una chiamata alla solidarietà con le/i prigioniere/i politiche/i del regime Iraniano.
Una chiamata alla solidarietà con le/i prigioniere/i politiche/i del regime Iraniano.
Da più di tre settimane, il mondo ha potuto vedere un nuovo volto dell’Iran, che mostra la soggettività politica delle oppresse e degli oppressi, e non i soliti giochi delle élite del regime dittatoriale. L’omicidio di Zhina (Mahsa) Amini da parte della polizia morale ha dato il via a rivolte in tutto il paese contro la misoginia, l’oppressione e l’ingiustizia, e in cui è stato largamente utilizzato lo slogan “Donna, Vita, Libertà”. Queste rivolte per la libertà e contro l’oppressione hanno avuto molta attenzione e dato speranza in tutto mondo, in particolare per la presenza coraggiosa di molte donne e per le loro richieste. Sebbene questa lotta autonoma per la libertà sia in cerca di una prospettiva rivoluzionaria, è una lotta totalmente impari, fra i manifestanti disarmati e una brutale dittatura. Una dittatura che per decenni ha espanso il suo apparato repressivo con i soldi derivanti dal petrolio. Tuttavia, i manifestanti hanno consapevolmente deciso di non arrendersi all’estrema brutalità della polizia e continuano a scendere per le strade, nonostante rischino la vita.
Come nelle rivolte precedenti, il regime islamico sta cercando di intimidire e terrorizzare le persone, intensificando la repressione. Il loro obiettivo è quello di aumentare il “prezzo da pagare” per chi partecipa alle proteste a un livello tale che coloro in grado di continuare questa lotta o iniziare a prendervi parte siano sempre meno. Per esempio, solo nella città di Zahedan, in meno di un’ora sono stati uccisi più di 90 manifestanti dai colpi delle forze di polizia. Organizzazioni indipendenti per i diritti umani stimano che fino ad ora siano state uccise più di 200 persone e migliaia arrestate. Le proteste e la sanguinosa repressione continuano, mentre l’accesso a internet è stato interrotto, anche se solo formalmente, in Iran.
Contemporaneamente, l’apparato di propaganda del regime e i suoi organi giudiziari e repressivi stanno incrementando la repressione e il terrore in diversi modi: le persone arrestate vengono accusate di essere contro la sicurezza nazionale e si afferma che chi partecipa alle proteste sia manovrato da nemici “esterni” dell’Iran. Queste accuse sono anche rivolte ad attiviste/i di diversi movimenti; lavoratrici e lavoratori, donne, insegnanti, studentesse/i, etnie diverse, minoranze religiose e persone che hanno orientamenti sessuali non binari, così come tutti gli attivisti per l’ambiente e i diritti umani. Alcuni di questi attivisti e attiviste sono stati arrestati alcune settimane o addirittura mesi prima delle rivolte; altri “preventivamente”, durante le rivolte, senza che ne fossero nemmeno coinvolti. Il regime sta sfruttando l’attuale situazione turbolenta per mettere ancora più pressione su prigioniere e prigionieri politici e applicare pene ancora più dure attraverso accuse false. Lo scopo di questi arresti e accuse è evitare ulteriori iterazioni delle rivolte e la loro escalation, così come quello di prevenire qualsiasi potenziale espansione organizzativa – soprattutto perché una combinazione tra proteste di strada e diffusione di scioperi (incluso uno sciopero generale) potrebbe diventare il tallone d’Achille del governo.
È ben noto in tutto il mondo che il sistema politico iraniano non riconosce nemmeno il minimo indispensabile di giustizia legale, e che le esecuzioni e morti sospette di oppositori politici in prigione non siano rare. Ciò che succede nelle prigioni non viene messo a verbale e non ha diffusione. Normalmente, i prigionieri sono costretti, sotto tortura, a rilasciare dichiarazioni auto-incriminanti di fronte alle telecamere dei Servizi Segreti, che vengono poi mandate in onda nelle televisioni. Come gruppo di esiliati politici, attivisti ed ex-prigionieri in Iran, alcuni dei quali sopravvissuti al massacro di prigionieri politici del 1988, siamo profondamente preoccupati per la la catastrofe umana attualmente in corso nelle carceri iraniane. Secondo numerose esperienze e prove, il regime sta espandendo la sua brutale oppressione dalle proteste di strada alle carceri.
Ci attendiamo che tutte le persone che difendono i diritti umani nel mondo non solo prendano iniziativa contro la sanguinosa repressione dei manifestanti, ma che siano anche la voce dei prigionieri politici in Iran. Crediamo che la vera solidarietà con le lotte degli oppressi debba anche includere la protezione della vita e il sostegno alla liberazione di quelli che sono stati imprigionati per aver partecipato a queste lotte. Esortiamo gli attivisti e le organizzazioni politiche di tutto il mondo a fare tutto quello che possono per aumentare la pressione sul regime iraniano affinché rilasci i prigionieri politici. Questo include non solo la diffusione di questo appello, ma il coinvolgimento pubblico permanente e azioni come manifestazioni di fronte ai consolati e alle ambasciate iraniane in cui si faccia riferimento alla situazione dei prigionieri. Chiamiamo anche tutte le organizzazioni politiche, gli attivisti, e le organizzazioni per i diritti umani, a fare pressione su politici locali e nazionali, per far sì che rispondano concretamente alla brutale repressione, alle detenzioni, alle torture e alle esecuzioni di prigionieri politici da parte del regime iraniano.
Teniamo vivo lo slogan “Donna, Vita, Libertà”, e diamogli senso attraverso le nostre azioni individuali e collettive. Questa lotta e questo slogan appartengono a chiunque voglia un mondo libero e giusto.
Lunga vita alla solidarietà internazionale!
Un collettivo di attiviste/i iraniane/i in esilio ed ex prigioniere/i politiche/i
La nostra amica Nagihan Akarsel è stata martirizzata questa mattina in un attacco armato a Sulaymaniyah.
Ai media e al pubblico 4 ottobre 2022
La nostra amica Nagihan Akarsel, una compagna dell’Accademia di Jineolojî e del Comitato editoriale della rivista “Jineolojî Journal”, è stata martirizzata alle 9.30 di questa mattina in un attacco armato a Sulaymaniyah.
Condanniamo con rabbia questo assassinio, che è solo uno dei recenti omicidi politici compiuti dai poteri fascisti ed egemonici contro tutte le donne del mondo impegnate nella lotta di resistenza. Chiediamo al governo regionale del Kurdistan di trovare al più presto gli autori di questo omicidio. Questo attacco segue i brutali omicidi di Yasin Bulut, Mehmet Zeki Çelebi e Suhel Xorşid. Se non verrà fatta luce su questo assassinio, la collaborazione del Governo regionale del Kurdistan dovrà vedersela con l’onda di rabbia crescente della nostra rivoluzione delle donne.
Nagihan era attiva nel movimento giovanile universitario, nei media e nel lavoro di Jineolojî. Da sempre ha partecipato alla lotta per la liberazione delle donne del Kurdistan, e per questo ha dovuto anche resistere in prigione per anni. In Rojava, negli gli anni più difficili, si è impegnata per far crescere la rivoluzione e, attraverso Jineolojî, per portare avanti il lavoro rivoluzionario delle donne. È stata attiva in ogni luogo del Rojava, soprattutto ad Afrin, con grande coraggio e determinazione. Ha toccato le anime e i cuori delle donne di Şengal (Sinjar), che hanno sperimentato la peggiore brutalità dell’ISIS, conducendo ricerche sul campo per mettere in luce questa sociologia e questa storia. Nagihan Akarsel, la nostra compagna dell’Accademia Jineolojî, era impegnata nelle Biblioteca e nel Centro di ricerca delle donne curde a Sulaymaniyah, insieme alle donne del Kurdistan meridionale e mentre stava lavorando con loro, che hanno vissuto le conseguenze più gravi del fascismo e delle politiche dello Stato-nazione, Nagihan è stata brutalmente uccisa dalle forze di occupazione turche.
Ricorderemo per sempre Nagihan Akarsel, che ha lavorato per decenni per far crescere il potere mentale e intellettuale della rivoluzione delle donne, il cui slogan Jin-Jiyan-Azadî riecheggia oggi in tutto il mondo. Contro la stessa mentalità del fascismo patriarcale che ha brutalmente assassinato Jîna Aminî, stiamo facendo crescere la rivoluzione delle donne in tutto il Kurdistan e non solo. Vogliamo vendicare la nostra compagna Nagihan rendendo sempre più luminosa la forza delle donne con Jineolojî, nonostante le tenebre del fascismo e della mascolinità dominante.
Facciamo appello a tutte le donne rivoluzionarie, democratiche e libertarie, agli accademici e agli intellettuali affinché condannino questo assassinio politico. Facciamo appello a Shahnaz Ibrahim e Kafia Suleiman e a tutte le donne del Kurdistan meridionale affinché facciano pressione sul Governo Regionale del Kurdistan per far luce su questo omicidio politico e condannino questo attentato unendosi alle azioni dell’ondata rivoluzionaria delle donne in atto in Rojhilat (Kurdistan orientale) con lo slogan Jin-Jiyan-Azadî.
Volevamo darvi una piccola panoramica della primavera che abbiamo trascorso qui con molta energia nuova…
Cari/e amici/che, cari/e sostenitori/e di JINWAR, Sono già passati tre mesi dalla pubblicazione dell’ultima newsletter di Jinwar del febbraio 2022.
Volevamo darvi una piccola panoramica della primavera che abbiamo trascorso qui con molta energia nuova e speriamo che anche voi ne facciate parte e che il sole primaverile arrivi anche a voi. Dal 17 aprile 2022, qui siamo di nuovo in una fase calda di guerra. Ciò significa che gli attacchi delle forze di occupazione turche stanno aumentando ovunque, nelle aree di difesa di Medya, fino a Shengal e anche in Rojava. Per noi questo significa che è proprio in queste fasi che ci muoviamo con ancora più forza in una posizione di autodifesa, intendendo con questo anche l’autodifesa ideologica. In questo lo sviluppo di strutture di autogoverno sociale gioca un ruolo importante. Il Villaggio delle donne e dei bambini di Jinwar fa parte di questa attuazione pratica di come le idee di una vita libera e paritaria possano essere messe in pratica. È anche qui che si svolge la lotta più grande. Se si è in guerra allo stesso tempo, si diventa ancora più consapevoli dei valori che devono essere difesi e di come si lavora la terra e si semina, si costruiscono canali di irrigazione in modo che le piante possano crescere e prosperare nello stesso respiro, allora ci si rende conto di quanto possa essere complessa la difesa. Jinwar si propone di rendere possibile alle donne e ai loro figli una vita collettiva e autodeterminata nel corso delle quattro stagioni, con una prospettiva a lungo termine. Allora, di cosa ci siamo occupati principalmente negli ultimi tre mesi? La terra è stata scavata di nuovo, i cespugli di rose sono stati tagliati, molti nuovi alberi sono stati piantati, i giardini sono stati sistemati, i canali d’acqua sono stati scavati, le piantine sono state coltivate e la sera abbiamo seguito le notizie, letto libri e a volte guardato film insieme. Questo equilibrio tra attività mentale e fisica è il pepe della vita equilibrata del villaggio e il vincolo di essere in lotta e allo stesso tempo in crescita.
Nei mesi di marzo e aprile ci sono state grandi celebrazioni, da un lato l’8 marzo, che è stato festeggiato dalle donne qui insieme e che invia un messaggio politico in tutto il mondo per fondare molti Jinwar dappertutto, per proteggere la propria terra, per unire le forze e trovare insieme un pensiero libero, una vita quotidiana organizzata e collettiva in modo etico ed estetico per condurre una vita ecologica e per impegnarsi politicamente per una vita in dignità e libertà per ogni donna nel mondo. La festa del Newroz, che si è svolta qui il 21 marzo, ha un significato simile di resistenza e di nuovo inizio. L’abbiamo celebrata con un programma culturale e con un fuoco comune attorno al quale la gente ha ballato e cantato. Per il compleanno di Abdullah Öcalan, il 4 aprile, abbiamo piantato 100 nuovi alberi nel villaggio. Per il Capodanno Ezîdî (çarşema sor – mercoledì rosso) siamo andati insieme alle madri e ai bambini Ezîdî di Jinwar a una celebrazione in un villaggio Ezîdî e abbiamo appreso l’antica tradizione di questa festa per gli Ezîdî e la sua importanza. Essi celebrano il loro Capodanno nell’arco di tre giorni. Si festeggia sempre alla vigilia del çarşema sor, dipingendo insieme le uova e preparando un pane specifico. Il calore estivo è penetrato qui, subito dopo la celebrazione del Capodanno, abbiamo rimosso tutte le “sobe” (le stufe riscaldate con il petrolio) dalle case, lavato con cura tutti i tappeti, i cuscini delle sedie e le coperte e preparato le case di fango per l’estate molto calda qui. Per fortuna, i mattoni di argilla tengono fuori il calore in estate e il terreno è fresco e, almeno a maggio, fornisce ancora aria piacevolmente fresca.
Anche gli animali hanno atteso con eccitazione la primavera e si sono moltiplicati: ora a Jinwar ci sono cinque giovani oche, tre piccoli cuccioli, gattini appena nati e, si spera, presto anche pulcini covati. Purtroppo le piogge non hanno accompagnato la fase di semina, non c’è stata pioggia durante il periodo in cui i campi dovevano essere coltivati, il che significa che sono stati costruiti nuovi sistemi di irrigazione e scavati canali con molta fatica, ma poi la prima ondata di caldo è arrivata troppo presto e ha prosciugato alcuni campi nella zona di Jinwar, cosicché probabilmente quest’anno ci sarà solo un piccolo raccolto. Anche la nostra farina per il pane del villaggio è ora mescolata con farina di mais, perché gli effetti dell’embargo e della siccità degli ultimi anni si sentono ovunque. Il 1° maggio sono tornati la pioggia e il freddo e ora si avvicinano i caldi mesi estivi… Per il centro di cura ŞîfaJin abbiamo ricevuto un torchio per l’olio, che le guaritrici vogliono usare per produrre da sole l’olio di sesamo nero, di semi di ortica, di olive o di semi di lino, in modo da poterlo poi trasformare in unguenti e creme.
È stato aperto un laboratorio di cucito come atelier, affinché le donne di Jinwar imparino a cucire e a confezionare i propri abiti e quelli dei loro figli. Sono state donate quattro macchine da cucire e una madre di Jinwar offre ogni giorno un corso di cucito di due ore alle altre madri.
Naturalmente siamo anche felici di sentire da voi cosa avete creato in questi mesi, quali sono i vostri piani e progetti futuri e se ci può essere una maggiore collaborazione con il villaggio Jinwar. Siamo sempre felici di ricevere feedback, idee e suggerimenti da voi. Non esitate quindi a scriverci se volete condividere con noi i vostri pensieri e le vostre domande.
Vi auguriamo tanta forza per il prossimo futuro!
JINWAR, Maggio 2022 womensvillage.jinwar@gmail.com
Dossier del TJK-E sulla guerra di occupazione turca in Kurdistan meridionale.
Indice
1. Introduzione – La nuova fase dell’aggressione dello Stato Turco in Kurdistan.
2. Background degli attacchi
3. L’invasione e il movimento delle donne
4. Supporto e azione internazionale
1. La nuova fase dell’aggressione dello Stato Turco in Kurdistan
Il 14 aprile 2022 nuove incursioni aeree e bombardamenti hanno annunciato la nuova fase dell’aggressione turca contro il Kurdistan. Tali attacchi concentrati sulle regioni a sud del Kurdistan: Zap, Metina, Avasin, sono stati seguiti dall’avanzata di migliaia di soldati trasformandosi, quindi, in una carica su vasta scala che sta proseguendo sino ad oggi. L’obiettivo immediato dell’invasione militare è quindi lontano dall’essere le Forze di Difesa del Popolo, quanto la guerriglia curda. Ad ogni modo, questa escalation deve essere vista come la fase più recente nell’attacco supportato dallo stato turco verso la popolazione curda, verso la democrazia nella regione curda e verso le conquiste del Movimento di Liberazione Curda e del Movimento delle Donne Curde. Esploreremo questi avvenimenti dalla prospettiva del Movimento delle Donne Curde in Europa (TJK-E). Discuteremo: il contesto di questi attacchi la relazione tra la questione femminista e globalmente delle donne la necessità dell’azione internazionale per difendersi dall’aggressione imperialista.
2. Background
Il contesto politico dietro questi attacchi è l’obiettivo del partito di governo turco AKP-MHP di far rivivere le ambizioni dell’impero ottomano ed estendere il proprio controllo nella regione. Per fare ciò, la coalizione AKP-MHP cerca di dividere e distruggere il popolo curdo e di rafforzare le politiche di genocidio contro di essa. E’ importante capire gli effetti di queste politiche attraverso la regione e non solo in maniera isolata. Ciò contempla: le permanenti occupazioni oltre confine di Afrin e Serekaniye, entrambe ricche di ben documentate violazioni dei diritti umani e dei crimini contro l’umanitàl’incessante aggressione militare in Siria e nella parte ovest del Kurdistan (Rojava)la distruzione delle riserve idriche ed energetiche della società civile gli attacchi intensificati sulla regione degli Yazidi di Shengal (Sinjar) gli attacchi dei droni oltre confine sulle aree civili, incluso il campo per rifugiati Makhmour. Questi attacchi fanno parte di un’ampia strategia contro la società civile curda e contro il movimento per la democrazia, l’ecologia e la liberazione delle donne. Il governo del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) nel governo regionale del Kurdistan sta collaborando con lo stato turco nell’attuale invasione del sude del Kurdistan, incluse le incursioni nello Shengal. Tale tradimento fa anche parte di un tentativo di dividere il popolo curdo e metter l’uno contro l’altro. Nelle ultime due settimane si è assistito a molteplici azioni illegali da parte dell’esercito turco, incluso il bombardamento di quartieri abitati da civili a Kobane nonché all’uso di armi chimiche nell’invasione del Kurdistan. E’ importante sottolineare che la tempistica di questi attacchi rispetto alla guerra in coso in Ucraina, non è una coincidenza. Lo Stato Turco conta sul fatto che lo sguardo del mondo è rivolto all’Ucraina per la propria avanzata imperialista. In quanto membro della NATO, la Turchia sta sfruttando al meglio lo scontro della NATO con la Russia.
3. L’invasione e il movimento delle donne
Il movimento curdo delle donne è divenuto fonte d’ispirazione per la lotta globale delle donne. Le conquiste del movimento delle donne si sono imposte all’attenzione globale nella regione del Kurdistan ovest (Rojava), dove il movimento è stato capace di mettere in pratica i propri valori e costruire una partecipazione politica delle donne, l’autodifesa e varie forme di emancipazione. Il movimento di liberazione delle donne in Rojava ha dato l’avvio ad una radicale trasformazione sociale storicamente caratterizzata dal matrimonio forzato, dalla violenza sulle donne e dalla loro esclusione in ambito economico, politico e sociale. L’aver collocato la trasformazione femminista della società curda al centro del movimento, diventando un esempio unico a livello mondiale, ha sollecitato l’attenzione ed il supporto delle femministe di tutto il mondo. In tutti gli attacchi del Movimento di Liberazione Curda, lo stato turco punta in modo deliberato e sistematico alle donne e alle organizzazioni delle donne. Ciò è stato ben documentato, in particolare dalle invasioni di Afrin e Serekaniye (8) ed include l’uso sistematico della violenza di genere e del femminicidio come strumento di guerra e occupazione (9). L’attuale offensiva militare va anche compresa all’interno di questo contesto. Le politiche dell’AKP-MHP non riguardano solo il genocidio contro i curdi; tentano di uccidere i valori del movimento, e i principi che il movimento ssta costruendo, attraverso una società democratica, come la liberazione delle donne. Divenendo organizzato e politicamente attivo, il Movimento delle Donne Curde, è capace di difendersi ed essere la spina dorsale di un forte movimento sociale di democrazia e contro l’imperialismo. Lo stato turco sa che il movimento delle donne ed il supporto internazionale che questo ha, sono alla base della lotta per la libertà del Kurdistan. Le implicazioni dell’imperialismo dello stato turco e il suo attacco alla trasformazione femminista sono noti globalmente.
4. Supporto e azione internazionale
La persistente resistenza diretta dell’invasione da parte delle forze di autodifesa è stata decisiva. Oltre a questo, dall’inizio dell’invasione, le organizzazioni della società civile, i gruppi politici e i gruppi umanitari del mondo, hanno condannato questi attacchi. E’ importante intensificare il supporto internazionale. Il TJK-E si appella a tutte le organizzazioni di donne, ai movimenti, ai gruppi e ai loro alleati per supportare il popolo curdo contro l’invasione e il genocidio. Abbiamo un bisogno urgente che tutti le organizzazioni per i diritti delle donne, i diritti umani e le organizzazioni della società civile in Europa levino le loro voci contro questa guerra. Tutti i governi dovrebbero essere spinti a prendere posizione contro l’imperialismo, la brutalità e i crimini di guerra di questa guerra condotta da un membro della NATO. Chiediamo al pubblico internazionale, in particolare alle donne di tutto il mondo, di schierarsi con noi contro questi attacchi.
“Opponiamoci alla guerra in Kurdistan! Sosteniamo un mondo in cui tutte le persone possano vivere insieme in solidarietà e uguaglianza” ha detto Women Defend Rojava in un appello contro la guerra di occupazione turca in Kurdistan.
La coalizione Women Defend Rojava ha rilasciato una dichiarazione in cui chiede azioni urgenti per fermare la campagna genocida della Turchia contro i curdi nel territorio del Kurdistan.
L’appello pubblicato venerdì è il seguente:
“In tutto il Kurdistan, la situazione si sta attualmente inasprendo e la guerra turca si sta intensificando immensamente. A ripetizione è stato annunciato che Erdogan avrebbe potuto espandere la sua guerra di occupazione nell’ombra della guerra in Ucraina. Anche se la guerra in Kurdistan stava già avendo luogo davanti agli occhi di tutti in ogni caso, ma comunque indisturbata, c’è ora una totale mancanza di attenzione. Facendo seguito alla recente pubblicazione dei piani per una nuova potente offensiva, lo Stato turco ha ora lanciato i suoi attacchi via aria e terra contro i civili e la guerriglia nelle aree di difesa di Medya in Kurdistan meridionale attraverso artiglieria, bombardamenti e aerei caccia nella notte del 17 aprile. L’invasione su larga scala della Turchia, in collaborazione con il PDK [Partito Democratico del Kurdistan] in Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale), era prevedibile da molto tempo e ora è iniziata. Venerdì, il 15 aprile, il Primo Ministro del partito PDK, che governa il Kurdistan meridionale, ha incontrato Erdogan e il capo del servizio di intelligence turca (MIT). Oggi è stato riportato che gli aerei da guerra turchi stanno decollando da basi militari in Kurdistan meridionale, il che conferma soltanto ulteriormente la cooperazione dello Stato turco e del PDK. Insieme alla guerra della Turchia, ora sta incombendo la tanto temuta guerra interna tra curdi.
Nel frattempo, gli attacchi in Siria del Nord-Est si stanno intensificando. L’esercito turco sta attaccando la comunità di Zirgan e i villaggi nella regione principalmente cristiana di Til Temir con massicci attacchi di artiglieria. Di conseguenza numerose case e altri edifici, come la chiesa nel villaggio assiro di Til Tawil, sono già stati distrutti e i droni stanno ancora volando sulla regione.
In parallelo alla rinnovata offensiva militare turca in Kurdistan meridionale e all’intensificarsi degli attacchi in Siria del Nord-Est, anche la situazione a Şengal si sta inasprendo. L’esercito iracheno ha attaccato numerose posizioni delle forze di difesa yazide locali e ne è derivato un combattimento feroce. Il popolo di Şengal, dove l’ISIS ha commesso un genocidio nell’agosto del 2014, uccidendo decine di migliaia di yazidi e schiavizzando le donne e o bambini, sta ora affrontando un rinnovato pericolo. Con la costruzione di un muro di 250 km lungo il confine con il Rojava e il rafforzamento delle basi militari irachene nella regione, anche là la situazione sta esplodendo.
In Turchia, il regime di Erdogan continua le sue politiche fasciste. Le associazioni della società civile, come la piattaforma “Fermeremo i femminicidi” [Kadin Cinayetlerini Durduracagiz], che fa lavoro di pubbliche relazioni contro il femminicidio in Turchia e accompagna durante il processo le donne che hanno subito violenza, stanno per essere bandite. Nelle prigioni turche, l’isolamento e le torture sistematiche, inclusi gli incidenti mortali, sono la realtà quotidiana per i prigionieri politici. Nonostante ciò, la comunità internazionale rimane in silenzio su tutto questo, supporta e approva gli attacchi e ancora una volta si rende complice della politica fascista e della guerra della Turchia, che è contro la legge internazionale.
Comunque, noi non rimarremo in silenzio! I risultati della rivoluzione in Kurdistan, che mette la liberazione delle donne al centro delle sue lotte, è una spina nel fianco delle autorità. È nostra responsabilità opporci a questa guerra e difendere la rivoluzione delle donne ovunque siamo. Ci opponiamo alla guerra turca! Sappiamo di avere il potere di fermare questa guerra e cambiare il mondo con la nostra lotta comune per la dignità. Ci schieriamo fianco a fianco con i popoli del Kurdistan e il loro diritto all’autodeterminazione! Difendere il Kurdistan significa diventare consapevoli della responsabilità qua. Rendiamo visibile la resistenza ovunque!
Perciò, noi come Women Defend Rojava chiediamo che si agisca contro il colonialismo, il fascismo, il patriarcato e il femminicidio e tutte le forme di oppressione. Protestiamo in forme e con azioni creative, portiamo in pubblico la nostra resistenza contro la guerra di occupazione turca e combattiamo insieme per una vita di dignità e libertà! Ci sono molti modi di portare l’attenzione verso la guerra della Turchia, che sia sui social media, attraverso striscioni, fotografie solidali in difesa del Kurdistan, distribuzione di volantini o altre azioni negli spazi pubblici. Unitevi all’appello e diffondetelo!
È tempo di attivarsi contro questa guerra, di resistere e di portare per le strade e per le piazze la nostra protesta femminista! Insieme difendiamo la rivoluzione delle donne! Ci opponiamo alla guerra in Kurdistan! Sosteniamo un mondo in cui tutte le persone possano vivere insieme in solidarietà e uguaglianza!”
Le nostre organizzazioni chiedono alle autorità di affermare il diritto alla rappresentanza politica in Turchia e di garantire che qualsiasi procedimento sia pienamente conforme agli standard internazionali.
Le organizzazioni firmatarie di questo appello, attive nel campo della democrazia e della protezione e promozione dei diritti umani, sono profondamente preoccupate per il caso in corso presso la Corte Costituzionale in Turchia riguardo alla chiusura del partito di opposizione HDP (Partito Democratico dei Popoli). L’HDP è stato fondato il 15 ottobre 2012 e da allora è stato un attore fondamentale della vita politica in Turchia. Le nostre organizzazioni chiedono alle autorità di affermare il diritto alla rappresentanza politica in Turchia e di garantire che qualsiasi procedimento contro i partiti politici e i loro rappresentanti sia pienamente conforme agli standard internazionali per un processo equo e che preveda la costituzione di una Corte indipendente e imparziale, come stabilito dalla legge e dal diritto della difesa.
In seguito all’ultima serie di memorie difensive scritte e orali da parte dell’HDP, la Corte costituzionale dovrebbe annunciare la sua decisione nei prossimi mesi. Se la Corte costituzionale dovesse approvare la richiesta del Procuratore Capo e pronunciarsi a favore della sua richiesta di chiudere l’HDP in modo permanente o parziale, o di privarlo completamente degli aiuti della tesoreria, l’HDP cesserà di esistere. I suoi rappresentanti, che sono ritenuti responsabili di fatti che, secondo il procuratore capo, giustificherebbero lo scioglimento del partito, saranno anche interdetti dall’attività politica per 5 anni.
L’ufficio del procuratore capo della Corte suprema d’appello ha inviato il suo atto d’accusa alla Corte costituzionale il 7 giugno 2021. L’atto di accusa chiedeva lo scioglimento dell’HDP e l’interdizione dalla politica per 5 anni di 451 membri del partito, compresi i copresidenti Mithat Sancar e Pervin Buldan. Le parole e le azioni di 69 membri del partito sono indicate come la motivazione principale per la richiesta di chiusura. Nell’atto d’accusa non sono state presentate nessuna prova concreta o affidabile attribuibile all’HDP come istituzione, e nessuna giustificazione per la richiesta di scioglimento del partito, cosa che violerebbe il diritto alla rappresentanza politica di oltre il 10% degli elettori nelle ultime elezioni.
Dopo la difesa preliminare presentata dall’HDP nel novembre 2021, il procuratore capo ha presentato alla Corte costituzionale le sue opinioni in merito, che sono state poi notificate all’HDP il 20 gennaio 2022. Opinioni che ribadiscono le rivendicazioni e le richieste contenute nell’atto d’accusa; nulla fa pensare che l’ufficio del procuratore abbia preso atto della difesa dettagliata presentata dall’HDP.
Il procedimento si svolge sullo sfondo di un grave arretramento democratico e dello stato di diritto in Turchia. Nonostante gli emendamenti introdotti in Costituzione come parte del processo di adesione all’Unione Europea negli anni 2000, che hanno reso più difficile la procedura di chiusura dei partiti comune negli anni ’90, nel 2009 la Corte costituzionale ha chiuso il DTP (Partito per una società democratica), un partito politico precedente all’HDP.
La Corte Europea per i Diritti Umani, negli ultimi anni, ha ripetutamente condannato la Turchia per aver violato la Convenzione, come nei casi riguardanti la chiusura del DTP e quello nei confronti dell’HDP e dei suoi membri, in cui la Corte ha ritenuto che le procedure avviate contro questi soggetti politici fossero, secondo la Convenzione, in violazione dei diritti dei denuncianti. Il governo turco ha costantemente mancato di rispettare le sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani, e il 2 febbraio 2022 questo atteggiamento ha portato all’avvio di una procedura di infrazione contro la Turchia da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
Le ripetute dichiarazioni dei portavoce del partito di governo AKP e del suo alleato MHP, che chiedono la chiusura dell’HDP e l’interdizione dei suoi membri dalla politica, indicano anche il tentativo del governo di minare l’autorità della Corte Europea per i Diritti Umani e di interferire nei procedimenti che si svolgono nei tribunali nazionali, compresa la Corte costituzionale, in violazione del principio di indipendenza del potere giudiziario da altri poteri dello Stato.
Le nostre organizzazioni sono profondamente preoccupate per l’impatto che la decisione della Corte Costituzionale potrebbe avere sui diritti degli imputati e sulla democrazia politica in Turchia. Chiediamo alla Corte Costituzionale di garantire che i procedimenti giudiziari si svolgano nel pieno rispetto degli standard nazionali e internazionali del giusto processo, compreso il principio di indipendenza e imparzialità della giustizia e i diritti della difesa. Esortiamo inoltre il governo turco a rispettare l’indipendenza e l’imparzialità della magistratura, astenendosi dall’influenzare direttamente o indirettamente le decisioni della Corte, e a sostenere i diritti alla rappresentanza politica e alla partecipazione democratica, che sono una condizione preliminare per il rispetto della democrazia, dello stato di diritto e dei diritti umani in Turchia.
Asociación Americana de Juristas (AAJ)
Associació Catalana per a la Defensa dels Drets Humans (ACDDH) – Catalonia
Asociación Libre de Abogadas y Abogados, (ALA), Madrid
Association for Monitoring Equal Rights
Association of Lawyers for Freedom (ÖHD)
Bakers, Food and Allied Workers Union (BFAWU)
Campaign Against Criminalising Communities (CAMPACC)
Center of research and elaboration on democracy/Group for international legal intervention (CRED/GIGI)
Civic Space Studies Association
Confederation of Lawyers of Asia and the Pacific (COLAP)
Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane (CISDA)
Democratic Lawyers Association of Bangladesh (DLAB)
Demokratische Juristinnen und Juristen Schweiz (DJS)
Eskubideak, Basque Country
European Association of Lawyers for Democracy and World Human Rights (ELDH)
European Democratic Lawyers (AED)
General Federation of Trade Unions (UK)
Haldane Society of Socialist Lawyers
Human Rights Agenda Association
Human Rights Association
Human Rights Foundation of Turkey
International Bar Association’s Human Rights Institute (IBAHRI)
Italian Democratic Lawyers / Giuristi Democratici
International Association of Democratic Lawyers (IADL)
International Federation for Human Rights (FIDH)
KulturForum TürkeiDeutschland e.V.
Legal Team, Italy
Life-Memory-Freedom Association (Yaşam Bellek Özgürlük)
MAF-DAD e.V (Association for Democracy and International Law )
National Lawyers Guild International (USA)
National Union of Peoples’ Lawyers, Philippines (NUPL)
People’s Law Office / International
Progressive Lawyers’ Association (ÇHD)
Republikanischer Anwältinnen – und Anwälteverein e.V. (RAV), Germany
Rete Jin Italia (Jin Net)
Rights Initiative Association
Rosa Women’s Association
Social Policy, Gender Identity, and Sexual Orientation Studies Association (SPoD)
Syndicat des Avocats de France (SAF)
Syndicat des Avocats pour la Démocratie, Belgium (le SAD)
The Indian Association of lawyers
The National Association of Democratic Lawyers, (NADEL), South Africa
Transport Salaried Staffs Association
Ukrainian Association of Democratic Lawyers
Vereinigung Demokratischer Juristinnen und Juristen (VDJ)
La regione di Afrin in particolare ha giocato un ruolo centrale come centro della rivoluzione delle donne e nella creazione di strutture democratiche dirette.
Quattro anni fa migliaia di persone in tutto il mondo sono scese in piazza, il loro cuore con Afrin, per esprimere a gran voce la loro opposizione alla guerra illegale della Turchia. Il 20 gennaio 2018, lo stato turco ha lanciato una guerra sulla regione di Afrin, il cantone occidentale dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria. Giorno e notte, città e villaggi, campi profughi e siti storici sono stati bombardati da aerei da guerra e dall’artiglieria turchi. L’attacco della Turchia e delle milizie jihadiste sue alleate è continuato fino al 18 marzo. Nel corso di questa guerra sono stati uccisi e feriti centinaia di civili. Centinaia di migliaia di persone sono state sfollate e costrette a lasciare le loro case. Da allora, Afrin è sotto l’occupazione turca e tutte le conquiste fatte precedentemente nella direzione dell’auto-organizzazione delle comunità locali sono state distrutte. Sotto l’occupazione turca la diversità delle persone che abitano quell’area non è più considerata e i diritti delle donne per cui si è combattuto sono stati di fatto aboliti. Le case sfitte delle famiglie sfollate sono state consegnate dai militari turchi alle famiglie dei combattenti delle milizie islamiste e di altre milizie sostenute dalla Turchia. Sono state stabilite nuove amministrazioni regionali sotto il controllo turco come parte del piano di sostituzione demografica nella regione. Allo stesso tempo, l’invasione turca, offrendo questa opportunità, ha incoraggiato l’ISIS a riorganizzarsi.
La guerra ad Afrin è lungi dall’essere finita; è appena iniziata con l’occupazione. Quasi ogni giorno ci sono scontri ed esplosioni che causano un gran numero di vittime civili. Attraverso arresti, rapimenti, presa di ostaggi con alte richieste di riscatto, così come assassinii e torture, sotto l’occupazione turca si è instaurato un regime autoritario che diffonde paura e terrore. La zona è anche diventata un rifugio per i membri dell’ISIS e altri jihadisti. La vita lì, per le donne, è come in una prigione, dal momento che molte non escono più di casa per paura della violenza quotidiana. Matrimoni forzati, violenze sessuali, torture, uccisioni e centinaia rapimenti da parte di gruppi armati sostenuti dai turchi sono parte della realtà quotidiana che le donne e le ragazze devono affrontare.
Nel frattempo, sono passati quattro anni e ci rendiamo conto che la guerra ad Afrin è tutt’altro che finita, ma è solo iniziata con l’occupazione. Fa parte del sistema globale patriarcale di dominazione in cui gli stati nazionali come la Turchia conducono guerre per interessi di potere geopolitico e risorse. Si tratta di un altro femminicidio, perché la sottomissione, lo stupro e l’assassinio delle donne è sempre una parte fondamentale della conquista di un paese e del suo popolo. È una guerra contro un’alternativa sociale allo stato-nazione e al patriarcato che si sta creando e sviluppando sulla base della liberazione delle donne, della democrazia di base e della sostenibilità ecologica.
La regione di Afrin in particolare ha giocato un ruolo centrale come centro della rivoluzione delle donne e nella creazione di strutture democratiche dirette e partecipative nella Siria del Nord-Est. Qui sono state create istituzioni femminili, comuni e consigli delle donne, basati sulla democrazia diretta, che hanno contribuito ad abbattere la disuguaglianza di genere.
Durante l’invasione dello stato turco e la successiva occupazione numerosi siti archeologici storici della regione, parte del patrimonio delle società matriarcali locali, sono stati deliberatamente distrutti per cancellare la memoria della regione e un pezzo di storia delle donne. Tra questi, per esempio, il tempio Tel Aştar ad Ain Dara, dedicato alla dea Iştar.
La distruzione si estende alla devastazione massiccia e ai danni irreversibili causati alla ricca natura e all’ecosistema di montagne, fiumi e terra fertile di Afrin. Numerosi campi sono stati bruciati e decine di migliaia di alberi, tra cui un gran numero di ulivi, sono stati abbattuti a causa dell’occupazione della Turchia e delle sue milizie jihadiste. Le strutture democratiche di base precedentemente create dalla popolazione locale, con comunità e consigli organizzati a livello comunale, che permettevano la convivenza dei diversi popoli così come la loro partecipazione politica, sono state sostituite dalla Turchia con un progetto di sostituzione demografica e di annientamento non solo dei curdi locali, della loro lingua, cultura e storia, ma della convivenza dei popoli della regione.
Fino ad oggi, lo stato turco continua la sua guerra e l’occupazione nel Nord-Est della Siria con l’aiuto delle sue milizie jihadiste. La regione è continuamente bombardata dai droni turchi e dall’artiglieria, con il risultato che numerosi civili vengono feriti e uccisi. La comunità internazionale tace sull’occupazione e sugli attacchi in corso ed è complice. Non abbiamo dimenticato Afrin e non accetteremo la sua occupazione.
La difesa della rivoluzione delle donne in Rojava è internazionale perché ispira molti movimenti femministi e femminili in tutto il mondo. “Questa rivoluzione non è solo per il Kurdistan o il Medio Oriente, è una rivoluzione per tutta l’umanità, è la speranza dell’umanità. […] Ecco perché voglio lottare per la libertà di tutte le donne. Mi sono unita a questa rivoluzione come compagna, se un giorno dovessi essere ferita o essere martirizzata, sono pronta a farlo come compagna”. Con queste parole, Şehîd Hêlîn Qereçox, Anna Campbell, è partita per difendere la rivoluzione ad Afrin al momento dell’invasione turca. Il 15 marzo 2018, il 55° giorno della resistenza ad Afrin, è stata martirizzata in un attacco aereo turco, così come molti altri nella lotta per liberare Afrin. Con la sua lotta e determinazione, ha ispirato molte persone e ha costruito molti ponti per la nostra lotta comune per una società liberata dal genere, ecologica, solidale e democratica! Ieri, oggi e con loro nei nostri cuori per il domani!
Unite nella lotta di liberazione – Contro l’occupazione e il femminicidio! Difendere e liberare Afrin significa difendere la rivoluzione delle donne!
Per dare continuità alla lotta delle nostre martiri, promettiamo loro di intensificare il lavoro nel Nord-Est della Siria fino a quando tutti i loro obiettivi e sogni di libertà, giustizia e uguaglianza saranno raggiunti.
Salutiamo la Giornata internazionale della donna lavoratrice l’8 marzo 2022. In questa occasione, ricordiamo con reverenza la memoria delle nostre martiri che hanno sacrificato la loro vita, scritto epopee eroiche di resistenza ai regimi tirannici e hanno spezzato le catene della schiavitù, facendo grandi sacrifici per ottenere libertà, giustizia, uguaglianza e democrazia.
La Giornata Internazionale delle Lavoratrici è il risultato della lotta di milioni di donne in tutto il mondo ed è la realtà delle donne libere come Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, Zenobia, Zarife, Sakine Cansiz, Sosin Bîrhat, Nujîn Amed, Tolhildan Raman, Leila Agirî, Zehra Berkel, Hind e Saada, Jade Aqida, Hevrin Khalef.
A nome del Coordinamento di Kongra Star e con lo slogan “Insieme proteggiamo la nostra rivoluzione e liberiamo la nostra terra”, ci congratuliamo con tutte le donne del Rojava, del Nord-Est della Siria, in tutte e quattro le parti del Kurdistan, con le donne di tutto il mondo, le madri dei martiri, tutte le donne chiuse nelle prigioni di regimi autoritari e le combattenti in tutti i terreni di lotta dell’8 marzo. In questa occasione, salutiamo il leader Abdullah Öcalan, il leader della Nazione Democratica, un vero compagno delle donne e il difensore della filosofia della vita libera. Il ventunesimo secolo, come ha detto Abdullah Öcalan, sarà il secolo della libertà delle donne.
Alzare il livello della lotta delle donne per la libertà contro tutti gli attacchi del fascismo, dell’occupazione, del patriarcato egemonico e delle politiche genocide contro le donne è essenziale. Trasformiamo la nostra rivoluzione in una rivoluzione delle donne che dipende dalla forza del lavoro, del pensiero e della forza di resistenza che tutte le donne leader combattenti hanno dimostrato nel corso della storia in tutti i campi. La solidarietà tra tutte le donne può portare a una vita libera e dignitosa per tutti i settori della società.
Viviamo in un’epoca di guerra sistematica in tutte le sue forme e mezzi, dalla politica di guerra speciale al genocidio, allo stupro, allo sfollamento, alla povertà, ai massacri, alle guerre economiche, culturali e biologiche in tutti i campi. Questa politica e mentalità è stata organizzata da un sistema globale che serve gli interessi del sistema capitalista, che cerca di controllare il mondo intero attraverso vari mezzi.
Questo ha portato a grandi problemi, come nel caso dei fatti più recenti in Medio Oriente, Kurdistan, Afghanistan e Ucraina e come la moltitudine di contraddizioni tra i popoli che coesistono tra loro. Tuttavia, questa situazione presenta molte opportunità strategiche per le donne e i popoli in generale. La lotta organizzata delle donne in tutto il mondo, sostenuta dalle forze democratiche, permette alle donne di guidare la lotta per la democrazia, l’ambiente e la giustizia sociale contro le concezioni autoritarie ad alto livello. Le nostre campagne “È tempo di libertà”, “È tempo di proteggere le donne e una società libera”, “Insieme proteggiamo la nostra rivoluzione e liberiamo il nostro paese” raggiungeranno gli obiettivi che ci siamo date grazie alla nostra determinazione.
Il sistema di isolamento imposto nei confronti di Abdullah Öcalan è una forma di isolamento contro le donne e la società in generale, e questo necessita di innalzare livello la lotta per rompere questa situazione, per rompere il muro della prigione di Imrali e ottenere la libertà fisica di Abdullah Öcalan. Dobbiamo lottare l’8 marzo e ogni giorno per cambiare la mentalità autoritaria, per opporci ai costumi e alle tradizioni superate, per proteggere la struttura sociale e la sua realtà storica, per consolidare la vita paritaria e raggiungere la giustizia e l’uguaglianza attraverso consapevolezza intellettuale, democratica, ecologica, sanitaria e morale che protegge l’uomo e la natura.
L’Amministrazione Democratica Autonoma del Nord-Est della Siria, in cui le donne assumono un ruolo di primo piano nel sistema co-presidenziale in tutte le sue strutture organizzative, è una rivoluzione sociale che è diventata un modello e una fonte di ispirazione per tutte le donne.
Le conquiste storiche che sono state raggiunte grazie alla resistenza delle donne dell’YPJ e di tutte le forze militari sotto l’ombrello delle Forze Democratiche Siriane e delle Forze di Sicurezza Interna sul principio della guerra popolare rivoluzionaria.
In occasione della giornata internazionale delle donne lavoratrici, dedichiamo tutte le nostre attività alle anime delle martiri pioniere Sosin Bîrhat, Viyan, Nûjiyan, Rojin, Awaz Urmiye, Karima Lorena, Wedad Younan, Jumana Al Mousa, Ivana Hoffmann, Hind und Saade, Hevrin Khalef.
Salutiamo l’eroica resistenza delle donne di Afrin, Serê Kaniyê, Tal Tamir, Zirgan, la resistenza delle giovani donne e quella delle donne afgane e onoriamo il loro eroismo contro la politica di genocidio e uccisione.
Per dare continuità alla lotta delle nostre martiri, promettiamo loro di intensificare il lavoro nel Nord-Est della Siria fino a quando tutti i loro obiettivi e sogni di libertà, giustizia e uguaglianza saranno raggiunti. Ci appelliamo a tutte le donne del mondo affinché scendano in piazza e alzino la voce contro tutte le forme di genocidio fino a quando la giustizia, l’uguaglianza e la democrazia saranno raggiunte.
Lunga vita alla donna libera!
Jin Jiyan Azadi
Coordinamento del Kongra Star della Siria del Nord-Est
Con questa newsletter speriamo di essere riuscite a darvi un’idea della vita del villaggio. Naturalmente, ci sono molte cose che non abbiamo menzionato, ma che arricchiscono la nostra vita quotidiana…
Car* amic* di JINWAR,
speriamo che stiate tutt* bene e in salute! Vi auguriamo un buon inizio di primavera 2022…
Abbiamo seguito le ultime notizie e gli sviluppi riguardo al Coronavirus qui, la sua diffusione e, dopo due anni, i suoi effetti a breve e lungo termine sulle nostre vite sono ancora devastanti. Le misure prese dagli Stati, la propaganda della paura e soprattutto il distanziamento sociale lasceranno conseguenze molto profonde, simili alle cicatrici della terza guerra mondiale che qui si protrae da anni sulle spalle della popolazione. Allo stesso tempo, sappiamo quanto sia importante la vita sociale e politica, che assicura di agire in modo autoresponsabile e, oltre a tutte le misure, di agire in modo indipendente e di trovare soluzioni nel processo di costruzione di una vita equa ed ecologica. Gli esempi ci sono sia qui che là: come, ad esempio, la solidarietà tra persone nei quartieri.
Durante l’isolamento e la solitudine causati dalle norme per fronteggiare il virus la violenza contro le donne e il numero di femminicidi sono molto aumentati. Sono soprattutto le madri a soffrire per la chiusura delle scuole o degli asili nido perché sono coloro che si devono far carico dei bambini, o sono le prime ad essere licenziate dal lavoro.
In secondo luogo, nella situazione attuale, le donne hanno poche o nessuna opportunità di uscire di casa per scambiare idee, per trovare luoghi dove riunirsi per organizzarsi. Allo stesso tempo, c’è più pressione perché le donne si facciano carico di ruoli tradizionali rispetto a prima, quando si organizzavano con altre donne dando forma alle loro vite insieme.
Negli ultimi due anni abbiamo di nuovo capito l’importanza di preservare le nostre risorse naturali e il nostro stile di vita ecologico. Questo significa costruire relazioni sane tra la natura e le persone.
Qui a Jinwar – il villaggio di donne e bambini nel nord-est della Siria – la vita va avanti. È importante che la vita vada avanti e non si fermi.
Organizziamo la nostra vita insieme e continuiamo il nostro lavoro. Anche se le condizioni sono più difficili, le frontiere continuano ad essere chiuse, l’embargo contro l’autogoverno continua, gli attacchi della Turchia e delle sue bande sono molto vicini e abbiamo avuto 121 martiri solo tre settimane fa, nell’operazione di autodifesa sociale contro l’evasione pianificata dei prigionieri dell’ISIS a Hesekê. Mentre qui come donne non sperimentiamo la violenza diretta nella nostra vita quotidiana e abbiamo l’opportunità di condividere, approfondire le nostre relazioni, pianificare e discutere come vogliamo vivere le nostre vite insieme, sentiamo il dolore di tutte le donne che stanno lottando e resistendo in molti diversi luoghi del mondo.
Qui nel villaggio di Jinwar, il consiglio si incontra ogni due settimane, discutiamo l’attuale situazione politica e i vari sviluppi nel villaggio, la nostra vita comunitaria o le prossime azioni per l’8 marzo, giorno in cui è stata posta la prima pietra di questo villaggio, cinque anni fa.
Inoltre, valutiamo il lavoro dei diversi comitati del villaggio. Discutiamo dei progressi fatti e se è necessario cambiare il nostro modo di lavorare. Con questa base noi pianifichiamo il lavoro per il prossimo periodo. Decidiamo insieme chi di noi sarà responsabile di quale lavoro nel prossimo periodo. Eleggiamo anche la portavoce del villaggio su base mensile.
Nella situazione attuale vediamo quanto sia importante costruire modi di approvvigionamento alternativi. Questo significa costruire economie locali e creare forme di autosufficienza. Più siamo coinvolte nel provvedere al nostro stesso approvvigionamento economico, meglio possiamo reagire in situazioni eccezionali. I gruppi che vivono e lavorano insieme sono quelli che possono affrontare e reagire meglio ai cambiamenti della situazione economica.
Allo stesso tempo, essere capaci di provvedere al nostro approvvigionamento significa anche essere più vicine al nostro ambiente e alla natura. Questo rafforza la nostra consapevolezza ecologica e la nostra salute.
Qui a Jinwar possiamo provvedere a noi stesse in molti modi. Abbiamo raccolto le erbe e le piante commestibili che crescono nel villaggio e nei dintorni. Inoltre, abbiamo ancora cibo essiccato e conservato dall’anno scorso. Abbiamo prodotto yogurt e formaggio con il latte delle pecore del villaggio e condiviso le uova delle nostre galline.
Più volte alla settimana cuociamo il pane nel panificio del villaggio con la farina che abbiamo macinato l’anno scorso. Quest’anno abbiamo di nuovo lavorato i campi, seminato grano e ceci, che hanno iniziato a germogliare grazie alla tanto attesa pioggia e alla poca neve caduta, e sono già verdi sotto i primi caldi raggi di sole.
I pannelli solari, installati tre anni fa, continuano a fornirci elettricità. Il nostro obiettivo è quello di rifornire l’intero villaggio di energia solare e termica. A causa della situazione attuale e dell’embargo, non siamo ancora in grado di realizzare il progetto.
La nostra scuola (dayika uveyş) da una settimana ha riaperto le porte per i bambini di Jinwar, ma anche per quelli che vengono da fuori, come parte del sistema educativo del Governo autonomo di questa regione.
Il Centro di Salute Şîfa Jin ha curato 320 pazienti con la medicina naturale e le erbe medicinali fatte prodotte negli ultimi mesi. Principalmente donne e bambini, ma anche alcuni pazienti maschi provenienti dalla zona circostante si sono curati a Şîfa Jin.
Ora il team di Şîfa Jin ha anche l’ambulanza, che consente di muoversi dal villaggio per andare a curare i pazienti e portarli in diversi ospedali se necessario.
Oltre ai trattamenti, il centro di cura è un luogo importante per le donne, perché qui possono incontrare altre donne, scambiare idee, condividere le loro esperienze e conoscenze. E questo contribuisce a migliorare la loro salute e a farle guarire.
Con questa newsletter speriamo di essere riuscite a darvi un’idea della vita del villaggio. Naturalmente, ci sono molte cose che non abbiamo menzionato, ma che arricchiscono la nostra vita quotidiana, come i quattro bellissimi pavoni che rallegrano la vita del villaggio, i giovani agnelli, la gallina che fa le uova ogni giorno, i tanti piccoli germogli degli alberi da frutta, o i venti che soffiano da tutte le direzioni, i pupazzi di neve, l’acqua ghiacciata, le passeggiate con spesse zolle di terra sotto le scarpe nella terra fresca, rossa, umida e ricca di vitamine. Possiamo felicemente dirvi che ha piovuto – e la pioggia qui è considerata sacra dopo quasi due anni di attesa e la siccità ha creato problemi a lungo termine….
Saremmo felici di ricevere feedback, idee e suggerimenti. Scriveteci per condividere i vostri pensieri e le vostre domande con noi.
E vi auguriamo tanta forza per il prossimo periodo!
Il 15 febbraio 2022 cade il ventitreesimo anniversario del rapimento e dell’inizio della detenzione del leader politico curdo Abdullah Öcalan.
COMUNICATO STAMPA – RICHIESTA DI LIBERAZIONE IMMEDIATA (16 febbraio 2022)
ACCRESCERE LA PRESSIONE INTERNAZIONALE PER IL RILASCIO DEL LEADER CURDO ABDULLAH ÖCALAN
Il 15 febbraio 2022 cade il ventitreesimo anniversario del rapimento e dell’inizio della detenzione del leader politico curdo Abdullah Öcalan.
Ogni anno, da quando Abdullah Öcalan è stato incarcerato, una delegazione di pace ha visitato la Turchia chiedendo di poterlo incontrare nell’isola-prigione di İmralı. Quest’anno, la più partecipata delegazione di pace internazionale fino a oggi, organizzata da International initiative, Freedom for Abdullah Öcalan, Peace in Kurdistan, dai sindacati britannici e da Peace in Kurdistan, ha da poco completato i due giorni di lavoro virtuale della delegazione in Turchia e di valutazione dei 23 anni di detenzione aggravata in isolamento di Öcalan, leader riconosciuto del popolo curdo.
La delegazione ha incontrato rappresentanti politici, organizzazioni per i diritti umani, organizzazioni di donne, associazioni di detenuti e delle loro famiglie, e avvocati, tra cui quelli dello studio legale Asrin, che difendono Abdullah Öcalan, ed a cui è stato negato il contatto con il loro assistito in violazione del diritto internazionale.
La delegazione ha potuto riscontrare che:
il regime di isolamento praticato nell’isola di İmralı, dove Abdullah Öcalan è stato tenuto prigioniero per 23 anni in violazione del diritto internazionale e delle convenzioni sui diritti umani, è stato ora esteso a tutto il sistema carcerario della Turchia. Si stanno costruendo carceri di isolamento di tipo F, e tra le mura delle carceri già esistenti l’isolamento dei prigionieri politici sta diventando una pratica comune, così come l’imposizione di severe sanzioni disciplinari;
in queste condizioni i prigionieri politici vengono maltrattati e torturati, gli anziani e le persone con gravi malattie privati delle cure mediche;
gli stupri e le molestie sessuali commesse dai c.d. guardiani del villaggio e dal personale militare o carcerario costituiscono la normalità in un sistema che garantisce impunità ai colpevoli;
in Turchia la libertà di parola è inesistente, e migliaia di persone sono costantemente perseguitate, arrestate, tenute in custodia cautelare per lunghi periodi e poi condannate a pesanti pene detentive per motivi meramente politici. Coloro che non accettano di pentirsi dei loro “misfatti” o di mostrarsi “docili” vengono sottoposti a punizioni aggravate.
il diritto di difesa di Abdullah Öcalan continua ad essere violato. I suoi avvocati hanno confermato che non sono state consentite comunicazioni con lui dal 25 marzo 2021.
L’isolamento di Abdullah Öcalan è stato inasprito dalle autorità turche in seguito al rapporto della Commissione contro la tortura del Consiglio d’Europa (CPT) dell’agosto 2020, nel quale si sottolineava che “il regime di isolamento” praticato sull’isola di İmralı è “inaccettabile” e raccomandava alle autorità turche di prendere misure per migliorare questa situazione “senza ulteriori indugi”. Il governo turco ha reagito vietando a Öcalan nuove visite da parte della famiglia e degli avvocati e vietando altresì ogni comunicazione telefonica, peggiorando così ulteriormente le sue condizioni di isolamento.
Chiediamo che il CPT monitori l’attuazione delle raccomandazioni formulate alle autorità turche nel suo rapporto per il rispetto del diritto internazionale, e che domandi loro di poter incontrare personalmente Öcalan e i suoi avvocati.
I membri della delegazione sono estremamente preoccupati per il mancato rispetto da parte delle autorità turche delle raccomandazioni degli organismi internazionali per i diritti umani, e ancora di più per il silenzio degli stessi organismi internazionali, in particolare per il fatto che la delegazione del CPT in visita in Turchia nel 2021 non si sia recata a İmralı né abbia fornito alcuna informazione sullo stato di salute di Öcalan.
Dopo tutti questi anni, nonostante le torture subite, quello di Öcalan rimane un messaggio di conciliazione con il quale si insiste sulla necessità di riavviare un percorso di pace e democratico. Riteniamo che la sua presenza al tavolo dei negoziati sia un fattore essenziale per la pace nella regione.
Ci appelliamo a tutte le istituzioni che nel mondo sono responsabili per l’attuazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani e per il mantenimento dello stato di diritto affinché facciano sentire la loro voce per chiedere che l’isolamento di Abdullah Öcalan abbia fine senza ulteriori indugi.
È giunto il momento che il mondo si assuma le sue responsabilità.
Andrea Kocsondi, membro dell’esecutivo della Federazione Generale dei Sindacati (GFTU), Regno Unito.
Barbara Spinelli, co-presidente dell’Associazione europea degli avvocati per la democrazia e i diritti umani nel mondo.
Christine Blower, ex segretaria generale dell’Unione Nazionale degli Insegnanti, Gran Bretagna.
Clare Baker, responsabile internazionale del sindacato britannico Unite.
Claire Jones, segretaria generale della Società degli impiegati sindacali (SUE), Regno Unito.
Dimitri Roussopoulos, editore e redattore, scrittore, ecologista e organizzatore di comunità.
Doug Nicholls, leader della Federazione Generale dei Sindacati, Regno Unito.
Federico Venturini, ricercatore associato all’Università di Udine (Italia).
Kariane Westrheim, professoressa di scienze dell’educazione all’Università di Bergen, presidentessa dell’EUTCC, Norvegia.
Laura Quagliuolo, editor e scrittrice italiana.
Mahmoud Patel, accademico, studioso di diritto e attivista dei diritti umani, Sudafrica.
Margaret Owen OBE, Avvocata, Regno Unito.
Melanie Gingell, avvocata e docente di diritto internazionale dei diritti umani.
Radha D’Souza, professoressa di diritto, avvocata e scrittrice, attualmente docente di diritto all’Università di Westminster, Regno Unito.
Şerife Ceren Uysal, co-segretaria generale dell’Associazione europea degli avvocati per la democrazia e i diritti umani nel mondo.
Shavanah Taj, segretaria generale del TUC, Galles.
Thomas Jeffrey Miley, studioso di sociologia all’Università di Cambridge.
Ögmundur Jónasson, ex ministro della giustizia islandese.
da ieri sera, la Turchia ha bombardato numerosi luoghi del Kurdistan con attacchi aerei. Dopo che l’attacco dell’ISIS a Hesekê, in Siria del Nord-Est, è stato sventato con successo dalle Forze Siriane Democratiche (SDF), la Turchia, uno Stato membro della NATO, sta nuovamente lanciando violenti attacchi con numerosi aerei da guerra. Gli obiettivi attuali sono una centrale elettrica che fornisce elettricità alle persone a Koçerat, nella regione di Dêrik, dove un paio di ore prima migliaia di persone avevano preso parte ai funerali di 10 dei 121 uccisi nel combattimento contro l’ISIS a Hesekê; a Sengal, dove l’ISIS ha commesso un genocidio nell’agosto del 2014, uccidendo decine di migliaia di Yazidi e schiavizzando donne e bambini; nel campo profughi di Mexmûr nel Kurdistan meridionale, dove vivono 12mila persone. Inoltre, ci sono notizie di attacchi di artiglieria a Sehba. Sehba è una regione a nord di Aleppo dove nei campi vivono decine di migliaia di persone fuggite da Afrin.
Di nuovo i droni e gli aerei da guerra di Erdogan stanno volando e uccidendo, ancora i soldati turchi e i mercenari islamisti stanno provando a catturare e occupare il territorio che negli ultimi anni si è consolidato con sforzo e autorganizzato. Comunque, la guerra in Siria del Nord-Est non è mai cessata, poiché ogni giorno negli scorsi mesi le battaglie sono state onnipresenti, le bombe e gli attacchi dei droni sono stati una minaccia quotidiana, migliaia hanno perso la vita nella lotta per la libertà o sono dovuti fuggire.
Condanniamo fortemente il nuovo massiccio bombardamento e questa guerra continua. Non soltanto perché porta morte, sfollamenti, privazione e stupri – ma perché è diretta contro uno dei movimenti democratici e femministi più forti al mondo. Insieme al movimento di liberazione curdo, insieme al PKK, le persone qui negli ultimi dieci anni hanno consolidato una società che dovrebbe funzionare in modo libero, solidale ed ecologico.
Mentre alcuni considerano questo terrorismo, per noi è la conferma che la lotta per una vita libera, la rivoluzione delle donne in Siria del Nord-Est, è un pericolo per gli esistenti sistemi patriarcali e capitalisti. In Siria del Nord-Est possiamo vedere cosa significa fare una politica femminista, costruire una società con un sistema democratico basato sulla partecipazione di chiunque e su strutture autorganizzate che vengono dal basso, dal popolo.
Fin troppo spesso in anni recenti abbiamo visto cosa significa quando la Turchia lancia operazioni come questa. Perciò sta a noi attivarci adesso! Ci appelliamo a tutte le forze democratiche e femministe affinché si uniscano e resistano. Facciamo pressioni sui politici, informiamo la stampa locale, assicuriamoci insieme che la criminalizzazione del movimento curdo e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan abbia una fine, perché questo è il terreno politico su cui questa guerra può essere intrapresa. Supportiamo l’autodifesa delle persone sul posto, sia con donazioni – per esempio all’organizzazione di assistenza sanitaria “Mezzaluna Rossa Kurdistan” (Heyva Sor a Kurdistanê) – sia con altre azioni. Facciamo sapere nelle strade e nei bar come gli Stati internazionali abbiano una parte di responsabilità nella guerra, avendo contribuito alla riorganizzazione dell’ISIS ed essendosi assicurati che in migliaia venissero allontanati dalle loro case.
Uniamoci e difendiamo la rivoluzione delle donne!
Diffondete le vostre azioni con gli hashtag #stopturkishinvasion e #womendefendrojava
Con RAWA, Meena ha gettato le basi di un’organizzazione che, 35 anni dopo il suo assassinio, è più che mai una forza nella resistenza delle donne afgane.
Meena Keshwar Kamal (1956-1987) è nata il 27 febbraio 1956 a Kabul. Nei tempi in cui frequentava la scuola superiore gli studenti di Kabul e di altre città afgane erano molto impegnati nell’attivismo sociale e nei nascenti movimenti di massa. Nel 1977, nel periodo degli studi all’Università di Kabul, Meena fondò l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne Afghane (RAWA), un’organizzazione nata per promuovere l’uguaglianza e l’istruzione delle donne, associazione che continua ancora oggi la sua attività per “dare voce alle donne afghane che non hanno voce”. Nonostante la Rivoluzione di Saur [con cui le truppe insorgenti del PDPA soverchiarono il regime di Daoud Khan], in seguito alla quale era stato garantito che i diritti delle donne sarebbero stati messi in primo piano nell’agenda della Repubblica Democratica, Meena constatò che non erano avvenuti grandi cambiamenti nella vita delle sottomesse donne afghane. Nel 1979 organizzò una campagna contro il governo, promuovendo incontri e mobilitazioni nelle scuole e, nel 1981, lanciò la rivista femminista bilingue, “Payam-e-Zan” (Il messaggio delle donne). Fondò anche le scuole Watan per i bambini rifugiati e le loro madri, un ospedale e centri di artigianato per donne rifugiate in Pakistan per sostenere finanziariamente le donne afgane. Negli anni ’80, si trasferì in Pakistan per fondare RAWA a Quetta, dove poi venne assassinata il 4 febbraio 1987.
Il giorno 4 febbraio 2022 noi, donne di Women Defend Rojava, commemoriamo il 35° anniversario del martirio di Meena Keshwar Kamal. Un giorno per ricordarla e onorarla ribadendo il nostro impegno a continuare le nostre lotte contro il patriarcato, i fondamentalisti religiosi, l’imperialismo, il capitalismo e tutti i sistemi che opprimono e schiavizzano le donne.
Meena è ancora viva nei nostri cuori, nelle nostre lotte. Questa dichiarazione non è solo un messaggio per ricordare. La lotta e la vita di Meena sono un esempio per tutte le donne. È anche un messaggio per aiutarci a tenere presente quanto per noi sia importante costruire un internazionalismo femminile.
Con RAWA, Meena ha gettato le basi di un’organizzazione che, 35 anni dopo il suo assassinio, è più che mai una forza nella resistenza delle donne afgane. Il ritorno dei talebani in Afghanistan è l’ennesimo tradimento contro le donne e la società da parte delle potenze capitaliste. Il nostro sostegno alle sorelle afghane deve essere più forte che mai. Lo dobbiamo a tutte le donne che sono morte nella lotta, e a tutte coloro che continuano a rischiare la vita nella resistenza, sacrificate ancora una volta dalle potenze dominanti di questo mondo. La nostra storia è legata alla vostra. Non possiamo abbassare la guardia. Lo abbiamo imparato ancora una volta con i recenti attacchi nella città di Heseke, nel nord-est della Siria, con il tentato ritorno dell’IS.
Il nostro mondo è fragile, ma noi siamo forti. Siamo forti insieme e in questi tempi abbiamo bisogno di sostegno e aiuto. Nello spirito di Meena, dobbiamo costruire un’unità rivoluzionaria per continuare il suo lavoro, la sua lotta e quella di tutte le donne che hanno perso la vita, infondendo in noi la forza di portare avanti i nostri obiettivi.
Nell’anniversario del massacro di Parigi, rafforzeremo ancora una volta la solidarietà globale delle donne contro il fascismo, il patriarcato e il femminicidio.
Nove anni fa, il 9 gennaio 2013, a Parigi, sono state massacrate Sakine Cansız (Sara), che è tra le fondatrici del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), Fidan Doğan (Rojbin), rappresentante del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK) e Leyla Şaylemez (Ronahi), rappresentante del movimento giovanile curdo. Come Movimento delle donne curde in Europa, rendiamo omaggio alle martiri di Parigi con rispetto, amore e gratitudine e riaffermiamo ancora una volta il nostro impegno affinché gli autori di questo crimine atroce vengano assicurati alla giustizia; ribadiamo inoltre la nostra promessa di mantenere viva la memoria delle nostre martiri, mentre il movimento per la libertà delle donne cresce.
Il sistema criminale patriarcale, con la sua mentalità fascista, prende di mira le donne proprio mentre le pioniere sono in prima linea. Storicamente, i movimenti popolari e femminili sono stati repressi nel tentativo di distruggere le loro organizzazioni e intimidirli, come, per citare i primi esempi, nel caso dei massacri delle sorelle Mirabel e di Rosa Luxemburg. Questi tentativi sistematici di distruggere le organizzazioni e intimidire il movimento delle donne continuano anche oggi. Massacrando pioniere come Karima Baloch in Canada, Forouzan Safi in Afghanistan, Zara Alvarez nelle Filippine, Hanan Al Barassi in Libia e Sakine Cansız, Fidan Doğan, Leyla Şaylemez a Parigi, il sistema patriarcale ritiene, erroneamente, di riuscire a far paura alla rivoluzione delle donne. Per noi, la lotta per assicurare alla giustizia gli autori del massacro di Parigi è un passo significativo nella lotta contro tutti i femminicidi politici. Da 9 anni, le donne curde, il popolo curdo e le forze democratiche chiedono che gli autori del massacro di Parigi siano processati, nelle strade e in tribunale. Le prove riguardanti il colpevole sono chiare e le donne curde continuano a chiedere che questo crimine contro l’umanità non rimanga impunito.
Mentre tutte le prove dimostrano la colpevolezza dello stato turco e del governo dell’AKP guidato da Tayyip Erdogan, e la prima indagine sul caso si è conclusa sancendo chiaramente che il massacro è stato orchestrato dall’Agenzia Nazionale di Intelligence Turca (MİT), il governo francese ha chiuso il caso, adducendo come scusa il decesso del sicario. In seguito, sono venute le confessioni del personale del MİT e quella dell’ex capo dell’Agenzia di Intelligence dello Stato Maggiore, İsmail Hakkı Pekin. Altri assassinii di questo tipo sono stati pianificati in altre zone d’Europa. Tuttavia, i governi internazionali stanno coprendo la verità per salvaguardare i loro interessi e le loro relazioni con il regime turco. Nonostante negli ultimi 3 anni le indagini sul massacro siano state riaperte e sebbene ci siano prove concrete, il governo francese non ha ancora portato il caso in tribunale. Possiamo vedere, mentre scriviamo, che questo gesto ha incoraggiato lo stato turco guidato dall’AKP, che continua ad aggiungere nuovi massacri al suo dossier criminale degli ultimi 9 anni.
Nell’anniversario del massacro di Parigi, rafforzeremo ancora una volta la solidarietà globale delle donne contro il fascismo, il patriarcato e il femminicidio. Mostreremo al mondo che la rivoluzione e la resistenza delle donne trascendono i confini e non possono essere fermate. Continueremo a sottolineare che il movimento delle donne libere è il nostro passato, presente e futuro; è la strada che ci hanno indicato Sara, Rojbin e Ronahi. Non abbiamo dimenticato, non dimenticheremo! Come TJK-E, la nostra volontà di avere giustizia continua e continuerà fino a quando i colpevoli non saranno assicurati alla giustizia.
Con lo slogan “La Francia sarà colpevole fino a che la giustizia rimarrà al buio”, saremo nelle strade di Parigi e di altre regioni il 5 e l’8 gennaio, per dire che “è ora di consegnare i colpevoli alla giustizia”. Il nostro appello è per tutte le donne! Il nostro appello è per il popolo curdo! Il nostro appello è ai popoli democratici, alle organizzazioni di sinistra e socialiste! A tutti coloro che vogliono denunciare i crimini efferati dello stato turco! Vogliamo giustizia per Sara, Rojbin e Ronahi! Vogliamo che gli autori di crimini contro l’umanità siano processati! Facciamo del 2022 l’anno della sfida e del successo nei confronti del fascismo e del patriarcato e assicuriamo alla giustizia gli autori di stupri e genocidi! Con la ferma convinzione che il fascismo sarà superato grazie all’unità delle donne e dei movimenti popolari, chiediamo una lotta globale per distruggere il fascismo, la cultura dello stupro, le politiche di genocidio e l’istituzionalizzazione delle gang di stato.
Il TJA ha festeggiato il nuovo anno dei popoli e delle donne che resistono alla dominazione maschile e ha detto che il 2022 sarà l’anno della vittoria.
Il Tevgera Jinên Azad (TJA), Movimento delle Donne Libere, ha scritto in un comunicato per il nuovo anno:
“Noi, popoli, identità e donne che hanno resistito con fatica e sacrificio per migliaia di anni e hanno protetto tutte le bellezze che venivano cercate per essere distrutte, ci stiamo lasciando indietro l’anno 2021. Senza dubbio, il tempo non è un concetto limitato a ciò che può essere espresso in numeri e il 2021 proteggerà tutti i nostri valori, sorrisi e dolori del passato e lì consegnerà al 2022.
Stiamo attraversando tempi in cui tutti questi valori sono nel mirino del sistema della modernità capitalista, basata sulla dominazione maschile, e tutto ciò che di buono e bello è stato creato dalla società fronteggia la distruzione. I governi, che presentano la modernità capitalista sotto il nome di “progresso” come l’unica opzione per le persone, vogliono far dimenticare la tradizione sociale antica di 14mila anni.”
Il comunicato aggiunge: “La nostra lotta per la liberazione delle donne non ha dato e non darà spazio a nessuno di questi modi e mezzi scellerati. Continueremo a percorrere la nostra strada contro il patriarcato che ci viene imposto.”
Il Movimento delle donne curde in Europa chiede un’ampia partecipazione alla manifestazione dell’11 dicembre per la libertà del leader curdo Abdullah Öcalan.
Il Movimento delle Donne Curde in Europa (TJK-E) ha rilasciato comunicato per dichiarare il 10 dicembre Giornata Internazionale della Libertà per Abdullah Öcalan come annunciato da Freedom for Abdullah Öcalan Initiative.
“Le forze che hanno orchestrato la cospirazione del 9 ottobre, volta a eliminare il movimento per la libertà del Kurdistan e la lotta per la libertà e l’uguaglianza in Medio Oriente, hanno fallito. Mentre i cospiratori sono stati sconfitti, la lotta per la libertà ha proseguito il suo cammino, ed è diventata una speranza per tutto il mondo. La resistenza delle donne e del popolo curdo, e soprattutto la resistenza storica di Öcalan, ha vanificato gli sforzi per sconfiggerle. Condanniamo ancora una volta la cospirazione più brutale e disumana della storia dell’umanità. Commemoriamo con rispetto e gratitudine gli eroi che hanno combattuto e resistito alla cospirazione e sono caduti come martiri”, dice la dichiarazione.
“POSSIAMO SCONFIGGERE QUESTO ATTACCO SOLO ATTRAVERSO LA RESISTENZA”
La dichiarazione continua: “Nonostante il sistema di tortura e l’isolamento assoluto imposto a Öcalan, il paradigma di vita democratica e libera da lui sviluppato ha dato speranza ai popoli del Medio Oriente e del mondo, in particolare ai popoli del Kurdistan. È diventato l’unica opzione per la democratizzazione della Turchia e del Medio Oriente, per risolvere i problemi, per la liberazione delle donne e per una vita comune egualitaria. Il fatto che questa filosofia sia diventata gradualmente più popolare ha dato fastidio allo stato fascista turco e a chi detiene il potere. Per questo sono stati così messi in atto questo attacco globale e l’isolamento. Possiamo sconfiggere questi attacchi con la lotta comune e la resistenza del popolo, che include noi donne.
REAZIONE AL SILENZIO INTERNAZIONALE
Questo isolamento assoluto e gli attacchi a Öcalan sono un’aggressione diretta a tutti i popoli del Kurdistan e all’umanità. Il silenzio di tutte le istituzioni internazionali, specialmente il CPT, fa sì che il governo fascista AKP-MHP intensifichi le sue politiche. Il regime fascista AKP-MHP attacca tutte le conquiste del popolo curdo e vuole distruggere tutto ciò che promuove una libera identità curda. Le istituzioni internazionali sono complici di questo fascismo.
Intensificare la lotta contro il fascismo e spianare la strada per la vittoria insieme alle donne, al popolo curdo, ai giovani e a tutti coloro che promuovono i valori dell’umanità, è l’unica via d’uscita. Perciò diciamo che “La libertà di Öcalan è la nostra libertà”. Il modo più efficace e significativo per raggiungere questo obiettivo è quello di riunirsi intorno a Öcalan.
“ALZIAMO LA VOCE PER LA LIBERTÀ DI ÖCALAN”
La Freedom for Abdullah Öcalan Initiative ha annunciato il 10 dicembre come giornata internazionale della libertà per Abdullah Öcalan. Persone in diverse parti del mondo, specialmente il popolo del Kurdistan, parteciperanno alle proteste per chiedere la libertà per Öcalan. Manifestazioni ed eventi si terranno anche l’11 dicembre.
Come Movimento delle Donne Curde in Europa, chiediamo un’ampia partecipazione alle manifestazioni nell’ambito delle campagne “È tempo di difendere le donne libere e la società contro il femminicidio” e “Stop all’isolamento, all’occupazione, al fascismo, è tempo di assicurare la libertà”. L’11 dicembre si alzerà una sola voce in tutto il mondo, che chiederà la libertà per Öcalan.
Sono le donne ad essere più colpite dalle guerre, quindi il 25 novembre nel Nord-Est della Siria significa anche ribellarsi alla guerra di occupazione.
Il 25 novembre le donne di tutto il mondo si mobilitano contro la violenza e l’oppressione patriarcale; questo giorno è diventato simbolo della lotta delle donne per la libertà. È dedicato alle sorelle Mirabal, che lottarono contro la dittatura dominicana e il 25 novembre 1960 furono assassinate dai servizi segreti del dittatore dominicano. Sono state delle pioniere e hanno ispirato molte donne in tutto il mondo a resistere al sistema patriarcale, fascista e capitalista che sfrutta le donne, la natura e tutta la società. Il 25 novembre è la giornata per porre fine alla violenza contro le donne in tutto il mondo e ricorda ciò che i movimenti femministi e delle donne chiedono 365 giorni all’anno: una vita senza violenza, con diritti e libertà.
Nella Siria del Nord-Est la rivoluzione, conosciuta anche come rivoluzione delle donne, ha portato a molte conquiste per le donne. La lotta delle YPJ ha fatto comprendere all’opinione pubblica che esse possono organizzarsi autonomamente e creare forze di autodifesa, come è stato da lungo tempo nel movimento delle donne curde. Ma soprattutto organizzazioni come il Kongra Star e le Mala Jin (N.d.R. case delle donne), permettono alle donne di portare avanti una lotta organizzata ed efficace contro la violenza. Tuttavia, anche se possiamo celebrare il 25 novembre pensando al successo che le organizzazioni femminili hanno avuto all’interno della società nel sollevarsi contro la violenza e l’oppressione, un grande pericolo arriva dagli attacchi dello stato turco occupante. Sono le donne ad essere più colpite dalle guerre, quindi il 25 novembre nel Nord-Est della Siria significa anche ribellarsi alla guerra di occupazione. Perché in tutto il mondo molte donne che hanno lottato per la libertà e contro sistemi dittatoriali, oppressivi e monopolistici sono state assassinate dagli stati e dai loro scagnozzi. La lotta di tante donne esprime spesso la volontà di superare l’oppressione patriarcale. Il 25 novembre le commemoriamo e vorremmo presentarne alcune.
1. Sosîn Bîrhat, di Afrin, è cresciuta ad Aleppo, dove ha partecipato a gruppi folkloristici curdi. Ha preso parte alla rivoluzione in Rojava fin dall’inizio ed è diventata una stimata comandante delle YPJ (Unità di difesa delle donne). Ha combattuto contro l’ISIS e gli attacchi turchi e ha partecipato alla leggendaria resistenza del quartiere di Şêxmeqsud ad Aleppo, dove la popolazione locale è diventata un tutt’uno con le unità YPJ e YPG. Il 19 agosto 2021 la Turchia ha ucciso e reso martiri lei e 4 membri delle YPG in un attacco aereo che ha attaccato il Consiglio Militare di Till Temir.
2. Saada al-Hermas era co-presidente del Consiglio di Til El-Shayir, nella regione di Heseke. Aveva due figli e dopo il divorzio li cresceva da sola. Come donna e madre araba, ha assunto un ruolo di primo piano nella costruzione dell’amministrazione autonoma e nell’organizzazione di una società democratica, oltre a sostenere con convinzione il confederalismo democratico. Il 21 gennaio 2021, l’ISIS ha compiuto un attacco mirato contro di lei e Hind al-Khedr. Entrambe le donne sono cadute martiri.
3. Anche Hind al-Khedr, una giovane donna araba, lavorava a Til El-Shayir per l’Amministrazione autonoma del Nord-Est della Siria e faceva parte del comitato economico della sua città. Era molto entusiasta delle attività dell’amministrazione autonoma. Aveva una figlia e dopo il divorzio l’ha cresciuta da sola.
4. Deniz Poyraz, una coraggiosa giovane donna curda di Mardin che viveva a Smirne, lavorava nell’ufficio locale dell’HDP, un partito popolare e pluralista. Lì, nonostante la massiccia repressione fascista dello stato, si è battuta per una società democratica contro il regime fascista AKP-MHP. Il 19 giugno 2021, un fascista armato fino ai denti ha attaccato il suo ufficio in presenza della polizia turca e Deniz Poyraz è caduta martire.
5. Leyla Agirî, la comandante guerrigliera di YJA-Star, l’Esercito delle donne libere, attiva nell’Associazione delle donne curde KJK e nel comitato di Jineoloji, di cui è stata cofondatrice, è stata martirizzata nel giugno 2020 durante gli attacchi aerei sulle aree di difesa Mediya, nel Kurdistan meridionale. Era un’importante leader del movimento delle donne curde ed era nota per la sua volontà di aiutare ogni donna a sviluppare una coscienza rivoluzionaria.
6. Nûcan Serdoz è stata martirizzata il 25 giugno 2020 a Hefatnin, sulle montagne del Kurdistan meridionale, dove la Turchia ha lanciato un’offensiva di guerra. Quando i suoi amici delle unità HPG e YJA-Star si trovarono in una situazione disperata, lei si precipitò in loro aiuto. Originaria della provincia curda settentrionale di Mardin, per molti anni aveva combattuto e organizzato il Movimento delle Giovani Donne e dell’YJA-Star ed era diventata un simbolo della ricerca disinteressata e determinata della libertà e dell’amicizia nello spirito del Movimento per la Libertà Curdo.
7. Zehra Berkel è stata coordinatrice del movimento femminile Kongra Star nella regione dell’Eufrate, in Rojava, e ha dedicato la sua vita alla costruzione delle istituzioni del Confederalismo Democratico fin dall’inizio della rivoluzione. Il 23 giugno 2020, lo stato turco ha effettuato un attacco aereo mirato contro di lei, Hebûn Mele e Emîna Weysî, donne che hanno anche avuto un ruolo importante nel movimento delle donne del Kongra Star.
8. Kerima Lorena Tariman era una combattente del New People’s Army (NPA), nelle Filippine, e ha combattuto contro lo stato corrotto e fascista che opprime il popolo indigeno. Era anche un’artista rivoluzionaria, poeta e giornalista. Anche se è cresciuta e ha studiato in città, dopo aver visto la realtà dei lavoratori contadini in lotta, ha deciso di dedicare interamente la sua vita alla lotta rivoluzionaria dell’NPA. È caduta martire a causa di un attacco dell’esercito filippino il 20 agosto 2021.
9. Malalai Maiwand era una giovane giornalista afghana che lottava per i diritti delle donne. Lavorava in una stazione TV e radio locale ed è stata minacciata sia dai talebani che dall’ISIS, ma non ha rinunciato al suo lavoro di reporter. Il 10 dicembre 2020, è stata attaccata mentre andava al lavoro ed è caduta martire.
Queste donne, le loro storie e le loro lotte sono solo alcuni esempi di donne resistenti e che si battono per la libertà con determinazione e nelle condizioni più difficili. La modernità capitalista combatte contro le donne rivoluzionarie e gli altri generi oppressi con tutti i mezzi. Sono state prese di mira da stati e gruppi oppressivi, ma la resistenza contro il patriarcato, lo sfruttamento e la prevaricazione non può essere spezzata. La loro lotta continua oggi nella lotta di tutte le donne rivoluzionarie e in lotta. Solo comprendendo la loro ricerca di libertà, esplorando i loro metodi e seguendo il loro cammino possiamo dare il giusto significato alla loro lotta. I/le caduti/e sono immortali.
Insieme a tutte le donne che chiedono libertà, uguaglianza e pace, saremo in grado di costruire una Siria libera e di creare una Confederazione Mondiale delle Donne attraverso le nostre organizzazioni, idee e lotta ed essere pioniere in questa costruzione.
All’opinione pubblica e ai media Con lo slogan “Poniamo fine alla violenza e all’occupazione” noi lottiamo nello spirito di Hevrin Khalaf, Sosin Birhat, Hind, Saade, Deniz Poyraz, Leyla Agiri, Zahra Berkel e Kerima Lorena Tariman., donne che hanno combattuto contro lo stato-nazione patriarcale e in questa lotta hanno sacrificato la vita. La loro resistenza e la loro lotta eroica sono diventate il nostro modello per conquistare la libertà delle donne. Continueremo il loro cammino con determinazione e coraggio per avere una vita dignitosa e la liberazione delle donne.
Alle compagne e sorelle Le donne sono state sistematicamente assassinate per migliaia di anni, ma fino ad oggi, a livello internazionale, questo non è stato definito femminicidio. Le donne, le attiviste, coloro che fanno politica e lottano in tutto il mondo, hanno pagato un prezzo altissimo per il loro impegno contro l’oppressione e il genocidio, dall’America Latina alla Tunisia, dalla Turchia alla Polonia, dalla Siria all’India, dalla Bielorussia a Iraq, Libano, Pakistan e Afghanistan.
Il sistema dominato dagli uomini incoraggia la violenza globale usando religione e discriminazione basata sul genere e sul nazionalismo. Il martirio delle sorelle Mirabal per mano del dittatore Trujillo rappresenta un punto di svolta nella marcia della resistenza delle donne. Il giorno del loro martirio è usato come un momento storico per proclamare la resistenza delle donne all’oppressione, all’ingiustizia e alla tirannia. Nel 1999, sulla base di questo assunto, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di dichiarare il 25 novembre di ogni anno come Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in tutto il mondo, al fine di eliminare la violenza fisica subita dalle donne.
Specialmente in tempi di conflitto armato noi, come organizzazione di donne che operano nel Nord-Est della Siria, sappiamo che in queste situazioni le prime vittime sono le donne. In particolare nelle zone occupate dallo stato turco, le donne hanno sperimentato ogni tipo di violenza come stupri, torture, arresti, rapimenti e privazione della libertà. Lo stato turco in queste zone ha commesso numerosi crimini di guerra e crimini contro l’umanità, mentre la comunità internazionale tace, nonostante il fatto che la violenza contro le donne in tutte le sue forme sia la violazione più diffusa dei diritti umani. Come indicato nelle risoluzioni delle Nazioni Unite, il 70% delle donne nel mondo è soggetto a violenza nella sua vita proprio per il genere a cui appartiene. La violenza si fa anche più feroce nel momento in cui diventa una pratica sistematica delle autorità e degli stati.
Il patriarcato e la violenza contro le donne hanno una lunga storia, così come la resistenza eroica che li contrasta. Tuttavia, la storia scritta dai potenti e dai governanti non parla della resistenza delle donne per consentire che potenti e governanti continuassero a mantenere unità e indipendenza. Noi pensiamo che il ventunesimo secolo sarà il secolo della liberazione delle donne, perché le voci di donne che chiedono libertà si stanno alzando in tutte le parti del mondo. Dalla regione che ha sconfitto l’ISIS grazie alla loro resistenza, delle donne gridano: “No alla violenza, no all’occupazione, no al conflitto armato, no alla guerra, no alla sostituzione demografica, no al genocidio, no all’assassinio delle donne”.
Noi, i movimenti delle donne di tutte le componenti del Nord-Est della Siria, dichiariamo di voler intensificare la nostra lotta contro la mentalità patriarcale, per un cambiamento della società basato sulla libertà e l’uguaglianza. Invitiamo le nostre sorelle in tutta la Siria a lavorare per un Paese libero e democratico e a creare un sistema che sostenga il diritto delle donne a vivere in sicurezza in tutte le sfere della vita.
Insieme a tutte le donne che chiedono libertà, uguaglianza e pace, saremo in grado di costruire una Siria libera e di creare una Confederazione Mondiale delle Donne attraverso le nostre organizzazioni, idee e lotta ed essere pioniere in questa costruzione: abbiamo la forza e la determinazione per farlo. Su questa base, noi, come donne del Nord-Est della Siria, porteremo avanti una serie di attività dal 20 novembre al 10 dicembre con lo slogan “Poniamo fine alla violenza e all’occupazione”.
Programma della campagna:
• Conferenze pubbliche e private per le donne nei villaggi, città, distretti e campi su: violenza e quale genere di violenza, violenza politica, diritto delle donne, forme di matrimonio.
• Conferenze pubbliche per cambiare la mentalità degli uomini.
• Corsi di formazione per uomini.
• Webinar.
• Realizzazione di un seminario di dialogo generale sulla lotta alla violenza contro le donne.
• Workshop sulla lotta alla violenza contro le donne
• Piattaforme pubbliche e programmi televisivi.
• Spettacoli e mimi in luoghi pubblici.
• Opuscoli sulla giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
• Marce speciali per le donne in tutte le province.
• Marce speciali per gli uomini in tutte le province.
• Una campagna di hashtag sui social media.
Comitato della campagna delle donne del nord e dell’est della Siria per il 25 novembre 2021
A Jinwar è sbocciato un nuovo fiore: è l’ambulanza per Sifa Jin!
A Jinwar, l’ecovillaggio delle donne, è sbocciato un nuovo fiore della solidarietà, della sorellanza e dell’amore internazionalista. Seminato e curato da Rete Jin col sostegno di Cisda, innaffiato da artist* di varie parti d’Italia con il regalo della loro arte, concimato da quant* hanno effettuato le donazioni. È l’ambulanza per Sifa Jin, il centro di salute e cura, acquistata grazie alla campagna di raccolta fondi “Arte per Jinwar”, in nome di un obiettivo comune: la costruzione del confederalismo mondiale delle donne. Jin, Jiyan, Azadi!
Il video di ringraziamento da Jinwar dopo l’acquisto dell’ambulanza per Sifa Jin
In Jinwar, the women’s ecovillage, a new flower of solidarity, sisterhood and international love has blossomed. This flower has been sown and grown by Rete Jin with the support of Cisda. This flower has been watered by artists coming from different parts of Italy who have donated their works of art. This flower has been fertilized by those who have made donations. This flower is the ambulance for Sifa Jin, the healthcare centre, bought thanks to the fundraising campaign “Art for Jinwar”, in the name of a common goal: the creation of the world women’s confederation. Jin, Jiyan, Azadi!
Il 4 settembre abbiamo appreso dal Rojava Information Centerche Zeynab Serekaniye, 27 anni, combattente delle YPJ, è caduta martire l’1 settembre a Tel Tamir in seguito a un attacco turco. Qualche mese fa era stata intervistata per un reportage pubblicato su The Guardian, che abbiamo deciso di tradurre in sua memoria.
Le file delle milizie femminili in Siria si sono nuovamente ingrossate negli ultimi anni con molte donne che hanno risposto alla chiamata alle armi nonostante i rischi.
Zeynab Serekaniye, una donna curda con un ampio sorriso e un’aria mite, non aveva mai immaginato di unirsi alla milizia.
La ventiseienne è cresciuta a Ras al-Ayn, una città nel nord-est della Siria. L’unica figlia femmina in una famiglia di cinque figli, le piaceva fare la lotta e indossare vestiti da maschio. Ma quando i suoi fratelli hanno iniziato a frequentare la scuola e lei no, Serekaniye non ha messo in discussione la decisione. Sapeva che questa era la realtà per le ragazze nella regione. Ras al-Ayn, nome arabo che significa “sorgente”, era un luogo verdeggiante e placido, perciò Serekaniye si è adeguata a passare la vita coltivando vegetali con sua madre.
Questo è cambiato il 9 ottobre 2019, giorni dopo l’annuncio del precedente presidente degli USA Donald Trump di ritirare le truppe USA dal nord-est della Siria, dove da anni si erano alleate con le forze a guida curda. Una Turchia nuovamente in forze, che vede i curdi senza Stato come una minaccia esistenziale, e contro cui i suoi gruppi affiliati sono stati in guerra per decenni, ha immediatamente lanciato un’offensiva sulle città del confine amministrate dalla forze curde in Siria del nord-est, inclusa Ras al-Ayn.
Poco dopo le 16 quel giorno, Serekaniye racconta, le bombe hanno iniziato a cadere, seguite dal sordo tira e molla dei colpi di mortaio. In serata, Serekaniye e la sua famiglia sono scappati verso il deserto, da dove hanno guardato la loro città andare in fumo. “Non ci siamo portati niente” ha detto. “Avevamo un’auto piccola, perciò come avremmo potuto portare le nostre cose e lasciare le persone?” Mentre fuggivano, ha visto dei cadaveri per strada. Ha presto scoperto che tra di essi c’erano uno zio e un cugino. La loro casa si è trasformata in macerie.
Dopo che la famiglia di Serekaniye è stata costretta a trasferirsi più a sud, ha sorpreso sua madre verso la fine del 2020 dicendo che voleva unirsi alle Unità di Protezione delle Donne (YPJ). La milizia femminile a guida curda è stata fondata nel 2013 poco dopo la sua controparte maschile, le Unità di Protezione del Popolo (YPG), con l’intento di difendere il territorio da numerosi gruppi, tra cui lo Stato Islamico (ISIS).
La madre di Serekaniye si oppose alla sua decisione, perché due dei suoi fratelli stavano già rischiando la vita nelle YPG.
Ma Serekaniye fu inamovibile. “Siamo stati spinti fuori dalla nostra terra, perciò ora dobbiamo andare e difenderla” dice. “Prima, non la pensavo così. Ma ora ho uno scopo – e un obiettivo.”
Serekaniye è una delle circa 1000 donne in tutta la Siria che si sono unite alla milizia nel corso di questi ultimi due anni. Molte si sono unite per rabbia, a causa delle incursioni della Turchia, ma hanno deciso di restare.
“Nelle discussioni [crescendo], era sempre ‘se succede qualcosa, un uomo la risolverà, non una donna’”, dice Serekaniye. “Ora le donne possono combattere e proteggere la società. Questo mi piace.”
Combattenti YPJ a una parata militare il 27 marzo 2019, per celebrare l’eliminazione dell’ultimo bastione dello Stato Islamico in Siria orientale.
Secondo le YPG, un’impennata nel reclutamento è anche stata dovuta all’aumento negli scorsi anni dei respingimenti e della consapevolezza dell’iniquità e della violenza di genere radicata. Nel 2019 la curda Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est ha approvato una serie di leggi per proteggere le donne, mettendo al bando la poligamia, i matrimoni con minori, i matrimoni forzati e i cosiddetti delitti “d’onore”, anche se molte di queste pratiche continuano. Circa un terzo degli ufficiali Asayish, i “servizi di sicurezza” curdi, nella regione sono attualmente donne ed è richiesto il 40% di presenza femminile nel governo autonomo. Un villaggio di sole donne, dove le residenti possono vivere libere dalla violenza, è stato costruito, poi evacuato a causa dei bombardamenti nelle vicinanze, e nuovamente ristabilito.
Eppure le prove della violenza diffusa che le donne continuano ad affrontare sono abbondanti alla Mala Jin locale, o “casa delle donne”, che fornisce un rifugio e anche una forma di mediazione locale per le donne che ne hanno necessità in tutta la Siria. Dal 2014, sono state aperte 69 di queste case, con il personale che aiuta qualsiasi donna o uomo che arrivi con problemi che sta affrontando, incluse questioni di violenza domestica, molestie sessuali e stupro e i cosiddetti crimini “d’onore”, spesso collaborando con le corti di giustizia locali e le unità femminili dei “servizi di sicurezza” Asayish per risolvere i casi.
In un giorno soleggiato di maggio, arrivano al centro Mala Jin nella città nord-orientale di Qamishli in rapida successione tre donne scosse. La prima donna, che indossa una pesante abaya verde, racconta al personale che suo marito non è praticamente tornato a casa da quando lei ha partorito. La seconda donna arriva con il marito al seguito, chiedendo il divorzio; la sua lunga coda di capelli e le sue mani tremano mentre descrive come lui una volta l’abbia picchiata finché le ha provocato un aborto.
La terza donna si trascina pallida e con il vestito slacciato, con cenci avvolti intorno alle mani. La sua pelle è scorticata e nera a causa di bruciature che coprono parte del suo viso e del corpo. La donna descrive al personale come suo marito l’abbia picchiata per anni, minacciandola di uccidere un membro della sua famiglia se l’avesse lasciato. Dopo che un giorno le aveva versato addosso della paraffina, dice, lei è fuggita da casa; lui poi ha assunto degli uomini per uccidere suo fratello. Dopo l’uccisione del fratello, lei si è data fuoco. “Mi ero stancata”, ha detto.
Il personale della Mala Jin, tutte donne, fanno versi di disapprovazione mentre parla. Scrivono con attenzione i dettagli del suo racconto, le dicono che hanno bisogno di fare fotografie e le spiegano di voler mandare i documenti alla corte di giustizia per assicurare l’arresto del marito. La donna annuisce, poi si stende su un divano esausta.
Behia Murad, la direttrice della Mala Jin di Qamishli, una donna più anziana con occhi gentili che indossa un hijab rosa, dice che i centri della Mala Jin hanno gestito migliaia di casi da quando hanno iniziato e, nonostante sia uomini che donne arrivino con rimostranze, “la donna è sempre la vittima”.
Un numero crescente di donne visita i centri della Mala Jin. Il personale dice che questo non è indice di maggiore violenza contro le donne nella regione, ma che più donne stanno pretendendo uguaglianza e giustizia.
Una donna siriana legge il Corano vicino alla tomba della figlia, già combattente nelle Unità di Protezione delle Donne, nella città di Qamishli.
Le YPJ sono assai consapevoli di questo cambiamento e del suo potenziale come strumento di reclutamento. “Il nostro obiettivo non è soltanto quello di farle imbracciare un’arma, ma di essere consapevole”, dice Newroz Ahmed, comandante generale delle YPJ.
Per Serekaniye non è stato soltanto il dover combattere, ma anche lo stile di vita che le YPJ sembravano offrire. Invece di lavorare nei campi o sposarsi e avere figli, le donne che si uniscono alle YPJ parlano di diritti delle donne mentre si allenano a usare un lanciarazzi. Sono scoraggiate, anche se non hanno il divieto, dall’usare i telefoni o uscire con uomini e viene loro insegnato che la sorellanza [hevalti] con altre donne è ora il centro della loro vita quotidiana.
La comandante Ahmed, dalla voce dolce ma con uno sguardo penetrante, stima che la dimensione attuale della milizia femminile sia di circa 5000. Si tratta della stessa dimensione che le YPJ avevano al picco della battaglia contro l’ISIS nel 2014 (anche se i media hanno precedentemente riportato un numero gonfiato). Se la continua forza delle YPJ è di una qualche indicazione, dice, l’esperimento guidato dai curdi sta ancora fiorendo.
Il numero rimane alto nonostante il fatto che le YPJ abbiano perso centinaia, se non più, di membri nella battaglia e non accettino più donne sposate (la pressione di combattere e mantenere una famiglia è troppo intensa, dice Ahmed). Le YPJ dichiarano inoltre di non accettare più donne sotto i 18 anni, dopo l’intensa pressione dell’ONU e di gruppi per i diritti umani affinché mettessero fine all’utilizzo di bambine-soldato; anche se molte delle donne che ho incontrato si sono unite da minorenni, ma ormai anni fa.
Guidando attraverso la Siria del nord-est, non ci si meraviglia che così tante donne continuino a unirsi, data l’ubiquità delle immagini di sorridenti donne shahid [termine arabo, in curdo şehid, ndt] o martiri. Donne combattenti cadute vengono ricordate su cartelloni colorati o con statue che svettano orgogliosamente dalle rotonde. Enormi cimiteri sono pieni di shahid, piante rigogliose e rose che crescono dalle loro tombe.
Lo scontro con la Turchia è una ragione per mantenere le YPJ, dice Ahmed, che parla dalla base militare di al-Hasakah, il governatorato del nord-est in cui le truppe USA sono tornate dopo che Joe Biden è stato eletto. Afferma che l’uguaglianza di genere è l’altra. “Continuiamo e vedere molte infrazioni [della legge] e violazioni contro le donne nella regione” dice. “Stiamo ancora combattendo la battaglia contro la mentalità ed è persino più dura di quella militare.”
Tel Tamr, la base delle YPJ in cui Serekaniye è collocata, è una città storicamente cristiana e in qualche modo sonnolenta. I beduini pascolano le pecore nei campi, i bambini camminano a braccetto tra le vie del villaggio e il lento accumularsi di tempeste di polvere è un evento regolare nel pomeriggio. Eppure, gli interessi curdi, USA e russi sono tutti presenti qui. Sosin Birhat, la comandante di Serekaniye, dice che prima del 2019 la base YPJ di Tel Tamr era piccola; ora, con sempre più donne che si uniscono, la descrive come un intero reggimento.
La base è un edificio di cemento beige a un piano, una volta occupato dal regime siriano. Le donne coltivano fiori e verdure nel terreno accidentato sul retro. Non hanno campo per i telefoni o energia elettrica per usare il ventilatore, anche nel caldo afoso, perciò passano il tempo nei loro giorni liberi, lontane dal fronte, facendo battaglie con l’acqua, fumando e bevendo caffè zuccherato e tè.
Vita quotidiana di Zeynab Serekaniye a Tel Tamr.
Eppure la battaglia è sempre nelle loro menti. Viyan Rojava, una combattente più esperta di Serekaniye, parla di riprendersi Afrin. Nel marzo 2018, la Turchia, con l’Esercito Siriano Libero ribelle che spalleggia, ha lanciato l’operazione “Ramoscello d’ulivo” (Olive Branch) per prendersi il distretto nord-orientale, amato per i suoi campi di ulivi.
Dall’occupazione turca di Afrin, decine di migliaia di persone sono state sfollate – la famiglia di Rojava tra loro – e più di 135 donne rimangono disperse, secondo i report dei media e dei gruppi per i diritti umani. “Se queste persone vengono qui, faranno lo stesso a noi” dice Rojava, mentre altre combattenti annuiscono in assenso. “Non lo accetteremo, perciò imbracceremo le armi e ci opporremo.”
Serekaniye ascolta con attenzione mentre Rojava parla. Nei cinque mesi da quando si è unita alle YPJ, Serekaniye si è trasformata. Durante la formazione militare a gennaio si è rotta una gamba cercando di scalare un muro; ora riesce facilmente a maneggiare il suo fucile.
Mentre Rojava parla, il walkie-talkie accanto a lei gracchia. Le donne alla base vengono chiamate al fronte, non lontano da Ras al-Ayn. Non c’è molto combattimento attivo in questi giorni, ma mantengono le loro posizioni in caso di un attacco a sorpresa. Serekaniye indossa il suo giubbotto, prende il suo kalashnikov e una cintura di proiettili. Poi entra in un SUV diretto a nord e si allontana velocemente.
L’Iniziativa per combattere contro l’occupazione e il femminicidio per la pace e la sicurezza ha pubblicato un appello per le organizzazioni internazionali sull’Afghanistan e il ritorno dei Talebani.
È stato pubblicato un appello dall’Iniziativa per combattere contro l’occupazione e il femminicidio per la pace e la sicurezza sul ritorno dei Talebani al potere.
L’appello dice: “I Talebani hanno dichiarato la legge della Shari’a dopo aver occupato molte città e paesi, tra cui Kabul. Ci sono state notizie che i Talebani, che hanno dichiarato che rispetteranno i diritti delle donne soltanto nella cornice del regime della Shari’a, abbiano già iniziato a mettere in pratica una serie di decisioni che ignorano i diritti di base delle donne e lasciano le donne senza spazio vitale.
Come il pubblico mondiale ricorderà, l’Afghanistan fu sottoposto al dominio dei Talebani tra il 1996 e il 2001. E subito dopo la dichiarazione della legge della Shari’a, le donne e le bambine furono escluse dalla partecipazione scolastica, dalla partecipazione in politica e dai discorsi pubblici. Le donne che andavano contro queste regole venivano lapidate, venivano loro tagliate le dita oppure venivano condannate a morte. Con la rimozione dei Talebani dal potere e con la resistenza e la lotta delle donne afghane, le bambine ottennero il diritto all’educazione, fu abolito l’obbligo del burqa, si fecero molte conquiste quali la legge per combattere la violenza contro le donne e l’abolizione del divieto di lavoro e queste conquiste continuarono fino a che i Talebani ottennero nuovamente il potere.”
L’appello continua: “Essendo ovvio che le donne hanno affrontato un grande massacro nel corso di tutta la storia, soprattutto nel Medio Oriente, siamo sconcertati nel vedere alcune organizzazioni internazionalmente attive che hanno uffici in Afghanistan che si incontrano e parlano con rappresentanti talebani. In Afghanistan, accettare di fare affari con l’amministrazione talebana porta con sé il pericolo di legittimare le attuali violazioni dei diritti. Infatti, il regime talebano è un altro nome per l’ineguaglianza, la violazione dei diritti e la morte delle donne.
Contrariamente alle parole recentemente pronunciate dal presidente della Turchia Erdogan, come “Iniziativa per combattere contro l’occupazione e il femminicidio per la pace e la sicurezza” e come donne noi abbiamo molti conflitti e problemi con la fede dei Talebani e non c’è modo di poter raggiungere un accordo con un’organizzazione misogina come i talebani! L’entusiasmo della Turchia nel lavorare insieme ai talebani in Afghanistan è preoccupante e dà da pensare, dato che il mondo intero sa del supporto attivo che il governo dell’AKP ha fornito alle bande come l’ISIS e che molto recentemente un decreto presidenziale “di mezzanotte” in Turchia ha messo fine alla partecipazione alla Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e alla violenza domestica)!”
L’Iniziativa per combattere contro l’occupazione e il femminicidio per la pace e la sicurezza ha fatto appello a tutte le organizzazioni internazionali:
“Agire con urgenza per disarmare i Talebani il prima possibile; imporre sanzioni su tutte le potenze e gli Stati che hanno aiutato o avuto un ruolo nell’armare i Talebani; prendere urgentemente qualsiasi misura contro questo regime fondamentalista; fare attenzione al diritto alla vita di tutti i gruppi anti-talebani, specialmente le donne e i bambini in Afghanistan.”
L’Iniziativa inoltre lanciava un appello “a chiunque, per opporsi al riconoscimento del governo talebano e supportare la resistenza e la lotta delle donne afghane contro il fascismo reazionario maschilista.”
In quanto donne del Kurdistan, chiediamo a tutte le donne, specialmente le donne del Medio Oriente, di schierarsi in solidarietà con le nostre sorelle in Afghanistan, di amplificare le loro voci e di difendere le loro vite, conquiste e sogni.
Il Comitato per le relazioni e le alleanze democratiche del KJK (Comunità delle Donne del Kurdistan) ha rilasciato un comunicato lunedì esprimendo solidarietà alle donne e ai popoli in Afghanistan. Il comunicato è il seguente:
“In Afghanistan, che per decenni è stato il teatro di guerre “proxy” [per procura, si intende tra attori che agiscono per conto d’altri, ndt], il potere è stato lasciato in mano ai misogini Talebani come risultato di sporche politiche delle potenze globali egemoni. Questa situazione, che ha causato grande rabbia e frustrazione tra le donne e i popoli in Afghanistan e in tutto il mondo, ha rivelato ancora una volta la seguente verità: non c’è altro potere su cui possiamo contare oltre all’auto-potere, all’autorganizzazione e all’autodifesa. Ciò che è accaduto in Afghanistan ieri ha messo in mostra molto chiaramente l’ipocrisia degli Stati occidentali. Le potenze NATO hanno chiaramente dimostrato che, per loro, valori come la democrazia, la libertà e i diritti delle donne erano meramente strumenti per trovare una scusa per le loro sporche politiche. Quelli che hanno cercato di legittimare la loro occupazione con “i diritti delle donne” vent’anni fa ora lasciano le vite di milioni di donne alla mercé dei Talebani.
Quelli che hanno lasciato in mano oggi l’Afghanistan ai Talebani e quelli che hanno lasciato occupare Afrin, Serêkaniyê, Girê Spî alla Repubblica Turca ieri sono le stesse potenze. Quelli che hanno dato via libera all’invasione turca del Rojava e della Siria del Nord-Est ieri, ripetono lo stesso scenario oggi in Afghanistan. Dalla prospettiva dei popoli, e specialmente delle donne, non c’è molta differenza tra quelli che sono al potere, come risultato di affari sporchi.
Dicendo “non abbiamo niente contro le credenze dei Talebani”, Erdogan, il capo del regime fascista turco, ha ammesso che condividono la stessa mentalità. Infatti, il piano degli USA di lasciare il controllo dell’aeroporto di Kabul in mano alla Repubblica Turca deve essere concepito all’interno di questa cornice. Lasciare il controllo dell’aeroporto in mano a Erdogan deve essere visto come un ulteriore passo per rafforzare la Turchia, che gestisce la sua politica attraverso l’organizzazione tra bande. Questo è un’enorme minaccia e pericolo per i popoli e specialmente per le donne.
Proprio come ad Afrin, dove sono state fondate le YPJ, che ispirano le donne da tutto il mondo, e dove oggi le donne sono sottomesse e uccise come risultato di politiche delle potenze egemoni globali, adesso anche le donne in Afghanistan si trovano di fronte alla stessa minaccia. Questo è prefigurato dall’aumento della violenza contro le donne nei mesi passati e dalle uccisioni di donne pioniere.
In quanto popolo e donne curde, sappiamo molto bene che l’unico modo per difendere la nostra esistenza e la nostra volontà contro le politiche imperialiste e coloniali delle potenze globali egemoni è attraverso l’organizzazione. Senza l’auto-potere, l’autorganizzazione e l’autodifesa, non sarà possibile costruire e mantenere una vita libera. Sia come popolo che come movimento, abbiamo avuto esperienza e ancora ne abbiamo in modo molto pesante di questa realtà. Il complotto internazionale contro il nostro leader Abdullah Ocalan il 15 febbraio del 1999 è l’esempio più concreto di ciò. Dalle occupazioni dell’ISIS in Rojava e in Bashûr (Kurdistan del Sud/iracheno), specialmente a Shengal e Kobanê, fino alle occupazioni turche qui, le politiche coloniali e genocide che affrontiamo sono basate sull’equilibrio di interessi del capitalismo globale.
Allo stesso modo, lasciare il controllo dell’Afghanistan in mano ai Talebani, nemici delle donne e dei popoli, è avvenuto in un contesto di interessi geostrategici perseguito dagli Stati occidentali, specialmente gli USA, nel Medio Oriente e in Asia centrale. Ancora una volta, vediamo che per le potenze in questione, i desideri, la volontà, i sogni, le speranze e gli sforzi dei popoli che vivono in queste terre non hanno nessuna importanza. Perché non soltanto oggettificano queste terre, che vedono soltanto dalla prospettiva del colonizzatore, ma anche tutte le persone che vivono in queste terre. Non c’è nulla che i perpetratori di queste politiche vecchie di vent’anni non farebbero per soddisfare i loro propri interessi. Questo è il motivo per cui cercare dei limiti, o qualsiasi umanità o genuinità nelle politiche degli Stati occidentali, non è neanche ingenuità, ma ignoranza. Quelli che dicevano di combattere i talebani per i propri interessi e che hanno sacrificato le vite di 200mila persone, oggi fanno affari sporchi con quelle stesse potenze come se niente fosse.
Durante gli anni di occupazione e di regime talebano, quelle che hanno combattuto e resistito di più per la democrazia reale, la libertà e una vita dignitosa sono state le donne. Nel periodo più difficile, nelle circostanze più difficili, le donne dell’Afghanistan hanno trovato modi per organizzarsi. Con la potenza e il supporto che diamo e la solidarietà e la difesa che dimostriamo come donne, abbiamo piena fiducia che esse rivolgeranno la loro resistenza non soltanto contro i talebani, ma contro tutte le potenze e le mentalità misogine. Dal Kurdistan all’Afghanistan, una vita libera e una democrazia reale saranno costruite sotto la guida di donne organizzate. In quanto donne del Kurdistan, oggi siamo con le donne e i popoli afghani proprio come lo eravamo ieri. Chiediamo a tutte le donne, specialmente le donne del Medio Oriente, di schierarsi in solidarietà con le nostre sorelle in Afghanistan, di amplificare le loro voci e di difendere le loro vite, conquiste e sogni. Rinforziamo le nostre alleanze tra donne contro queste potenze patriarcali e misogine!
L’internazionalista italiana Jessica Todaro ha descritto il supporto dato dal governo del Kurdistan meridionale alle politiche della Turchia come “pericoloso” e ha detto che la divisione tra i curdi aiuterà soltanto i nemici della pace.
da Sulaymaniyah/Silêmanî (Kurdistan iracheno), 21 giugno 2021
Jessica Todaro, un’attivista internazionalista andata nella regione del Kurdistan meridionale con la Delegazione internazionale per la pace in Kurdistan per provare a fermare l’occupazione turca e i conflitti tra i curdi, ha rilasciato ad ANF un’intervista per dire le sue impressioni.
Ponendo l’attenzione sulla divisione tra i curdi, Jessica Todaro ha dichiarato che le politiche portate avanti dai turchi per dividere i curdi nella regione sono state a tutti gli effetti efficaci e i curdi non hanno mostrato unità.
Todaro ha detto che l’obiettivo della Delegazione internazionale per la pace è promuovere il dialogo tra i partiti, le organizzazioni e la società civile curdi e ha aggiunto che la divisione aiuta soltanto i nemici della pace.
Todaro ha sottolineato che la violenza contro le donne e il massacro contro la natura hanno le stesse radici perché derivano da un sistema a dominazione maschile e ha aggiunto che una società libera senza un approccio ecologico e senza la liberazione delle donne non è possibile.
Todaro ha dichiarato che il KDP sta operando contro la Delegazione internazionale per la pace e ha aggiunto che questo non è accettabile. Ha detto che il silenzio del KDP riguardo all’invasione turca è estremamente pericoloso. Jessica Todaro, evidenziando che supportare l’invasione turca provocherebbe un disastro, ha aggiunto che è inaccettabile che il KDP agisca contro il suo stesso popolo per i suoi profitti politici ed economici.
Sottolineando che la società civile è una forza in grado di fermare l’invasione e creare una nazione democratica, Jessica Todaro ha posto l’attenzione al supporto dato dalla NATO e dalle potenze internazionali all’invasione turca.
Jessica Todaro ha chiesto che si ponga fine alla vendita di armi alla Turchia e al silenzio sugli attacchi di invasione e ha aggiunto che la lotta curda è la lotta di tutta l’umanità contro l’oppressione.
“Pensiamo che il KRG abbia voluto sabotare il nostro programma per far sì che, grazie alla copertura mediatica, il nostro messaggio non arrivasse alla comunità internazionale.”
Membri della delegazione per la pace e la libertà in Kurdistan
La regione autonoma del Kurdistan, nel nord dell’Iraq, immersa nella storia delle prime civiltà, con una ricca biodiversità e una grande cultura, è traumatizzata da decenni di genocidi, sfollamenti forzati e conflitti interni.
Quando abbiamo letto sui social media la notizia che la regione era stata bombardata e invasa dall’esercito turco, il secondo esercito più grande della NATO, con diversi civili uccisi e più di 1500 sfollati, centinaia di ettari di foresta incendiati e decimati, e 22 villaggi evacuati, siamo rimasti ancora una volta delusi dalla mancanza di copertura mediatica, conseguenze politiche o risposte da parte della società civile dei paesi della comunità internazionale. Così, quando è arrivato l’appello alla solidarietà, ci siamo uniti alla Delegazione Internazionale per la Pace e la Libertà in Kurdistan, per testimoniare e rompere il silenzio sulla violenta espansione della Turchia.
Siamo arrivati all’aeroporto di Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan in Iraq, che si trova circa 100 km a sud del confine turco.
Mentre eravamo in coda all’ufficio immigrazione, poco prima di noi, un folto gruppo proveniente dall’Europa, anch’esso in arrivo per unirsi alla nostra delegazione, è stato trattenuto, i loro passaporti confiscati dalle autorità curde senza alcuna spiegazione; tra loro c’era la giornalista olandese Frederike Geerdink (https://twitter.com/fgeerdink/status/1403712332350562304).
Dopo essere arrivati al nostro hotel, abbiamo saputo che chi faceva parte di questo gruppo era stato deportato nei rispettivi paesi d’origine o arrestato, senza alcuna base legale; alla fine della giornata, 40 persone provenienti da tutta Europa erano state deportate o arrestate, e ad altre decine era stato impedito di imbarcarsi sui voli che partivano dai loro paesi, compreso un gruppo di 27 persone provenienti dalla Germania e dalla Svizzera; a Düsseldorf, tra loro, era presente la deputata di Amburgo Cansu Özdemir (https://twitter.com/CansuOezdemir/status/1403676248182767616). La ragione che la polizia federale tedesca ha addotto è stata che, attraverso delegazioni internazionali come la nostra, i giovani si erano precedentemente uniti al PKK nella lotta armata contro l’esercito turco.
Nonostante questa repressione, circa 70 dei 150 membri previsti della nostra delegazione, tra cui politici, accademici, attivisti dei diritti umani, sindacalisti, giornalisti, femministe ed ecologisti, in rappresentanza di più di 14 paesi, sono riusciti a riunirsi e a iniziare il loro lavoro per la pace e la libertà. Il nostro obiettivo era quello di avviare e promuovere il dialogo con e tra i membri dei diversi partiti del parlamento del Kurdistan e visitare le organizzazioni non governative della società civile.
In spregio al diritto internazionale, lo stato turco occupa il nord dell’Iraq dal giugno 2020, ma a partire dal 23 aprile 2021 ha iniziato nuove operazioni militari ad ampio raggio, definite OperazioneClaw-Lightning e Operazione Claw-Thunderbolt, nel Kurdistan del sud, nelle regioni di Matina, Zap e Avashin.
L’esercito turco sta attaccando non solo le popolazioni della regione, ma la terra stessa, bombardando i versanti delle montagne, appiccando incendi e disboscando vaste aree di foresta per trasportare tonnellate di legname in Turchia. Questo costituisce un crimine di guerra, è l’ecocidio in una regione che mette diverse specie in pericolo e contribuisce al peggioramento della crisi ecologica che causa la perdita di biodiversità e l’estinzione di massa.
L’attuale invasione del Kurdistan fa parte dell’espansionismo neo-ottomano della Turchia nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale (entrando in tutti i conflitti della regione – in Algeria, Armenia, Libia, Siria, Tunisia –, spesso inviando milizie che causano ulteriore destabilizzazione, e intensificando le tensioni con Cipro e la Grecia).
Non è una coincidenza che questa attuale invasione sia iniziata il 24 aprile, nel 106° anniversario dell’inizio del genocidio armeno; l’aggressione in corso può essere interpretata solo come un’aperta minaccia di genocidio. Questa azione militare è solo l’ultima della decennale politica di oppressione nei confronti dei curdi da parte della Turchia, che ha portato alle invasioni del Rojava (Siria del nord-est), a Efrîn nel marzo 2018 e Girê Spî e Serêkaniyê nel settembre 2019.
I giochi geopolitici della NATO rendono complici gli stati che ne fanno parte, attraverso la loro tacita approvazione di questi crimini di guerra. Questa connivenza deriva dall’interesse della NATO a mantenere un potente alleato in Medio Oriente, e questo spiega il silenzio dell’Europa e degli Stati Uniti sui crimini della Turchia. Questo ha portato al bizzarro paradosso per cui la NATO sostiene la Turchia che, per perseguire i suoi obiettivi imperialisti, usa uomini del cosiddetto Stato Islamico e di altri gruppi islamisti – per esempio facendo arrivare a Qandîl mercenari che passano da Erbil, nella sua ossessiva spinta a spodestare i guerriglieri del PKK dalla regione del Kurdistan – che la stessa NATO dice di voler sconfiggere.
Questo è indicativo della situazione politica nel Kurdistan meridionale; questi mercenari non sarebbero potuti passare per Erbil senza l’acquiescenza del KRG.
Così, abbiamo una situazione in cui il KRG permette ai mercenari islamici di accedere alle sue montagne per combattere il PKK, ma arresta e deporta i membri della delegazione internazionale che chiedono pace e libertà per il Kurdistan. Queste tensioni mettono a rischio la sicurezza di tutto il Kurdistan, creando fratture tra i curdi di fronte a quello che dovrebbe essere un nemico comune; le attuali azioni del KRG stanno dando conferma alle affermazioni dell’ex presidente iracheno Saddam Hussein, che asseriva che le organizzazioni curde erano troppo irrimediabilmente divise e asservite alle potenze straniere per ottenere un successo a lungo termine.
Il 14 giugno la delegazione aveva in programma di andare alla sede delle Nazioni Unite a Erbil per leggere la sua dichiarazione (Iniziativa Internazionale per la Difesa del Kurdistan https://defend-kurdistan.com/declaration/) che finora è stata firmata da 251 persone in molte nazioni di sei continenti.
Ma quella mattina ci siamo svegliati con le forze di sicurezza del KRG che sorvegliavano il nostro hotel e impedivano alla delegazione di uscire. Con i giornalisti locali e le troupe televisive che aspettavano la nostra dichiarazione, le forze di sicurezza e la polizia ci hanno detto che non avevamo il diritto di parlare perché non abbiamo passaporti iracheni e che non eravamo autorizzati a protestare. Nonostante questo, abbiamo deciso di tenere lo stesso la nostra conferenza stampa nell’ingresso dell’hotel. Dopo diversi discorsi e interviste, ci siamo mossi per andare a piedi alla sede dell’ONU, ma siamo stati di nuovo fermati dalle forze di sicurezza (a quel punto concentrate sul marciapiedi dell’hotel) fuori dalla porta d’ingresso dell’albergo. In risposta, ci siamo seduti, in un atto di disobbedienza civile, per protestare contro il trattamento che stavamo subendo da parte del KRG. Ci hanno allora costretti a rientrare nell’hotel, noi abbiamo continuato la nostra protesta ballando, ma anche questa azione è stata fermata.
Pensiamo che il KRG abbia voluto sabotare il nostro programma per far sì che, grazie alla copertura mediatica, il nostro messaggio non arrivasse alla comunità internazionale. Il fatto che ci abbiano proibito di protestare contro il tentato genocidio del loro stesso popolo mostra il paradosso delle politiche del KRG – che, per dirlo in poche parole, deriva dalla sua dipendenza economica dalla Turchia.
Questa dipendenza mina la narrativa della regione curda indipendente, il cui mito fondante è quello della resistenza contro l’oppressione degli stati nazionali circostanti. Per mantenere la sua narrativa, il KRG ora deve mascherare questo paradosso dietro un linguaggio ambiguo – come sperimentato da uno dei nostri amici al quale, nel momento in cui è stato deportato dall’aeroporto di Erbil, le guardie di frontiera hanno detto che la sua partecipazione alla nostra delegazione per la pace e la libertà era uguale al terrorismo.
Questo argomento politico riguardo all’impegno contro il “terrorismo” è ripreso direttamente dalla retorica del governo turco; se il KRG continua ad adottare un simile linguaggio, questo comporterà implicazioni preoccupanti per il futuro della democrazia nella regione del Kurdistan.
Chiediamo quindi a tutti i partiti, istituzioni e persone curde di unirsi e prendere posizione contro l’occupazione turca. Gli attacchi ecocidi e genocidi dello stato turco continuano, ed è solo rimanendo solidali, al di là delle frontiere e delle linee di partito, che questi attacchi possono essere fermati.
Le immagini sono state scattate per Medya News dalle persone appartenenti Delegazione per la Pace e la Libertà in Kurdistan.
Siamo una delegazione di persone provenienti da tutta Europa, siamo in Kurdistan con un solo obiettivo: pace e libertà.
Siamo una delegazione di persone provenienti da tutta Europa, siamo in Kurdistan con un solo obiettivo: pace e libertà. Politici, accademici, attivisti per i diritti umani, sindacalisti, giornalisti, femministe ed ecologisti di oltre dieci paesi volevano farsi direttamente un’idea della situazione e attivarsi per porre fine alla guerra e alla distruzione. 150 persone che vogliono avviare un dialogo con i parlamentari di tutti i partiti e visitare le organizzazioni non governative per contribuire al dialogo tra i diversi attori politici curdi.
L’invasione dell’esercito turco che viola le leggi internazionali è assolutamente inaccettabile. Tuttavia, assistiamo tristemente al fatto che la comunità internazionale degli stati ignora questa situazione e non insiste sul rispetto delle leggi internazionali e dei diritti umani.
Il Governo Regionale Curdo ha impedito alla delegazione di incontrare la maggior parte degli attori politici del Kurdistan meridionale. Le organizzazioni che volevamo visitare sono state intimidite affinché rinunciassero ad incontri già programmati. Una gran parte della delegazione non ha potuto arrivare in Kurdistan. Finora 25 persone sono state deportate o stanno per esserlo. Almeno 27 persone sono state trattenute all’aeroporto di Düsseldorf, in Germania, e ne è stata vietata la partenza.
Siamo indignati per le deportazioni illegali dei nostri amici internazionali effettuate dal Governo Regionale Curdo e per il divieto a raggiungere l’area con la motivazione che queste persone “sembrano essere politiche”, senza una chiara base legale. La libertà dei media e l’impegno della società civile sono componenti essenziali di ogni democrazia vitale e non c’è alcun motivo per questa repressione.
Per sostenere la pace non abbiamo risparmiato alcun dolore e siamo stati accolti nel Kurdistan meridionale. Ci è stata data l’opportunità di visitare luoghi culturali, religiosi e storici e siamo stati invitati a un dialogo con Baba Șeix, il più alto rappresentante religioso della comunità yazida. Nel campo profughi yazida di Șarya, che ha subito un grande incendio circa una settimana fa, abbiamo parlato con persone colpite duramente dalla guerra, dallo sfollamento e dalla distruzione. L’amicizia e l’ospitalità dimostrati dalle persone che vivono qui ci scaldano il cuore, e ci motivano ancora di più a non rinunciare al nostro obiettivo. Siamo qui in solidarietà con il popolo curdo e con tutti i gruppi etnici e religiosi del Kurdistan.
Siamo internazionalisti e non rappresentiamo nessun partito curdo o movimento politico specifico. Siamo contro la colonizzazione del Kurdistan da parte degli stati esterni. Non siamo qui per opporci a nessun partito curdo. Al contrario, vogliamo sostenere un dialogo tra tutti i diversi punti di vista. Non si tratta di un problema curdo, ma di un’aggressione da parte dello stato turco e dell’esercito turco contro la popolazione locale e la natura delle regioni curde. Creare un problema tra i curdi e finanche un conflitto armato è una grande trappola e un pericolo per la pace e il futuro di tutto il Medio Oriente. È nostro impellente desiderio mettere in guardia tutti i curdi su questo e chiedere di avviare e continuare il dialogo. È necessario trovare una soluzione politica ed è fondamentale restare uniti contro le minacce esterne. Per queste ragioni chiediamo che:
1. tutti coloro che volevano unirsi alla delegazione e sono stati respinti, arrestati o deportati in uno degli aeroporti devono essere liberati e avere il permesso di unirsi al resto della delegazione;
2. tutti gli attori politici curdi tornino a dialogare tra loro;
3. tutte le organizzazioni umanitarie internazionali e le istituzioni politiche sostengano una soluzione pacifica;
4. l’esercito dello stato turco si ritiri immediatamente da tutta la regione.
I curdi hanno le montagne, ma oggi hanno anche degli amici. Tutti gli amici dei curdi sono chiamati sollevarsi, a diffondere questo messaggio e a contribuire al processo di pace facendo la propria parte.
Delegazione internazionale per la pace e la libertà in Kurdistan
Erbil, 12.06.2021
[nell’immagine: bombardamento turco sul campo profughi di Makhmur, nel Kurdistan iracheno]
Il Primo Maggio seguiamo le orme di molte lotte anticoloniali, antirazziste, anticapitaliste e anti-patriarcali che sono anche le impronte di molte donne rivoluzionarie che hanno alzato le loro voci contro l’oppressione e lo sfruttamento e per una società liberata. Oggi alziamo la nostra voce in tutto il mondo.
In questo giorno, uniamoci nella nostra diversità e presentiamoci come una forza sulle strade di tutto il mondo, perché il Primo Maggio è un giorno di lotta per tutti gli oppressi ed è un simbolo delle lotte sociali. In tutto il mondo, non solo da oggi, è molto chiaro che noi donne siamo ovunque, che stiamo resistendo e che stiamo riprendendo la nostra libertà. Con le nostre lotte comuni supereremo il capitalismo e la politica femminicida degli stati nazionali.
Per noi donne questo giorno ha un significato importante, perché la nostra oppressione diventa particolarmente evidente quando si guarda alla situazione economica. Il leader Abdullah Öcalan analizza la schiavitù delle donne come l’origine delle relazioni di sfruttamento e della proprietà privata. Quest’analisi ci mostra una via nella lotta contro l’oppressione.
Il capitalismo sfrutta l’intera società, e in particolare le donne, e cerca di minare lo spirito collettivo e la solidarietà all’interno della società attraverso la sua mentalità patriarcale. Ma sappiamo anche che la resistenza della classe operaia è storica e la lotta per la giustizia non è persa. Questo è il giorno in cui il sistema patriarcale e capitalista trema, soprattutto perché si sta sgretolando e non potrà resistere per sempre.
La diffusione della lotta femminista è l’unica risposta alla situazione attuale. Perché una società può essere libera solo se lo sono anche le donne. Questo è il motivo per cui ci stiamo organizzando e stiamo sviluppando insieme idee su come costruire alternative nelle nostre società e porre fine a quella violenza patriarcale. Le nostre lotte si basano sulla costruzione di una prospettiva democratica, ecologica, che rispetti le donne, e che comprenda il riconoscimento e la salvaguardia della diversità dei popoli.
Le donne in particolare sono esposte all’oppressione in modi diversi in tutto il mondo e dobbiamo pensare alla sofferenza di tutte come la nostra stessa sofferenza. Non c’è luogo in cui vogliamo accettare la prosperità basata sullo sfruttamento delle nostre sorelle e sulla deprivazione dei loro habitat. Combattiamo per una vita senza patriarcato, classi e occupazione, per una vita libera e comunitaria. Per noi, la liberazione delle donne e di tutti gli oppressi nel mondo significa la fine del patriarcato e del capitalismo.
Dimostriamo che le nostre lotte non conoscono confini, che la nostra speranza di libertà non può essere distrutta e che se noi smettiamo di lavorare il mondo si ferma. Facciamo germogliare in tutto il mondo i nostri semi di resistenza come i fiori più belli.
Uniamoci come lavoratrici, come femministe, come oppresse e resistenti: la rivoluzione delle donne libererà l’umanità!
Inviamo saluti a tutte le lavoratrici e lavoratorə del mondo e auguriamo un rivoluzionario Primo Maggio!
Il Rojava è un’utopia vivente, una visione di come il mondo potrebbe apparire dopo il capitalismo e di come possiamo arrivarci. Il Rojava è una prospettiva in un tempo pieno di attacchi. Se parli di Rojava, allora devi parlare anche di Abdullah Öcalan.
Ci sono giorni in cui non riusciamo più a vedere il cielo con così tanti nemici intorno a noi. L’apocalisse sembra più probabile della fine del capitalismo e siamo circondati da attacchi patriarcali – dentro e fuori di noi. A volte non riesco più a credere che possiamo fare la rivoluzione – rivoluzione, cosa significa poi? Una vita diversa? Tutto questo sembra così distante, così astratto – davvero come un’utopia distante. E in tutta questa depressione della sinistra, il Rojava è come un enorme baluardo di speranza. Il Rojava, che è una rivoluzione del XXI secolo. Questa è una rivoluzione che combina così tante lotte, così tante idee – una società che si auto-organizza, una società senza Stato, una società basata sulla liberazione di genere e l’ecologia. Una rivoluzione antifascista contro il colonialismo, contro l’imperialismo. Il Rojava è la prova che un’altra vita è possibile – il Rojava è un’utopia vivente, una visione di come il mondo potrebbe apparire dopo il capitalismo e di come possiamo arrivarci. Il Rojava è una prospettiva in un tempo pieno di attacchi.
Se parli di Rojava, allora devi parlare anche di Abdullah Öcalan. Spesso, durante le manifestazioni si vede ammirazione sui volti quando si tratta di Rojava e si sentono urlare slogan comuni come “Jin Jiyan Azadi” [Donna, Vita, Libertà]; ma poi si sventolano immagini di Öcalan o si tiene un discorso per la sua libertà e si vedono apparire dubbi sui volti. Li senti dire: il Rojava è grandioso, ma Öcalan? Meglio di no.
C’è questa enorme discrepanza – e mi chiedo: perchè? E penso – è pericoloso!
Chiunque ignori Öcalan si sta perdendo il meglio della filosofia e della pratica rivoluzionaria che il XXI secolo ha da offrire. Senza Öcalan e il PKK, la rivoluzione in Rojava non sarebbe mai stata possibile. È sulla sua filosofia e anche sulla sua lotta politica che si basa la rivoluzione in Rojava.
La rivoluzione non avviene in un giorno e la filosofia di Öcalan e la rivoluzione in Rojava sono il risultato di un processo di lotta e organizzazione lungo decenni. Le radici della rivoluzione in Rojava affondano molto in profondità, almeno negli anni Settanta – il secondo ciclo rivoluzionario del XX secolo, con tutte le lotte femministe, anticoloniali e antifasciste. È stato durante questo periodo che è iniziata la lotta filosofica e politica di Öcalan. Nel 1978, Öcalan ha fondato il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il PKK – in risposta alla brutale oppressione e al genocidio culturale dei curdi – l’obiettivo a quel tempo era uno Stato indipendente. Il PKK ha iniziato come un movimento di liberazione nazionale marxista-leninista, come è avvenuto anche in molti altri posti. Ci sono stati molti movimenti rivoluzionari nel XX secolo, molti hanno fatto la rivoluzione, molti sono diventati partiti al potere in nuovi Stati-nazione e ancora di più sono stati sconfitti, specialmente negli anni Novanta. Comunque, il PKK ha preso un sentiero diverso, non è stato schiacciato, ma ha spianato la strada per le rivoluzioni del XXI secolo, per la rivoluzione del Rojava. È importante dare un’occhiata agli anni Novanta per comprenderlo al meglio.
Gli anni Novanta praticamente sono stati il periodo di una grande contro-rivoluzione – la fine dell’URSS, la cosiddetta “fine della storia”, l’intensificarsi della morsa neoliberista e l’ascesa del fascismo in tutto il mondo. Quasi tutti i movimenti di libertà sono caduti in una profonda crisi in questo periodo – il mondo è cambiato rapidamente, ma sono venute meno un’analisi e una prospettiva comuni della sinistra. La fiducia nella rivoluzione si è persa e molti movimenti rivoluzionari hanno rinunciato alla lotta, venendo a patti con gli Stati o riducendosi a piccole sottoculture controllabili. La crisi degli anni Novanta è stata soprattutto una crisi filosofica – le idee e le analisi della sinistra del XX secolo raggiunsero i loro limiti e molti movimenti fallirono anche a causa dei loro stessi errori.
In questa grande crisi intellettuale della sinistra, Öcalan intensifica i suoi sforzi per sviluppare nuove teorie e pratiche rivoluzionarie. Analizza la storia – la storia dei movimenti di resistenza, le resistenze anarchiche, femministe e anti-coloniali, e la storia della dominazione indietro fino alle sue prime radici – le fondamenta del patriarcato 5000 anni fa. Ripensa le analisi del marxismo e sviluppa una nuova visione della storia, della rivoluzione, della società, della dominazione – cercando risposte sul perché i movimenti rivoluzionari degli scorsi secoli abbiano fallito e cosa si può imparare da loro. E si chiede cosa possa davvero significare il nostro obiettivo – una vita libera.
Öcalan sviluppa il confederalismo democratico come un nuovo concetto rivoluzionario e il PKK usa il periodo della crisi degli anni Novanta e fa la rivoluzione, una rivoluzione filosofica – una rivoluzione interna. Cambia il suo paradigma e rinuncia all’aspirazione di avere il suo proprio Stato – perché gli Stati sono parte del problema e una vita libera non può mai essere raggiunta in uno Stato. Su queste basi, anche la liberazione di genere diventa il cuore della lotta – perché il patriarcato è la prima di tutte le forme di dominazione e senza la liberazione delle donne, la società non potrà mai diventare libera. E come oggi in Rojava il movimento delle donne è al centro ed è la forza trainante della rivoluzione, così è anche nel PKK – dalla sua guerriglia delle donne, YJA Star, al partito gemello del PKK, cioè il Partito delle Donne Autonome (PAJK). Anche la questione delle relazioni diventa centrale per la lotta – relazioni che abbiamo all’interno di noi stessi e gli uni con gli altri – perché la dominazione lavora istituendo alcuni tipi di relazioni. Se non possiamo eliminare il patriarcato nelle nostre relazioni, non possiamo costruire una vita libera! La vita libera insieme [Hev Jiyan Azad] e il compagnerismo [Hevalti] sono la chiave per essere noi stessi [Xwebûn], la chiave per relazioni libere che non siano più dominate da 5000 anni di oppressione.
La filosofia di Öcalan è teoria, ma la filosofia di Öcalan è anche pratica. In Rojava la sua filosofia è diventata una rivoluzione – un’utopia vissuta.
Öcalan è pericoloso
Öcalan e il PKK hanno fatto la rivoluzione. Una rivoluzione che dà speranza a milioni di persone e che è pericolosa. Se le idee del confederalismo democratico continuano a diffondersi, se le persone iniziano a credere davvero nella rivoluzione, in una vita di nuovo diversa, se c’è una reale alternativa concreta al capitalismo, allora abbiamo l’opportunità di cambiare davvero le condizioni, di compiere una rivoluzione. Una vera rivoluzione, che non avverrà in un qualche futuro distante, ma che può essere il nostro presente.
Niente è più pericoloso che credere nel cambiamento! Gli Stati-nazione al potere sono tutti troppo consapevoli di ciò e hanno fatto molto da allora per fermare Öcalan e il PKK. Öcalan è stato rapito dall’ambasciata greca in Kenya nel 1999 da un’operazione dei servizi segreti di diversi Stati e da allora – da 22 anni – è stato da solo in reclusione sull’isola-prigione di Imrali. Per anni senza nessun contatto con il mondo esterno. Öcalan è, a parte tutto il resto, un prigioniero politico che è stato torturato per 22 anni. Gli Stati hanno paura di Öcalan – e quanto grande è la loro paura si può vedere nelle misure grottesche di repressione contro di lui e il movimento di liberazione curdo. Un esempio – il divieto delle immagini. In Germania, ci sono soltanto due persone le cui fotografie sono pubblicamente vietate. Öcalan e Hitler.
Pretendere la libertà di Öcalan significa tenersi stretti alla vita libera
Il fatto che Öcalan sia così sconosciuto nel movimento della sinistra in Europa oggi ha molte ragioni, tra di esse ci sono sicuramente l’orientalismo e il razzismo. Se un filosofo o attivista europeo avesse raggiunto anche solo la metà delle cose o ispirato anche solo la metà delle persone rispetto a Öcalan, probabilmente sarebbe decantato come un semi-dio. Ma la distanza della sinistra da Öcalan è anche dovuta a una politica di isolamento e repressione molto riuscita. Dobbiamo fare breccia in questo isolamento. Ci sono centinaia di ragioni per sostenere la libertà di Öcalan. Sia perché è un prigioniero politico. Sia perché è un combattente per la libertà anti-coloniale. Sia perché la sua filosofia e la sua lotta hanno iniziato una nuova rivoluzione. La filosofia di Öcalan mostra nuove vie per una rivoluzione nel XXI secolo – e osiamo dire che il Rojava è solo l’inizio. L’idea del confederalismo democratico influenzerà e porterà a molte rivoluzioni in tutto il mondo nei decenni a venire.
Il Rojava è un baluardo di speranza. E lo stesso è Öcalan. Per il popolo curdo, ma anche per tutto il resto di noi che esigiamo una vita differente, una vita libera. Difendere il Rojava non significa soltanto difendere un pezzo di terra, significa difendere la filosofia dietro di esso e portarla in tutto il mondo, facendola diventare l’incubo del capitalismo. Difendere il Rojava significa fare la rivoluzione in tutto il mondo e cercare la vita libera. E difendere il Rojava significa anche lottare per la libertà di Öcalan – per la fine del suo isolamento.
Il Movimento delle donne libere (TJA) condanna fortemente la decisione di Erdogan di ritirare la firma alla Convenzione di Istanbul, che tutela le donne contro la violenza.
Il Movimento delle donne libere (TJA) condanna fortemente la decisione di Erdogan di ritirare la firma alla Convenzione di Istanbul, che tutela le donne contro la violenza, ed è al fianco di tutte le donne che hanno riempito le piazze e di tutti gli insorti che hanno festeggiato il Newroz.
“ALLA STAMPA E ALL’OPINIONE PUBBLICA
ERAVAMO, SIAMO E SAREMO
Ricordiamo che il potere maschile ha alimentato la propria esistenza sfruttando la violenza sulle donne e la distruzione dei diritti di tutti gli oppressi, ma c’è qualcosa che dimentica e non tiene in conto: che la storia delle donne e dei popoli oppressi, che resistono con la forza, con l’intelligenza e con le lotte, insegna che essi non permetteranno mai alla schiavitù di rimanere, come la mentalità dominante vorrebbe ancora oggi.
Le donne e gli uomini oppressi non hanno accettato l’alienazione, la resa e la cultura dello stupro e continueranno a resistere per tutta la loro esistenza, difendendosi da questa mentalità e sventolando la bandiera della libertà.
Le donne non hanno lasciato le piazze e le strade, dove risuona il loro slogan “EM XWE DIPAREZIN” (“Ci difendiamo”).
Sono le donne che affollano le strade e le piazze con il motto “La Convenzione di Istanbul ci tiene in vita”, contro l’annullamento illecito della Convenzione, preparata con grande impegno e diligenza, e sono le stesse donne e i prigionieri ribelli che espongono i loro corpi fino alla morte per rompere l’isolamento assoluto e garantire la propria libertà.
Queste donne ribelli salutano tutte le altre donne che hanno gridato “BIJÎ 8Ê ADARÊ” (“Viva l’8 marzo”) con grande entusiasmo e determinazione nelle piazze del mondo, con lo slogan “Difendiamo la vita dall’isolamento contro il massacro delle donne” l’8 marzo.
Commemoriamo con grande gratitudine coloro che furono un ponte di fuoco [si fa riferimento a chi si diede fuoco a Newroz, ndt], le Sema [nome di una martire per la libertà, ndt], che lottarono con grande sacrificio nella nostra storia per la libertà. Per difendere la propria esistenza, le donne di tutto il Kurdistan sollevano la bandiera della libertà e, in particolare, il fuoco del Newroz, che ricorda a tutte noi che siamo presenti come donne e giovani che salutano tutto il popolo della Turchia.
L’anno appena trascorso, tra l’8 marzo 2020 e l’8 marzo 2021, è stato segnato da un aumento degli attacchi femminicidi da parte del sistema patriarcale e dalla resistenza delle donne a questi attacchi.
Pubblichiamo il comunicato del REPAK, Ufficio Relazioni delle Donne Curde.
L’anno appena trascorso, tra l’8 marzo 2020 e l’8 marzo 2021, è stato segnato da un aumento degli attacchi femminicidi da parte del sistema patriarcale e dalla resistenza delle donne a questi attacchi. Un anno trascorso quasi interamente all’ombra della pandemia da Covid-19, in cui la violenza maschile è stata definita “pandemia ombra” perché in questo periodo la mentalità patriarcale e il suo sistema hanno approfittato della situazione per colpire ancora più duramente le donne. Il sistema patriarcale ha usato il Covid-19 per inasprire la sua guerra nei confronti delle donne. In questo contesto, il governo fascista in Turchia ha liberato prigionieri che avevano commesso femminicidi per “motivi di salute”. Sia la Turchia sia il governo populista polacco hanno cercato di approfittare di questa opportunità per annunciare il ritiro dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.
Le strutture misogine e patriarcali, le politiche capitaliste, i regimi fascisti e autoritari, il militarismo, l’occupazione e le guerre continuano a calpestare i diritti delle donne e delle ragazze e a mettere a rischio le loro vite. La povertà, che continua ad aumentare, la disuguaglianza economica, il cambiamento climatico e la pandemia di Covid-19 in corso rendono tutto più difficoltoso. Discriminazione e violenza basate sul sessismo si vedono nella retorica e nelle azioni di molti governi e gruppi con diverse opinioni politiche, credenze religiose e culture. Nell’anno appena passato siamo state testimoni di diversi esempi concreti.
Ma abbiamo anche potuto vedere come la resistenza delle donne nel mondo sia aumentata come qualità e come quantità. Anche se il sistema patriarcale ha cercato di usare la pandemia fin dall’inizio per spezzare il desiderio delle donne di avere una vita libera, in questa crisi la lotta delle donne si è intensificata. Nonostante i pesanti attacchi, le donne sono riuscite a fare dei passi avanti nella loro ricerca di libertà e nel bisogno di costruire i loro spazi di autonomia. Le numerose dichiarazioni delle donne e le discussioni online ne sono un’importante dimostrazione. Siamo consapevoli che le discussioni online non possono sostituirsi all’organizzazione diretta. Ma le donne di tutto il mondo hanno fatto grandi passi avanti nella discussione riguardo a problemi sociali, politici e di sistema che riguardano sia le donne sia l’intera società, identificando le principali sfide, i modi e i metodi di lotta. Inoltre, hanno anche continuato la loro lotta sul campo, in modo attivo. E, nonostante gli ostacoli posti dalle forze di destra o reazionarie, la maggior parte delle forze sociali che hanno lottato nelle strade sono state le donne organizzate. Quindi, da una parte dobbiamo osservare gli attacchi genocidi/femminicidi del sistema maschilista, e dall’altra la resistenza delle donne.
La pandemia di Covid-19 è coincisa con un aumento molto grave della violenza nei confronti delle donne. Questo fenomeno si è intensificato durante il lockdown imposto in molti paesi la scorsa primavera, con molte donne che si sono trovate ad affrontare più violenza da parte dei loro partner. I numeri di questo fenomeno si trovano nelle statistiche ufficiali. Oggi la violenza contro le donne sta diventando il problema più serio. Questo sembra essere ciò che si è verificato nell’ultimo anno. In risposta, le donne hanno organizzato grandi manifestazioni in tutto il mondo per celebrare, nonostante le restrizioni, il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Soprattutto nei paesi dell’America Latina, il 25 novembre è stato un giorno di ribellione contro il patriarcato. Nei paesi dove il femminicidio è particolarmente diffuso, le azioni e le manifestazioni per il 25 novembre sono state più forti e radicali. In paesi come Bolivia, Brasile, Messico, Francia, Spagna e Kurdistan abbiamo assistito a bellissime azioni da parte delle donne. In Francia le donne hanno gridato “Rivoluzione femminista”. In Bolivia hanno portato cartelli con lo slogan “Rivoluzione delle donne contro la violenza maschile”. Un altro slogan molto bello è stato “Io esisto, quindi resisto”. Su uno dei principali striscioni in Spagna era scritto “Lotta delle donne contro il terrore maschile”. In questo caso è stato posto l’accento sull’importanza di organizzarsi.
In generale, possiamo affermare che durante le azioni del 25 novembre 2020 è emersa chiaramente una richiesta di giustizia e di porre fine al femminicidio. Le donne hanno attirato l’attenzione sull’aumento della violenza sessuale, le vittime di femminicidio sono state commemorate e i loro nomi sono stati scritti su cartelli. Sempre più giovani donne si stanno unendo alla lotta contro il patriarcato. Mentre la lotta per la liberazione è intergenerazionale, lo stesso movimento delle donne sta coinvolgendo sempre più giovani e si sta ampliando. Questo segna un’importante opportunità per il movimento delle donne.
Uno degli obiettivi più forti della lotta per la liberazione e l’uguaglianza delle donne in tutto il mondo è stata la richiesta di legalizzazione dell’aborto. Anche se questa lotta si è sviluppata intorno al diritto all’aborto, ha essenzialmente riguardato i diritti delle donne e la libertà di prendere decisioni sul proprio corpo. In Argentina, dove da questa lotta si è sviluppato un enorme movimento, le donne hanno ottenuto una grande vittoria. In Polonia, dove il diritto all’aborto è già seriamente limitato, il governo ha abolito la legge che consente l’aborto nei casi in cui ci sono gravi problemi di salute per il feto. In risposta, le donne polacche hanno organizzato la più grande azione di protesta mai vista nel paese dalla caduta dell’Unione Sovietica. Ispirate dallo sciopero delle donne islandesi del 1975, le donne polacche sono insorte contro il regime di destra, scioperando.
In Brasile, dove è al potere il fascista misogino Bolsonaro, la lotta delle donne per la legalizzazione dell’aborto è stata resa più difficile. Chi rimane incinta per uno stupro è costretta a denunciare il fatto alla polizia, fornendo tutti i dettagli. L’attuale ministro della salute Eduardo Pazuello è un ex generale dell’esercito, nominato da Bolsonaro. Lo scorso agosto gli ospedali dello stato di Espirito Santo si sono rifiutati di far abortire una bambina di 10 anni rimasta incinta dopo essere stata violentata da suo zio. La piccola ha così dovuto fare 900 miglia per poter abortire, ma un attivista antiabortista ha pubblicato online il suo nome e quello dell’ospedale, dove è stata accolta da una dimostrazione contro di lei da parte di un gruppo antiabortista.
L’Egitto è il paese del Medio Oriente con il più alto tasso di violenza sessuale. Secondo alcuni studi, quasi il 99% delle donne egiziane ha subito violenza sessuale in almeno un’occasione. L’anno scorso è iniziato il processo a uno studente di 21 anni che frequenta un’università privata, accusato di violenza sessuale e stupro in più di 100 casi. Dopo che il caso è stato reso pubblico, centinaia di vittime di stupri e abusi hanno iniziato a denunciare i colpevoli e per sostenere le vittime sono stati utilizzati gli hashtag #WeStandWithYou o #egyptianwomenrevolt. Sotto la pressione sociale, è stata promulgata una legge per difendere le donne dalla violenza sessuale, ma in realtà risulta essere a favore delle sole classi sociali alte. Le vittime di violenza sessuale sono accusate di macchiare l’onore della famiglia.
In Bangladesh, come in molti altri paesi asiatici, gli episodi di stupro sono in aumento. Mentre nel 2018 il numero di casi di stupro registrati ufficialmente era di 732, nel 2019 questo numero è quasi raddoppiato, salendo a 1.413. La maggior parte di questi casi non viene denunciata alla polizia. Nell’ultimo anno si sono tenute grandissime proteste contro lo stupro e la violenza sessuale. Il governo collega l’aumento della violenza sessuale e degli stupri alla pornografia, ma un gruppo di ricerca chiamato Intergenerational Feminists sottolinea che la cultura dello stupro e la violenza maschile hanno radici profonde. In ottobre il governo ha preso provvedimenti che hanno aperto la strada alla punizione degli stupratori con la pena di morte. Come risultato, 5 persone che hanno stuprato una ragazza di 15 anni sono state condannate al patibolo. Ma le attiviste e le organizzazioni delle donne non sono d’accordo con questa decisione del tribunale e non credono nella sua applicazione. Al contrario, credono che con questa decisione il governo miri a fermare ulteriori proteste e ad annientare il movimento.
Il 2020 è stato il 20° anniversario dell’UNSCR 1325 su Donne, Pace e Sicurezza. Questa risoluzione mirava ad affrontare la condizione delle donne nei luoghi di conflitto. Ma sono stati fatti pochissimi progressi. Nel mondo, le donne guidano solo il 7% degli stati. La rappresentanza delle donne nei processi decisionali è ancora molto bassa. Le donne sono escluse dalle decisioni che riguardano la pace e la sicurezza. Le donne afgane hanno dovuto sperimentare questa situazione sulla loro pelle. Gli Stati Uniti stanno negoziando un accordo di pace con i talebani senza includere il popolo afgano. Come risultato, migliaia di talebani sono stati rilasciati dalle prigioni, e questo crea un grande rischio per la vita delle donne afgane. In Colombia il “processo di pace” è usato impropriamente per assassinare i leader delle lotte sociali. La pandemia è usata per aumentare gli attacchi contro gruppi disarmati di autodifesa delle comunità. Mentre gli indigeni non sono in grado di difendersi, i soldati violentano le ragazze e le donne di queste comunità. Lo stesso sta accadendo nelle zone del Kurdistan turco, dove le forze speciali stanno usando lo stupro come arma sistematica per colpire le donne curde.
Nell’ultimo anno il movimento di liberazione delle donne curde si è trovato ad affrontare numerosi e sistematici attacchi da parte dello stato turco. A Kobane, alcune attiviste del Kongreya Star, l’organizzazione ombrello del movimento delle donne curde in Rojava, sono state assassinate da droni dello stato turco. In Turchia centinaia di attiviste e politiche sono state prima torturate e poi arrestate. A gennaio la co-presidente e la vicepresidente di un consiglio popolare nel nord-est della Siria sono state prima rapite e poi uccise dall’ISIS. Ma il movimento di liberazione delle donne curde risponde a questi crescenti attacchi lanciando campagne contro la violenza e l’occupazione ovunque le donne siano organizzate.
Quest’anno le donne hanno resistito e vinto molte battaglie contro questi attacchi patriarcali, che si manifestano in tutti i settori della vita. In Messico, dove in media vengono uccise 10 donne al giorno, l’8 marzo 2020 è stato organizzato uno sciopero generale contro la violenza, e così facendo le donne messicane hanno dato un esempio alle loro sorelle in tutto il mondo. In Cile, dove la costituzione del dittatore fascista Pinochet sarà cambiata, le donne avranno pari rappresentanza nella nuova commissione per la costituzione. Sono le donne ad aver guidato la rivolta popolare che ha portato a decidere di scrivere una nuova costituzione.
In Bielorussia, dove tutti i leader dell’opposizione sono in prigione o in esilio, le donne stanno guidando la resistenza contro il dittatore misogino Lukashenko. Dopo le elezioni fraudolente le donne hanno protestato ogni sabato. Inoltre, tre candidate donne hanno fatto fronte insieme nelle elezioni contro Lukashenko.
Due anni fa le donne sudanesi hanno guidato la ribellione contro il dittatore Omar al-Bashir. Ora si stanno organizzando e si fanno chiamare Protettrici della Rivoluzione. Le donne sudanesi lottano contro i tabù e per proteggere e aumentare le conquiste della rivoluzione. Attualmente si battono per mettere fuorilegge le mutilazioni genitali femminili. Il governo scozzese ha reso gratuiti gli assorbenti e i prodotti sanitari. Negli Stati Uniti il voto femminile è stato decisivo per il risultato delle elezioni e il numero delle donne elette al Congresso e al Senato è passato da 127 a 140. Con questi e altri successi e conquiste, accogliamo la Giornata Internazionale della Donna di quest’anno con uno spirito più combattivo. Abbiamo bisogno e vogliamo organizzarci meglio, lottare di più, aumentare la resistenza.
E per questo diciamo: Viva l’8 marzo! Viva la lotta confederale delle donne! Viva la nostra resistenza!
Jin! Jiyan! Azadî!
Campagne in corso organizzate dalle donne curde contro la violenza patriarcale e l’occupazione
Per decenni le donne curde hanno lottato in modo organizzato contro la violenza patriarcale e l’occupazione. Nel 2020, il movimento delle donne curde ha organizzato diverse campagne, alcune delle quali ancora in corso.
• Le donne curde organizzate sotto l’ombrello del TJA (Tevgera Jinên Azad – Movimento delle donne libere) nel Kurdistan del nord e in Turchia, il 15 settembre scorso hanno lanciato la campagna “Ci difendiamo”. Questa campagna mira a sfidare ogni tipo di violenza patriarcale e dello stato turco contro le donne curde. La campagna è focalizzata su quattro punti: organizzazione, lingua madre (contro la repressione della lingua curda), educazione e azione.
• Il KJK (Komalên Jinên Kurdistan – Comunità delle donne del Kurdistan), che è la principale organizzazione ombrello del movimento di liberazione delle donne curde, il 22 settembre ha lanciato la campagna “Tempo di difendere la donna libera e la società contro il femminicidio”. Il KJK ha voluto portare alla luce la politica di attacchi e annientamento nei confronti delle donne curde, e ha dichiarato che contrasterà queste politiche con una campagna organizzata.
• Il 5 ottobre alcuni gruppi di donne curde del Kurdistan meridionale (iracheno) si sono riuniti nella città di Sulaymaniyah per lanciare l’Iniziativa delle donne contro la violenza e l’occupazione. Questa iniziativa mira a garantire la vita delle donne contro la violenza patriarcale e a proteggere il suolo curdo dall’occupazione dello stato turco. Nelle sue azioni e nelle dichiarazioni l’iniziativa sottolinea che l’occupazione non è solo militare, ma che la vita delle donne è permanentemente occupata dal sistema patriarcale.
• L’8 ottobre le organizzazioni di donne del Rojava e della Siria del nord-est hanno avviato la campagna “No all’occupazione e al genocidio! Insieme, difendiamo le donne e la vita”. Kongreya Star, l’organizzazione ombrello delle donne curde del Rojava, ha lanciato la campagna insieme ad altri 30 gruppi di donne. L’11 gennaio ne è stata annunciata la seconda fase in cui le organizzazioni delle donne denunciano il femminicidio sistematico che sta avvenendo nelle città del nord della Siria, che si trovano sotto l’occupazione turca.
• Le donne curde organizzate in Europa sotto l’ombrello del TJK-E (Movimento delle donne curde in Europa) hanno lanciato la campagna di raccolta firme “100 ragioni per perseguire Erdoğan per le sue politiche femminicide”. È iniziata il 25 novembre scorso si è conclusa l’8 marzo; l’obiettivo era di raccogliere almeno 100.000 firme per chiedere che il femminicidio venga riconosciuto ufficialmente come crimine contro l’umanità e che il presidente turco Recep Erdoğan sia perseguito per i femminicidi commessi dal suo regime dentro e fuori dalla Turchia.
L’8 marzo viene celebrato in tutto il mondo da più di un secolo come giornata internazionale di lotta delle donne. In questa giornata, le donne insorgono più che mai e uniscono le loro rivendicazioni di libertà e la lotta per i loro diritti. Questa giornata annuncia al mondo intero che le donne combattono e resistono non soltanto un giorno, ma ogni giorno e in ogni momento della vita. In aggiunta alla lotta per i diritti e per la libertà delle donne, si fanno i conti anche con i diritti dellə bambinə, con questioni sociali, ambientali e altre problematiche. Perché noi comprendiamo chiaramente che l’oppressione delle donne significa anche oppressione della società ed è uno dei suoi problemi più antichi.
L’ideologia patriarcale all’interno delle nostre società è evidente e più che mai noi come donne comprendiamo la sua realtà in tutto il mondo. Noi comprendiamo chiaramente che attraverso l’asservimento e l’occupazione delle donne, si stanno consolidando quegli stessi sistemi oppressivi di dominazione, puntando a noi come donne e compiendo femminicidi. Di conseguenza, la violenza contro le donne come politica del sistema patriarcale del capitalismo ha raggiunto livelli di terrore e genocidio in anni recenti. In contrasto, comunque, vediamo anche che le donne in tutto il mondo non stanno inerti a guardare, ma la loro lotta ha raggiunto una forza rivoluzionaria.
Le donne di tutti i Paesi, le culture, le etnie e le religioni hanno deciso di ribellarsi a qualsiasi aggressione che provi a minacciare le nostre vite: come donne, noi difendiamo la nostra esistenza, i nostri territori, le nostre culture e le nostre società. Basandoci sulla solidarietà delle donne di tutto il mondo, organizziamo le nostre lotte che hanno segnato e segneranno il XXI secolo.
Il XXI secolo è il secolo della rivoluzione delle donne e noi continueremo la nostra resistenza di conseguenza. L’eliminazione sistematica di donne e società può essere fermata soltanto attraverso le rivoluzioni delle donne, che devono essere rafforzate in tutte le aree e in ogni momento della vita. Abbiamo visto con speranza che le donne in tutto il mondo stanno attivamente e collettivamente combattendo contro tutte le forme di dominazione. Dalla Bolivia al Messico, dalla Francia alla Spagna, dalla Polonia all’Argentina, dall’Egitto al Pakistan, dall’Afghanistan all’Iran e dal Baluchistan al Kurdistan, e ancora oltre, le donne stanno resistendo con voci e colori uniti.
Nel corso dello scorso anno, le donne in tutto il mondo si sono riprese le strade e hanno resistito alle istituzioni a dominazione maschile che rendono infernali le loro vite. Con un’ampia varietà di slogan, hanno portato le loro voci nel mondo con forza. Ci prenderemo carico delle urla delle nostre sorelle resistenti e le porteremo avanti. Perché l’origine della nostra oppressione in quanto donne, e quindi l’origine della nostra oppressione in quanto società, deriva dalla stessa mentalità. Siamo pronte a reagire e a mettere fine alla mentalità patriarcale e alla violenza una volta per tutte.
Comunque, come donne dalla Siria del Nord-Est e dal Rojava, abbiamo anche imparato che la lotta e la rivoluzione delle donne portano molto dolore e perdita. Lo scorso anno abbiamo perso le nostre amate compagne Zehra, Hebûn, Dayika Emine, Saada e Hind, che vivevano il loro amore e la loro devozione alla libertà delle donne e conducevano una strenua lotta contro la mentalità patriarcale, che è il motivo per cui sono state colpite dall’assassinio.
Comunque, questo può solo rafforzare la nostra volontà e convinzione a vendicare le nostre compagne che hanno dato la vita per la libertà delle donne. Sappiamo di non star combattendo da sole. L’uccisione delle nostre compagne è stato un attacco a tutte le donne che si organizzano, un tentativo di alienarci perché sanno che l’organizzazione è la nostra arma migliore. Organizzate, non soltanto resisteremo per difenderci, ma metteremo anche fine al femminicidio.
Come donne stiamo combattendo una grandiosa lotta ogni giorno e per noi l’8 marzo è una giornata di grande importanza. Qui in Rojava e in Siria del Nord-Est, il luogo della rivoluzione delle donne, celebriamo la giornata di lotta delle donne di quest’anno con lo slogan: “LA NOSTRA LOTTA GARANTIRÀ LA RIVOLUZIONE DELLE DONNE”. A tutte le donne in tutto il mondo vorremmo dire: lunga vita all’8 marzo! Lunga vita alla giornata di lotta delle donne! Mostriamo il nostro massimo rispetto a tutte le donne e alle persone che contribuiscono a questa preziosa lotta!
Un tribunale italiano ha confermato la sorveglianza speciale contro l’ex combattente YPJ “Eddi” Marcucci. Questo è un altro caso di repressione contro gli internazionalisti di ritorno dal Rojava.
Traduzione dell’articolo pubblicato il 20 febbraio 2021 su ANFDeutsch.
L’internazionalista italiana “Eddi” Marcucci è sotto sorveglianza statale dopo essersi schierata con le YPJ in Rojava. Il verdetto contro di lei stabilisce un pericoloso precedente per disciplinare una donna politicamente attiva.
Questo è stato annunciato dai gruppi Berlin Migrant Strikers e Women Defend Rojava, entrambi di Berlino, in un comunicato congiunto:
Dietro le quinte di uno scenario di un’Europa che si finge unita nella lotta al comune nemico pandemico, si nascondono e consumano abusi e scandali giudiziari che rimangono silenti e procedono indisturbati fino al loro più completo espletamento.
Lo scorso dicembre 2020, il tribunale di Torino ha confermato in appello la sentenza a due anni di sorveglianza speciale a Maria Edgarda Marcucci, detta “Eddi”, la giovane studentessa italiana che ha combattuto in Rojava contro l’Isis, arruolandosi nelle Unità di protezione delle donne curde (YPJ) e sostenendo la rivoluzione del Confederalismo Democratico. Pur essendo incensurata, la giovane attivista è stata a costretta subire un “lockdown al quadrato”: Eddi si è vista privata delle libertà fondamentali che un tribunale avrebbe invece il compito di tutelare, come la possibilità di spostarsi liberamente e partecipare ad attività, eventi e manifestazioni politiche, nonché più in generale di frequentare posti pubblici oltre le 18. Le è stato ritirato il passaporto, con conseguente divieto di espatrio e obbligo alla verbalizzazione di ogni spostamento e attività usando una “carta precettiva” da esibire su richiesta alle forze dell’ordine. La motivazione di una sentenza così severa – afferma la procura – è da attribuire alla sua presunta “pericolosità sociale”: Eddi, in quanto arruolata con le milizie a difesa del popolo curdo, avrebbe imparato l’uso di armi e inoltre, al suo rientro in Italia, non avrebbe mai smesso di militare attivamente nei movimenti femministi, antifascisti, anticapitalisti ed ecologisti, tra cui spicca la lotta No Tav, un movimento che resiste da decenni contro la devastazione ambientale causata dalla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità nelle valli a nord di Torino.
Da sottolineare come Eddi inoltre sia stata l’unica donna tra gli italiani (Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Pierluigi Caria, Davide Grasso e Fabrizio Maniero) rientrati dal Rojava negli anni 2017-2018, ma anche l’unica alla e per la quale è stata proposta, e alla fine convalidata, la sorveglianza speciale, richiesta inizialmente dalla procura di Torino anche per i compagni sopracitati. Una condanna che fa riflettere, soprattutto alla luce del fatto che Eddi, così come gli altri, non ha commesso alcun reato. La sorveglianza speciale è infatti un provvedimento assegnato senza evidenze concrete, quasi unicamente sulla base delle dichiarazioni della Digos. Il profilo tracciato è quello di una donna mentalmente instabile e aggressiva che potrebbe persino risultare violenta se confrontata da sostenitori di ideologie diverse dalle sue. Quella che infatti è già stata definita da moltissimi intellettuali ed esponenti accademici come una “sentenza ideologica” fa particolarmente inorridire se ci si sofferma a riflettere su come la stessa sorveglianza speciale sia di fatto un’eredità del codice Rocco (regio decreto dell’era fascista) nata come strategia di prevenzione e strumento di controllo del dissenso, teso a soffocare qualsiasi tentativo di attivismo sociale e politico. La sorveglianza speciale non ha infatti come unico compito la prevenzione di un potenziale reato, quanto quello più subdolo di rieducare il soggetto e di riportarlo dentro modelli sociali più accettabili. Dietro sbarre esistenti ma trasparenti, viene eseguita una strategica mossa pedagogica. Si attaccano, così, brutalmente, le relazioni, i luoghi abituali, le pratiche e le consuetudini, riuscendo a distruggere l’identità soggettiva cercando di conseguire l’addomesticamento di una personalità stigmatizzata dal giudizio di “socialmente pericolosa” per aver preso parte a proteste e atti di disobbedienza civile. Una pesante repressione politica a cui la procura di Torino non è per niente nuova, avendo negli ultimi anni condannato proprio diversi militanti del movimento No Tav a pene spropositate per il solo fatto di aver dimostrato dissenso contro un’opera ecologicamente disastrosa, ma fortemente voluta dallo Stato così come da parti del capitale nazionale ed europeo. Ugualmente quindi, anche nel caso di Eddi, la sentenza sembra arrivare a conferma degli interessi economici dello Stato italiano. Uno Stato che da un lato aderisce alla Coalizione internazionale anti-ISIS, ma che poi non si impegna direttamente nel sostegno militare alla resistenza delle forze del Confederalismo Democratico curdo, finanziando invece i Peshmerga Iracheni, più volte inerti di fronte alla barbarie di Daesh, e restando anzi, con ben 18 miliardi di euro di scambi annui, uno tra i principali partner commerciali della Turchia, il secondo nell’Unione Europea e il quinto a livello mondiale. Uno Stato che non ha espresso il minimo dolore per la morte di altri due italiani combattenti nelle YPG, Lorenzo Orsetti, noto come “Orso”, e Giovanni Francesco “Hîwa Bosco” Asperti, caduti proprio negli stessi territori e per difendere gli stessi ideali della compagna Eddi.
Alla luce di queste trame economiche e politiche è quindi vergognosa, ma allo stesso tempo non sorprende, una sentenza che in un colpo solo delegittima, criminalizzandole, la partecipazione alla resistenza curda in Siria e la militanza anti-capitalista e anti-fascista in una Paese europeo. Il tutto continuando a finanziare il continuo rifornimento di armi alla Turchia. Una sentenza così priva di reati risulta clamorosa e costituisce di fatto un punto di non ritorno, essendo stata per la prima volta applicata in Italia ai cittadini che vanno a combattere in Rojava e diventando quindi un rischioso precedente anche per chiunque creda tanto nella causa curda quanto nella libera manifestazione del proprio dissenso.
Pur essendo quello di Eddi l’unico caso di sorveglianza speciale imposto ad una combattente di rientro dalla guerra in Rojava, non è purtroppo l’unico caso in Europa; in molti Stati europei altri combattenti hanno affrontato conseguenze legali, a dimostrazione di una comunanza di intenti nella lotta al dissenso. Eddi si aggiunge quindi ad una lista che ha visto anche altri protagonisti europei vittime di altrettanti accaniti apparati giuridici che, in nome della salvaguardia collettiva, non indugiano a decretare custodie e sorveglianze a cittadini europei che hanno combattuto al fronte nord-siriano. E’ il caso della danese Joanna Palani, figlia di rifugiati politici curdi in Danimarca, che al rientro in Europa dopo la militanza in Rojava è stata tenuta in custodia dal governo danese (2015). Successivamente anche il Regno Unito si è distinto in questo scenario di paradossale di violazione dei diritti umani, arrestando al rientro in UK (2018) tre inglesi arruolati nelle YPG: Jamie Janson, Aidan James e Jim Matthews. Infine il caso tedesco di Jan-Lukas Kuhley, che nell’ottobre 2019 si è visto agenti con un mandato di perquisizione in casa sua a Karlsruhe. Accusato sulla base del §129b di aver combattuto con “milizie di natura terroristica”, Kuhley e la sua lotta hanno generato anche in Germania un acceso dibattito. Per le autorità tedesche, analogamente a quelle italiane per il caso di Eddi, l’addestramento militare in un esercito straniero e l’acquisita esperienza in combattimento sarebbero state infatti motivazioni sufficienti ad indagare Kuhley in quanto potenziale terrorista. Una definizione che il giovane tedesco, dopo diversi mesi spesi in Rojava a combattere il terrorismo vero, quello dell’ISIS, estrema manifestazione di una società dominata ancora da evidenti e persistenti dinamiche patriarcali, aveva decisamente respinto. Per Jan-Lukas Kuhley l’aver militato nelle YPG significava aver contribuito non solo alla resistenza curda contro la Turchia e lo Stato Islamico, ma anche alla realizzazione di un modello di società basata sul confronto costante tra tutte le parti sociali, coinvolte in misura sempre maggiore nei processi decisionali, su un’agricoltura eco-sostenibile e su una lotta capillare alla discriminazione di genere, in ogni sua forma.
Nonostante, dunque, questi giovani militanti abbiano avuto il coraggio di rischiare la loro vita per combattere l’ISIS, sono stat* tutt* privat* delle libertà fondamentali sulla base di una sospetta, ma mai comprovata, pericolosità. Contro questa misura Eddi Marcucci farà ora ricorso in Cassazione. Ma non solo: oltre ad aspettare l’ultimo grado di giudizio, Eddi ha sin da subito espresso la volontà di non volersi piegare al più controverso dei divieti che le sono stati imposti, quello di partecipare ad eventi pubblici e politici. Una violazione che potrebbe costarle il carcere, e che tuttavia sembra essere un atto dovuto di disobbedienza civile contro una sentenza che, in sintonia con le altre in Europa, vorrebbe mettere a tacere chi ha combattuto e ancora combatte per la causa curda.
L’uccisione di Saada al-Hermas e Hind al-Khedr fa parte di una serie di attacchi e minacce dell’ISIS nei confronti di membri e rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma e delle tribù arabe della regione.
– Femminicidi politici nei confronti di due attiviste locali
Traduciamo il dossier pubblicato il 10 febbraio 2021 in memoria di due compagne, Saada al-Hermas e Hind al-Khedr, uccise in un attacco mirato da parte dello Stato Islamico (ISIS) il 22 gennaio 2021 a Shadade, Heseke [Siria del Nord-Est].
Risponderemo con la resistenza! Organizzate, metteremo fine al femminicidio! Şehîd namirin! – I/Le martiri non muoiono!
1. Che cosa è successo?
Il 22 gennaio 2021, a Shadade, nella regione di Heseke, le due politiche e attiviste locali Saada El-Hermas, co-presidente del consiglio comunale di Til El-Shayir, e Hind al-Khedr, sua vice e responsabile del comitato economico, sono state rapite e assassinate.
Secondo i vicini e le famiglie un gruppo di uomini armati sconosciuti e mascherati ha fatto incursione nelle loro case, la sera, entrando con la forza, poi ha abusato di loro e dei loro familiari e, con le armi, ha minacciato di uccidere le donne, le loro famiglie e i vicini. Infine, fingendo di essere membri dei servizi segreti, hanno rapito le due donne e le hanno portate in un luogo sconosciuto. Solo ore dopo, i corpi di Hind e Saada, che mostravano segni di tortura, sono stati trovati dai vicini a diversi chilometri dalle loro case, nel paesaggio desertico della zona di Dashisha, sulla strada principale di Shadade.
Quasi 24 ore dopo il ritrovamento dei loro corpi, lo Stato Islamico (ISIS) ha rivendicato l’omicidio delle due donne.
L’uccisione di Saada al-Hermas e Hind al-Khedr fa parte di una serie di attacchi e minacce dell’ISIS nei confronti di membri e rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma e delle tribù arabe della regione. Già prima del loro assassinio, entrambe le donne avevano ricevuto diverse minacce da parte dell’ISIS, ma non si sono lasciate intimidire. I corpi delle due donne sono stati sepolti senza funerale, a causa delle minacce dell’ISIS nei confronti delle famiglie. Queste minacce contro le famiglie, il loro ambiente e soprattutto contro altri rappresentanti dell’Amministrazione Autonoma non sono finite.
Anche se nel 2018 le ultime città sono state liberate dall’ISIS, nella regione sono ancora presenti cellule dormienti che vanno tenute sotto controllo. Con le loro strutture nascoste, formate in Iraq e in Siria, queste reti continuano i loro attacchi contro la popolazione. Soprattutto nelle regioni a maggioranza araba, come Shadade, che si trova vicino al confine tra Iraq e Siria, e poi a Deir ez-Zor, a Raqqa e ad Hama di recente gli attacchi e le aggressioni sono aumentati significativamente. L’intento è quello di mantenere la regione instabile, intimidire la popolazione della Siria settentrionale e orientale e metterla contro i progetti democratici che si stanno gradualmente costruendo nella regione, nonostante la situazione complessa.
Le uccisioni mirate di Hind e Saada sono dirette principalmente contro le attiviste che lavorano senza sosta per la liberazione delle donne e che costituiscono una forza trainante nella costruzione di una società auto-organizzata nella Siria settentrionale e orientale.
2. Chi sono le donne assassinate?
Hind al-Khedr è nata come Eslam Latif al-Khedr nella città di Til El-Shayir, nel distretto di Al-Dashisha a Heseke. Essendo la figlia più giovane, è cresciuta a Til El-Shayir e lì si è diplomata. Dopo aver divorziato, ha vissuto con la sua famiglia ed è stata una madre single di una figlia che ora ha 4 anni.
Era molto interessata e ha lavorato duramente per partecipare alle attività dell’Amministrazione Autonoma e fare così dei passi verso una società democratica. Questo lavoro l’ha portata a ritenere che la lotta per i diritti delle donne fosse particolarmente importante e ha focalizzato la sua attenzione nei confronti del movimento delle donne del Kongra Star.
La sua vita era instabile e segnata da molte contraddizioni ma, nonostante le sfide che si è trovata davanti, non si è mai arresa. Per responsabilità verso sua figlia, la sua famiglia, ma anche verso la società, a partire dal 22 gennaio 2020 ha iniziato a lavorare per il comitato economico in cui era molto impegnata; ha partecipato attivamente a tutte le attività e ha continuato a battersi per una società democratica e comunitaria. Era convinta di questo percorso, amava ciò che stava facendo e si impegnava a fondo per difendere i diritti delle donne e rafforzare l’amicizia tra le popolazioni curde e arabe. Le persone che la conoscevano la descrivono come una persona molto vivace e socievole, con uno spirito gioioso, che dava forza a chi le stava intorno. Il suo impegno ha impresso una svolta alla lotta delle donne per la loro liberazione e ha fatto capire che organizzandosi insieme le donne potevano trovare una via d’uscita dall’oscurità. L’omicidio di Hevrin Khalaf, nel 2019, l’ha molto colpita e ha rafforzato la sua volontà di continuare la lotta delle donne contro ogni tipo di comportamento maschilista e di dare voce alle donne.
Saada Feysel El-Hermas è nata a Til El-Shayir nel 1993 e proveniva dalla tribù Giheshi. Ha frequentato la scuola fino alla nona classe e poi si è sposata. Anche lei ha divorziato e in seguito ha cresciuto da sola i suoi due figli, uno di un anno e mezzo e l’altro di sei mesi.
Saada, come Hind, dava grande importanza alla lotta per i diritti delle donne e quindi si è messa in contatto diverse volte con il Kongra Star con il desiderio di lavorare con loro. Anche lei è entrata a far parte dell’Amministrazione Autonoma il 1° gennaio 2020 venendo eletta co-presidente del consiglio comunale di Til El-Shayir. Era molto impegnata nel suo lavoro e partecipava attivamente a qualsiasi attività e azione; ci teneva a essere coinvolta e cercava sempre di collegarsi alla vita reale delle persone. Le piaceva stare con gli altri ed era amichevole; con la sua lotta riusciva a dimostrare che le donne con la loro forza e volontà possono essere riconosciute.
Hind e Saada venivano dalla stessa città e hanno iniziato a lavorare nello stesso momento. Entrambe hanno mostrato, con la loro volontà e forza, il potere delle donne nella lotta per costruire una società libera e democratica, basata sulla liberazione delle donne.
3. Attacchi mirati contro le donne
L’assassinio delle due politiche locali Saada al-Hermas e Hind al-Khedr si somma a una serie di attacchi mirati e assassinii di donne nel nord e nell’est della Siria, esplicitamente diretti contro l’organizzazione autonoma delle donne e la rivoluzione femminile nel Rojava. Si tratta di un attacco mirato alle donne civili che hanno un ruolo preciso nella politica, che sono coinvolte in organizzazioni femminili e/o democratiche e che rompono con i tradizionali ruoli stabiliti dal patriarcato.
In questo contesto, l’assassinio mirato di due donne arabe che erano organizzate in strutture locali dell’Amministrazione Autonoma mira a intimidire e scoraggiare le donne dall’organizzarsi e lottare per i loro diritti. È un attacco diretto alle conquiste delle donne, che hanno fatto passi importanti all’interno della società grazie alla loro lotta contro i ruoli patriarcali tradizionali. Con il loro attivismo giocano un ruolo importante nella rivoluzione delle donne nel nord e nell’est della Siria e nella costruzione di una coesistenza democratica tra i popoli. Nel nord e nell’est della Siria la forza unitaria delle donne, la loro lotta comune e le loro alleanze forniscono una chiara alternativa al sistema oppressivo di dominazione maschile dell’ISIS, che cerca di dividere i popoli della regione per poterli governare.
La guerra continua e gli attacchi nei confronti delle donne, dei loro corpi, delle loro vite e della loro organizzazione, e specialmente le uccisioni mirate di donne organizzate, vogliono a mettere a tacere le voci coloro che resistono e si ribellano alla violenza oppressiva e sfidano il sistema dominante, cercando di costruire società democratiche basate sulla liberazione delle donne. Queste voci dimostrano chiaramente che le donne sono le pioniere e il motore nel processo di costruzione di una società democratica e auto-organizzata.
Ricordiamo Saada al-Hermas e Hind al-Khedr come donne che hanno dedicato la loro vita e tutto il loro attivismo alla lotta per una Siria democratica e pluralista e un Medio Oriente democratico, basato sulla liberazione e la libertà di tutte le donne. Loro ci mostrano che, unite e organizzate, stiamo facendo passi decisivi verso la costruzione di una nazione democratica.
Hind e Seda non si sono mai arrese nonostante le minacce di decapitazione da parte dell’ISIS. I membri dell’ISIS hanno attaccato le loro case il 20 gennaio 2021.
Hind e Seda sono due donne uccise dall’ISIS. Il loro impegno per la liberazione delle donne è stata una ragione determinante nella lotta delle donne.
Hesekê – All’ordine del giorno delle organizzazioni delle donne in Siria del Nord-Est c’è l’uccisione di due donne innovatrici. L’uccisione di Hind El Xidîr e Seda Feysel El-Hermas innesca la rabbia popolare. Le vite difficili delle due donne che si sono dedicate alla lotta delle donne illuminano tuttə.
Eslam Latîf El-Xidîr, conosciuta come Hind El Xidîr, è nata a Til El-Şayîr, città del distretto di Al-Dashisha di Hesekê. Era originaria della tribù di Jubur. Suo padre si è sposato due volte e Hind era la figlia della seconda moglie di suo padre. La sua famiglia era composta da nove persone; due sorelle, tre fratelli, sua madre e suo padre e la prima moglie del padre. Hind El Xidîr ha completato la sua educazione primaria alla scuola Hedac di Al-Dashisha. È andata al distretto Şedadê del cantone di Hesekê per ricevere l’educazione secondaria, perché non c’era scuola secondaria al suo villaggio. Viveva con suo zio nel distretto. Dopo aver completato la sua educazione è tornata a Til El-Şayîr.
Si è sposata a 15 anni
Molte tribù arabe nella regione fanno ancora sposare le loro figlie quando sono bambine. Anche Hind è stata vittima delle usanze e delle tradizioni: quando aveva soltanto 15 anni la sua famiglia l’ha costretta a sposare un uomo iracheno. Ha vissuto a Shengal con suo marito per tre mesi. Dopo un po’, Hind voleva visitare la sua famiglia ed è tornata a Til El-Şayîr. A quel tempo era incinta. È stata arrestata mentre attraversava il confine tra Siria e Iraq. Suo marito l’ha lasciata. È tornata a stare con la sua famiglia. Ha avuto una figlia. Sua figlia ora ha quattro anni e Hind l’ha cresciuta da sola.
Non si è mai arresa nonostante gli ostacoli
Hind ha lavorato duramente per unirsi alle attività del sistema dell’Amministrazione Autonoma. Voleva lavorare sui diritti delle donne, ma la sua famiglia le impediva di lavorare adducendo come ragioni le usanze e le tradizioni. Ma lei non si è mai arresa e ha iniziato a lavorare per l’assemblea del popolo di Til El-Şayîr il 1° novembre 2020. Hind era stata colpita dalla brutale uccisione di Hevrîn Xelef nel 2019. Perciò, voleva unirsi alla lotta delle donne contro tutti i tipi di reazione dominata dagli uomini e diventare la voce delle donne.
Seda si è assunta la responsabilità di due bambine
Anche Seda Feysel El-Hermas è nata a Til El-Şayîr nel 1993. Era originaria della tribù Cihêşî e ha studiato fino al nono anno [15 anni d’età, fine della scuola dell’obbligo in Siria, ndt]. Poi si è sposata. Ha avuto due figlie. Ora sua figlia maggiore ha un anno e mezzo e sua figlia minore ha sei mesi. Suo marito l’ha lasciata dopo la nascita delle due figlie. Ha dovuto crescere da sola le due bambine.
Come Hind, anche Seda ha contattato molte volte il Kongreya Star, il movimento delle donne della Siria del Nord-Est, e ha detto che voleva lavorare con loro. E il 1° novembre 2020 è stata eletta come co-presidente del consiglio civile di Al-Dashisha. Hind e Seda venivano dalla stessa città e si sono unite ai lavori nello stesso momento.
I loro corpi non sono stati sepolti per otto giorni
Hind e Seda non si sono mai arrese nonostante le minacce di decapitazione da parte dell’ISIS. I membri dell’ISIS hanno attaccato le loro case il 20 gennaio 2021. Il loro obiettivo era uccidere Hind e Seda in modo che lasciassero i membri della loro famiglia. Hind e Seda sono state rapite e uccise dall’ISIS. Le minacce dell’ISIS sono continuate dopo l’uccisione delle due donne. I loro corpi non sono stati sepolti per otto giorni. Il 31 gennaio 2021 Hind e Seda sono state accompagnate da amichə e parenti nel loro ultimo viaggio nella loro città d’origine.
Come movimento delle donne Kongra Star, promettiamo di rafforzare la nostra resistenza e la nostra lotta fino alla liberazione di Afrin, Girê Spî e Serêkaniyê, di proteggere le conquiste della rivoluzione delle donne e difendere la sicurezza del Rojava.
Traduciamo il comunicato del Kongra Star pubblicato il 19 gennaio 2021 in occasione del terzo anniversario dall’occupazione turca di Afrin.
Sono passati tre anni dall’attacco e dall’occupazione della regione di Afrin, la cui popolazione ha mostrato una resistenza senza precedenti e ha risposto a tutte le forme di violenza, dagli attacchi con armi pesanti ai bombardamenti dell’aviazione turca. Questa resistenza, che si è estesa dai villaggi circostanti fino al centro della città, è stata caratterizzata dalla fermezza dei/lle suoi/e combattenti, si è protratta per 58 giorni ed è stata segnata dalla lotta coraggiosa di martiri come Avesta Xabûr e Barîn Kobanê.
Lo Stato turco ha potuto occupare Afrin solo dopo aver utilizzato le armi più pesanti, decine di migliaia di mercenari jihadisti inquadrati nei ranghi del cosiddetto Esercito Siriano Libero e sotto la copertura e il silenzio della comunità internazionale. Proprio nel momento in cui gli interessi internazionali convergevano, portando a diversi accordi per dividere il territorio della Siria. Tutto questo è avvenuto a spese del popolo siriano che è stato costretto a fuggire dall’occupazione dopo aver subito violenze quali saccheggi, uccisioni, crimini di guerra, distruzione di luoghi antichi, abbattimento di alberi, sostituzioni demografiche, messa al bando della propria lingua madre, imposizione della lingua turca.
È noto che, prima dell’occupazione, Afrin era una delle zone più stabili e sicure, caratterizzata da diversità culturale e convivenza, oltre che un rifugio per gli/le sfollati/e siriani/e giunti/e lì per scappare dalla lunga guerra. Va detto che il progetto sociale dell’Amministrazione Autonoma [della Siria del Nord-Est] è stata una delle soluzioni migliori alla guerra in corso in Siria per eliminare ogni forma di razzismo e fondamentalismo religioso.
Lo Stato turco ha cercato con tutti i mezzi di sconfiggere il progetto democratico nella regione perché costituisce una minaccia per i regimi autoritari e dittatoriali della zona. Con l’invasione di Afrin e le atrocità che ne sono seguite lo Stato turco ha mostrato il suo vero volto. Perché dopo che lo Stato islamico (ISIS) è stato sconfitto dai/lle combattenti delle QSD/SDF [Quwwāt Sūriyā al-Dīmuqrāṭīya/Forze Siriane Democratiche], delle YPG e delle YPJ [Yekîneyên Parastina Gel/Jin – Unità di Protezione del Popolo e delle Donne], lo Stato turco si è mostrato come il principale sponsor dell’ISIS, con l’obiettivo di distruggere la nostra rivoluzione.
Ma lo Stato turco non è soddisfatto di questa occupazione e sta continuando a sferrare i suoi attacchi per distruggere il progetto di autonomia democratica occupando le zone di Serêkaniyê/Ras al-Ayn e Girê Spî/Tell Abyad e attaccando le regioni di Shehba, Ain Issa, Zirgan e Til Temir. Tutto questo sotto gli occhi del mondo e di quelle istituzioni e organizzazioni che dicono di impegnarsi per i diritti umani, ma sono rimaste in silenzio. Sono rimaste in silenzio e non hanno fatto nulla.
Condanniamo e denunciamo queste organizzazioni internazionali e quelle per i diritti umani che con il loro silenzio sostengono l’occupazione, il genocidio etnico e culturale sistematico che si sta portando avanti nella regione e la sostituzione demografica, lo sfollamento forzato e la violenza che subisce ogni giorno la popolazione di Afrin, contro la terra e le persone, estendendo così la minaccia alle altre regioni. Pertanto, chiediamo alle organizzazioni per i diritti umani di intervenire, di adempiere al loro dovere umanitario, di rispettare i diritti umani e di lavorare per porre fine all’occupazione e permettere così alla popolazione di Afrin di tornare a casa e garantire la sua sicurezza e la sua protezione.
Come movimento delle donne Kongra Star, promettiamo di rafforzare la nostra resistenza e la nostra lotta fino alla liberazione di Afrin, Girê Spî e Serêkaniyê, di proteggere le conquiste della rivoluzione delle donne e difendere la sicurezza del Rojava, di seguire le orme dei/lle martiri, di procedere nel loro percorso e di continuare a costruire il progetto di nazione democratica e vivere in comunione con tutte le società presenti nella regione.
La nostra lotta nel corso di 16 anni è culminata in molti successi e vittorie, che hanno costruito una base per le donne e le hanno rese l’avanguardia nella rivoluzione.
Traduciamo il comunicato del Kongra Star, movimento delle donne del Rojava, pubblicato il 15 gennaio 2021, in occasione del loro sedicesimo anniversario.
In occasione del sedicesimo anniversario dalla fondazione della nostra organizzazione “Kongra Star”, noi come donne del Rojava inviamo i nostri ringraziamenti e la nostra gioia, dal cuore della rivoluzione della libertà e della pace, una rivoluzione democratica condotta dalle donne con amore, sacrificio e devozione. Noi celebriamo, piene di orgoglio e trionfo, il nostro leader Abdullah Öcalan, il compagno che ci ha spianato la strada e ci ha donato così tanto di ciò che riteniamo più caro, per raggiungere la libertà delle donne e della società. Celebriamo anche tutte le compagne della nostra lotta, le luci brillanti della nostra rivoluzione e i simboli della nostra resistenza, che sono cadute martiri per portare le donne al più alto gradino della libertà. Partendo dalle martiri Sakine Cansiz, Bêrîtan e Zîlan, Leyla Agirî, Hevrin Khalaf, madre Aqidah, Arîn Mirkan, fino a Zehra Berkel, Amara, Avesta e tutte le altre combattenti della resistenza. La vostra eredità continua a vivere. Ringraziamo anche tutte le donne del mondo che percorrono il cammino della libertà per combattere soprattutto il sistema della schiavitù.
Nello specifico rendiamo grazie alla nostra organizzazione, che è stata fondata nell’anno 2005 in condizioni difficili, in un periodo del XXI secolo pieno di ogni tipo di oppressione e tirannia. Questo secolo mostra la continuità della resistenza delle donne, che hanno lottato attraverso le pagine della storia e scritto gesta epiche contro l’ingiustizia e la tirannia.
Affermiamo anche che l’emergere della nostra organizzazione è stata una risposta organizzativa ed educativa delle donne curde, arabe e siriache, a cui sono state negate e messe ai margini la storia e l’identità per migliaia di anni. Perciò, la nostra lotta nel corso di 16 anni è culminata in molti successi e vittorie, che hanno costruito una base per le donne e le hanno rese l’avanguardia nella rivoluzione. Come la Rivoluzione del 19 luglio [2012], che ha ulteriormente aperto la strada alle donne, affinché si mettessero di nuovo alla prova attraverso l’approfondimento del pensiero e della filosofia del leader Apo, in tutti i campi: politico, sociale, culturale, organizzativo, economico e militare.
L’emergere della nostra organizzazione di donne è stata una risposta per permetterci di fronteggiare la violenza e la persecuzione che sta ancora avvenendo, imposta dalle forze occupanti, che rifiutano la libertà delle donne e aggrediscono il loro progresso – nonostante lo sforzo e la lotta che le donne mettono in pratica con l’obiettivo di democratizzare e liberare la società. Così, ogni giorno vediamo aumentare attacchi, uccisioni, rapimenti e arresti praticati contro le donne, politiche e attiviste sociali in Siria del Nord-Est, sia nelle regioni liberate che in quelle occupate. Questa violenza politica si unisce alla violenza domestica che le donne subiscono in tutte le quattro parti del Kurdistan.
Con questo fatto della violenza sistemica, cos’è stato il massacro commesso da parte del regime dittatoriale nel villaggio di Helince contro le nostre attiviste politiche, se non il voler colpire il pensiero e la libertà di tutte le donne che cercano una vita libera, con l’obiettivo di annientarci sia fisicamente che psicologicamente? Ma diciamo, con la voce della nostra rivoluzione, che nonostante queste pratiche brutali contro di noi, la nostra determinazione persisterà, per dedicarsi alla lotta e alla resistenza e così espandere le nostre azioni e attività per preservare le conquiste della nostra rivoluzione, dando potere al ruolo delle donne in un sistema di co-presidenza più forte. Quindi applicando i principi delle donne per proteggere tutte le donne: curde, arabe, siriache, assire, ecc. Promettiamo anche al nostro leader di seguire il suo pensiero e la sua filosofia finché non raggiungeremo la creazione dello spirito del popolo rivoluzionario, che è una risposta a tutti gli attacchi sistemici contro il nostro popolo in generale e le donne in particolare.
Su questa base lanciamo un appello a tutte le donne, le organizzazioni e i movimenti, affinché siano uniti e si supportino l’un l’altro, in modo da incoraggiare le donne e così unificare la nostra causa. Lanciamo anche un appello a tutte le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani, affinché compiano il loro dovere umanitario di proteggere le donne che stanno lottando per ottenere una mentalità democratica nella Siria del Nord-Est in particolare e che si stanno battendo per portare la pace in Medio Oriente e in tutto il mondo.
Lunga vita al leader APO! Lunga vita alla lotta delle donne libere! Jin Jiyan Azadi! (Donna, Vita, Libertà!)
Oggi, 9 gennaio, ricordiamo l’assassinio delle nostre compagne curde Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Şaylemez. Otto anni fa queste tre meravigliose donne e rivoluzionarie sono state uccise a Parigi dai servizi segreti turchi.
Oggi, 9 gennaio, ricordiamo l’assassinio delle nostre compagne curde Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Şaylemez. Otto anni fa queste tre meravigliose donne e rivoluzionarie sono state uccise a Parigi dai servizi segreti turchi. Traduciamo un testo di Dilar Dirik, pubblicato su The Kurdistan Tribune il 17 gennaio 2013.
“Terroristə” in un sistema terroristico
Sakine Cansiz è storia. È l’incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione curdo. È la donna che ha sputato in faccia al suo aguzzino, quando era in prigione. È la donna che non ha gridato quando le hanno tagliato il seno. “In quanto militante per una giusta causa, mi vergognavo di dire ‘ah'”, ha detto. È la donna che non ha tradito lə suə compagnə, anche sotto le torture più severe. È la donna dai capelli rosso scarlatto. Era inondata di vita, una fontana d’amore. Si allenava ogni mattina, era una vegetariana etica. È la donna che, dopo tutto quello che ha passato, passerà alla storia come una convinta sostenitrice della giusta causa del movimento curdo, una persona che non ha mai rinunciato alla libertà. È la donna la cui morte ha causato il dolore più profondo nella vita di mio padre. Non l’ho mai visto piangere così prima. Non è una terrorista. Lei è un’eroina. È la donna rispettata persino dai suoi nemici. I suoi occhi gentili e il suo bel sorriso, nonostante tutto l’orrore che ha attraversato, sono stati fonte di incoraggiamento e forza per un’intera nazione. La sua morte è una perdita per l’umanità. Com’è triste che il mondo l’abbia conosciuta solo nella morte. L’ultima volta che l’ho vista è stato come un addio. Sono orgogliosa di aver conosciuto un pezzo di storia e non dimenticherò mai le ultime parole che mi ha detto…
Fidan Dogan
Non conoscevo Fidan Dogan, perché per me era Rojbin. L’ho incontrata per la prima volta quando ero alle elementari. Io e la mia famiglia ci siamo subito innamoratə di lei! Era così energica, sorrideva sempre. La sua voce è ancora nelle mie orecchie. L’abbiamo chiamata “heval troptisha“, perché ha insegnato a me e mia sorella una filastrocca francese chiamata “Trois petits chats“, tre piccoli gatti. Non sapevamo cosa significassero le parole, ma la gioia più grande era battere le mani e ridere istericamente al suono divertente della parola “somnambule“, ogni volta che giocava con noi. Il mio cuore perdeva un battito, ogni volta che la vedevo. L’ultima volta che ci siamo incontrate è stato durante lo sciopero della fame a Strasburgo nell’aprile 2012. Era sempre così energica, incredibilmente intelligente e, naturalmente, il suo sorriso era contagioso. L’avrei abbracciata più forte, l’avrei baciata e le avrei detto che non dimenticherò mai il suo sorriso, se avessi saputo cosa le sarebbe successo in questa città che tanto amava. È stata sepolta il giorno del suo compleanno. Ma questo significa solo che la sua morte ha dato alla luce migliaia di Rojbin che la ammireranno e la manterranno in vita. Non è una terrorista. Lei brilla. Lei è la nostra Rojbin…
Leyla Şaylemez
Mi dispiace di non aver mai avuto modo di incontrare Leyla, o Axin, come la chiamavano. Aveva solo pochi anni più di me e ogni singola persona che conosco che l’aveva incontrata parla assai bene di lei. Anche lei non è una terrorista. Lei è una di noi. Mi dispiace non aver potuto condividere alcun ricordo e mi dispiace tanto che sia morta così giovane…
La mattina dopo l’omicidio, mi sono svegliata con la terribile notizia che queste tre incredibili donne curde, attiviste per il nostro popolo, rivoluzionarie, erano state assassinate. Da un giorno all’altro siamo andatə a Parigi, dove centinaia, se non migliaia di persone piangevano insieme. I genitori di Sakine e Fidan erano arrivati in aereo dalla Turchia. Non erano al centro di comunità quando sono arrivata, ma mia madre mi ha detto che la madre di Sakine piangeva: “Mia bellissima figlia, hai amato così tanto la tua gente – ecco perché sei morta…”
Sabato abbiamo camminato come curdə, turchə, armenə, tamil, baschə, palestinesə, tedeschə, francesə, socialistə, comunistə, democraticə, sindacalistə, femministə, umanistə, madri, padri, sorelle, fratelli e compagnə, come esseri umani, unitə come unə, per le strade di Parigi. Devi guadagnarti e meritarti una tale folla, e così hanno fatto, le nostre bellissime eroine! Per una volta abbiamo assediato la capitale di questo Paese che un tempo ci colonizzava. C’erano fiori, bandiere, quadri e candele in Rue Lafayette, un luogo che sarà dannato e infestato per sempre dalla promessa che abbiamo fatto alle nostre compagne. Ho avuto una crisi quando siamo andatə sul luogo del crimine. Mi ero ripromessa di restare forte, perché alle nostre compagne non sarebbe piaciuto vederci così, ma non ho potuto farci niente. Voglio ancora pensare che questo sia un incubo, voglio ancora credere che questa crudeltà non sia accaduta.
Enorme comizio funebre a Diyarbakir (Amed), gennaio 2013.
I volti malvagi dietro questo omicidio non ci hanno “semplicemente” portato via tre preziose attiviste della causa curda, l’uccisione di donne significa sempre qualcosa in più. In una guerra di genere come quella tra lo Stato turco e il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), l’assassinio pianificato di tre donne indipendenti e libere deve essere inteso in termini di violenza contro le donne. L’assassinio di donne come Sakine Cansiz, Rojbin e Leyla, che difendevano il loro popolo e le donne, non è solo una dichiarazione politica, è anche un omicidio patriarcale: femminicidio!
Di tutte le persone, loro, e in particolare Sakine Cansiz, meritavano di vedere la pace in Kurdistan. Ha dedicato la sua esistenza a una causa giusta che ha rappresentato nella sua bellezza. Ha sopportato anni di torture in prigione, ma non ha mai rinunciato alla pace e alla giustizia, e se non l’ha fatto lei, nessuno ha il diritto di arrendersi. Nessuno l’ha costretta, ha scelto liberamente di essere una combattente per la libertà. Avrebbe potuto condurre una vita normale, avrebbe potuto essere una codarda, se avesse voluto, ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto, perché è grandiosa. Mi rende molto orgogliosa di essere curda. Di solito non dico che sono una curda orgogliosa, ma lei mi ha fatto capire ancora una volta che causa, che dovere ho ereditato dai miei genitori e da tutte le persone che hanno sofferto e sono morte cosicché io potessi avere una vita autodeterminata, una vita libera. Sono orgogliosa di aver conosciuto due di queste donne immortali e straordinarie. E in ogni passo che faccio nella vita, le farò vivere per sempre…
Questo è il destino della nostra nazione. I nostri cuori si sono appena ripresi dal trauma del massacro di Roboski [dicembre 2011, ndr], quando Parigi ci ha inflitto una nuova ferita. E ogni volta, non importa quanto profondo sia il nostro dolore, noi siamo “terroristə”. Come osano chiamare terroristə queste personalità straordinarie e libere, ammirevoli sotto ogni aspetto?
Una volta, un giornale curdo in Germania è stato chiuso dalla polizia. Gli agenti di polizia hanno svuotato il locale, sequestrato persino fiori e piante. Mio padre con rabbia chiese a uno degli ufficiali: “Anche questo fiore è terrorista?!”
Viviamo in un sistema spaventoso, un sistema insanguinato e spietato che mette a morte lə nostrə compagnə più preziosə, lə nostrə combattenti più coraggiosə e, con loro, le nostre speranze. In questo sistema, giusto e sbagliato vengono costruiti artificialmente, mentre lodiamo i boia economici e le loro corrotte fortezze d’oro come modelli di comportamento e uccidiamo coloro che dedicano le loro vite alla giustizia, alla libertà e alla verità. Le personalità e le istituzioni responsabili delle più grandi guerre del mondo, sia per partecipazione attiva che per silenzio, ricevono premi per la pace. Questo mondo si congratula con gli assassini borghesi per il loro ultimo spargimento di sangue, mentre salgono sul podio che consiste nelle spalle dei poveri, mentre spaventano lə dissidenti con la prigione, la tortura e la morte. Quando nove proiettili sono volati a Parigi, culla della rivoluzione, è stato lanciato l’ultimo attacco alla nostra causa, ma il nostro dolore rafforzerà la nostra lotta. L’abbiamo promesso.
La gente vede l’ordine del Medio Oriente in pericolo e il popolo curdo, massimo perdente della struttura artificiale e inorganica del Medio Oriente, ora emerge come vincitore. Naturalmente coloro che beneficiano dello status quo si sentono minacciati. Per riassumere, la Turchia è costretta a negoziare con i curdə, i curdə sirianə sono in aumento, il Governo regionale del Kurdistan in Iraq (KRG) è di gran lunga più prospero e democratico di qualsiasi altra parte dell’Iraq, e persino i partiti curdi iraniani iniziano a unirsi. Ma le stesse forze coloniali del secolo scorso vogliono ripetere la storia. Mentre scrivo questo testo, la città di Kirkuk è sotto attacco da parte dell’esercito iracheno. Il Kurdistan occidentale è invaso dall’esercito turco. Attivistə curdə in Iran vengono giustiziatə regolarmente. L’Occidente è il miglior amico della Turchia e fornisce loro le armi e non sente alcun disagio nel guardare dall’altra parte, mentre la Turchia è la campionessa del mondo quando si tratta di giornalistə in carcere, di bambinə curdə che ricevono l’ergastolo per aver lanciato pietre, di droni americani usati per uccidere 34 innocenti abitanti dei villaggi curdi, e così via. Ci siamo già abituatə.
Viviamo in un sistema spaventoso. Alla gente piace pensare idealmente all’America e all’Europa e alle loro graziose istituzioni, ma distoglie lo sguardo quando si tratta di scambiare armi con uno degli Stati più pericolosi al mondo. Come i curdə vengono uccisə, torturatə e imprigionatə in Turchia, vengono criminalizzatə in Europa, dove gli Stati vendono armi alla Turchia e coprono le spalle dei loro compari. La polizia di diversi Paesi europei recluta spie tra i curdi. Cosa significano le patetiche Nazioni Unite, se lo stesso modello di oppressione viene ripetuto più e più volte? Mascherato in modo diverso, modernizzato e venduto con un nuovo nome? Non è romanticismo marxista, e non è una coincidenza, quando tutti i conflitti avvantaggiano sempre gli stessi poteri e opprimono le stesse persone. Sospiriamo cinicamente, quando la Francia promette di trovare gli assassini di Parigi. In un’era securitaria, queste donne erano costantemente sorvegliate dalla polizia, eppure sono state giustiziate professionalmente. Non abbiamo patetiche fantasie di cospirazione. Abbiamo smesso di credere nel sistema molto tempo fa.
Non vogliamo vendetta, vogliamo i nostri diritti umani, vogliamo che la pace arrivi. I curdə non sono malvagə “terroristə” come il mondo vuole che siano. La nostra causa è legittima, la nostra causa è giusta. Negli ultimi anni, sono stati rivelati i veri volti dietro i casuali attacchi contro civilə in Turchia, imputati al PKK, e si è scoperto che lo “Stato profondo” della Turchia era responsabile di questi incitamenti ad aumentare le tensioni tra turchə e curdə. Mio padre è stato torturato in prigione, i suoi compagni sono stati rapiti e uccisi sotto tortura. Non vede il suo villaggio da oltre 18 anni. Non ha mai tenuto una pistola tra le mani, ma lo chiamano “terrorista”. Queste non sono storie di Hollywood, queste sono vere tragedie che ogni curdə in ogni parte del Kurdistan conosce, storie individuali e uniche. Siamo la nazione che canta slogan ai nostri funerali. Siamo la nazione i cui membri, maschi, femmine, giovanə, anzianə, possono darvi un’accurata definizione della parola “fascismo”, basata sull’esperienza personale. Siamo la nazione che ha finalmente messo d’accordo diversi Stati su qualcosa: vale a dire che, qualunque cosa accada, i curdə devono perdere. Siamo Seyh Said. Halabja. Sivas. Maras. Zilan, Dersim. Roboski. Siamo innumerevoli mortə.
Sono contro la guerra, ma il PKK è l’autodifesa del popolo curdo, è una risposta naturale, il risultato di tutto il dolore che hanno sofferto. È il risultato di politiche internazionali che criminalizzano ogni passo compiuto dai curdə. È una risposta di solidarietà ai genocidi culturali e fisici, grandi menti nelle celle di tortura, parlamentari incarceratə, madri picchiate durante le proteste di pace, autori assassinatə, impavidə scioperanti della fame. La nostra esistenza è stata negata dalle forze imperialiste, che hanno versato il sangue del nostro popolo con i loro carri armati, bombe e menti torturatrici, ma che si lamentano, quando i curdə decidono che sia giusto formare un esercito di guerriglierə con cui difendersi da ulteriore trauma nazionale.
La parola “terrore” ha molto a che fare con chi è al potere e chi si oppone allo status quo che avvantaggia sempre gli stessi poteri. Il monopolio del termine “terrorismo” è una nozione inadeguata e vuota, soprattutto quando i più grandi agenti antiterrorismo hanno le mani più sporche. Con quanta rapidità le persone dimenticano le spettacolari alleanze tra gli Stati Uniti e dittatori di prim’ordine, quando fa loro comodo. Quanto velocemente le persone dimenticano tutte le persone rapite che sono morte misteriosamente, perché sono state uccise dallo Stato turco. Quanto velocemente le persone in Europa dimenticano che il motivo per cui i loro Paesi ospitano così tantə curdə richiedenti asilo è che i loro governi vendono armi alla Turchia, mentre i loro politici criticano superficialmente questo alleato che hanno tanto a cuore. Quanto è fragile la memoria della storia.
Le organizzazioni che sono viste come terroriste possono essere cancellate dalla lista del terrore con una sola firma, quando conviene alla nuova situazione politica dei grandi attori. Se sei un curdə, un crimine di pensiero ti rende terrorista in Turchia. Un ragazzə delle elementari che lancia sassi è un terrorista. Ugur Kaymaz, un ragazzo di dodici anni che è andato a fare shopping con suo padre ed è stato assassinato a sangue, era un terrorista. Terrore. Tanto terrore. Deve essere un gene curdo! Guarda queste donne terroriste a Parigi, come erano libere, sicure di sé, intellettuali, di mentalità aperta e simpatiche – così amate dalla loro gente, dovevano essere dei mostri terribili!
Se quei burattini dei media che chiamano terroriste Sakine, Rojbin e Leyla avessero incontrato queste donne meravigliose, avrebbero dubitato di come persone così forti, indipendenti e umane nonostante tutte le torture che hanno sopportato, ancora positive, ancora in lotta per la pace, potessero essere terroriste, sì, terroriste, allo stesso modo in cui viene definita “Al-Qaeda”. Così patetico. In effetti, questi bigotti si sarebbero sentiti male per la loro stessa pietosa esistenza, mentre queste donne davano davvero un significato alle loro vite e cercavano giustizia. Si sarebbero davvero sentiti male per la propria abitudine di lamentarsi delle piccole cose nelle proprie vite lussuose, mentre heval Sakine è diventata ancora più forte dopo aver affrontato cose inimmaginabilmente terribili e tuttavia credendo in una soluzione pacifica, invece di sopportare l’odio. Ma credo fermamente che un giorno queste donne riceveranno il giusto rispetto che meritano nel mondo. La nostra nazione, e le persone meravigliose e competenti che sono solidali con noi in questi tempi bui, conoscono molto bene la grandezza della nostra più recente perdita.
Sakine Cansiz
Sakine Cansiz è stata torturata, imprigionata, ha combattuto sulle montagne per una vita autodeterminata, per il mio diritto alla libertà. È incredibile che un proiettile a Parigi le abbia tolto la vita. Non è la morte che una personalità così grande merita. Nessuno merita una morte simile, ma lei avrebbe dovuto veder arrivare la pace, dopo tutti i suoi sacrifici. Ha così ottimisticamente affrontato il futuro…
Non è il momento di aver paura. I tempi dei timidə curdə sono finiti. Le persone che fino ad ora sono state sedute comodamente e codardamente a casa devono occupare le strade. Ricordo come tuttə questə turchə in Germania ammisero improvvisamente di essere curdə. Ora è il momento per tuttə di portare avanti questa identità spaventata e di rivendicare la lotta curda come la giusta causa che è. Come restare fermi di fronte a un massacro contro la nostra identità? I proiettili su Sakine, Rojbin e Leyla ci hanno colpitə tuttə! Le bombe di Roboski sono piovute su tuttə noi. Non possiamo più tollerare un’altra perdita. La nostra rabbia e il nostro dolore devono essere incanalati nell’attivismo. È il momento di rendersi conto che la lotta deve continuare, rivendichiamo la morte di queste donne come nostra responsabilità per continuare la nostra lotta, perché non sono morte invano. Sakine. Rojbin. Leyla. Vivranno per sempre. Hanno dedicato le loro vite alla nostra libertà e alla pace in Kurdistan.
Una donna regge un’immagine dei “tre bellissimi fiori” del Kurdistan.
Abbiamo speranza, nonostante tutto. Dopo la cerimonia d’addio di martedì a Parigi, in cui noi, come donne, abbiamo condotto l’iniziativa per rendere il nostro rispetto e chiedere giustizia per questa grande perdita della nostra nazione e della nostra umanità, cantando “Jin, Jîyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà), sapevamo tuttə che erano nate migliaia di Sakine, Rojbin, Leyla. Mentre i loro genitori uscivano dalla sala delle cerimonie, il padre di Sakine ha detto: “Non dimenticherete mia figlia!” Una cara amica mia e delle donne cadute, chiamiamola Zelal, mi ha abbracciata fermamente dopo aver salutato i nostri tre bellissimi fiori a Parigi. Anche lei è un’eroina. Mi ha abbracciata, si è asciugata le lacrime e ha detto: “La nostra lotta deve continuare”.
Mentre si intensifica il bombardamento da parte dell’Esercito Nazionale Siriano (NSA) supportato dalla Turchia nell’area di Ain Issa, a sud di Tel Abyad, molti civili rimasti nella zona di conflitto sono stati costretti a fuggire.
Mentre si intensifica il bombardamento da parte dell’Esercito Nazionale Siriano (NSA) supportato dalla Turchia nell’area di Ain Issa, a sud di Tel Abyad, molti civili rimasti nella zona di conflitto sono stati costretti a fuggire, circa 9600 persone. 38 persone sono state ferite a causa del bombardamento indiscriminato e almeno 8 persone sono morte. Alcuni corpi devono ancora essere recuperati da sotto le macerie.
Testo dall’Ufficio delle Organizzazioni ad Ain Issa:
“A partire dal 15/12/2020, le sofferenze delle persone ad Ain Issa e nei villaggi circostanti sono aumentate a causa dell’intensificarsi degli attacchi delle organizzazioni armate supportate dallo Stato turco, che raggiungono le dimensioni di un disastro umanitario. Specialmente ora, nella stagione invernale, molte persone abbandonano i propri villaggi e le proprie case, lasciandosi dietro tutti i propri averi, andando verso villaggi lontani dalle linee di combattimento e dal raggio d’azione di indiscriminate bombe turche, con la speranza di poter tornare poi alle proprie case, terreni e proprietà.
Un enorme numero di residenti locali è recentemente stato sfollato, specialmente da villaggi sulle linee di combattimento come Al-Jahbl, Mashraqa, Ain Issa, al-Hayy, al-Sharqi, in aggiunta ai villaggi a ovest di Ain Issa, spaventati dalle mobilitazioni dello Stato turco, che minacciano i loro villaggi con improvvise rappresaglie.
Durante il recente avanzamento, l’Ufficio degli Affari Umanitari ha monitorato gli attacchi lanciati dall’occupazione turca e dai suoi mercenari dal 15/12/2020 contro i villaggi del confine orientale della città di Ain Issa, che hanno causato ai residenti sofferenze, evacuazione e deportazione dalle loro terre. I dati erano come segue:
1- I villaggi della zona orientale sono stati danneggiati, in seguito al recente attacco lanciato dall’occupazione turca, in particolare:
A- nel villaggio di Al-Jahbel, il numero di famiglie assediate è 30, il numero di famiglie sfollate è 25, ovvero circa 120 persone; il numero di martiri è 4, due fratelli sono sotto le macerie e 8 persone sono ferite. Per fuggire scelgono le aree dell’Amministrazione Autonoma, dove sono fuggiti verso la città di Al-Hisha e hanno alloggiato in terreni agricoli, a causa della mancanza di ripari dovuti all’evacuazione precedente, nel mese di ottobre (l’inizio degli attacchi).
B- nel villaggio di Al-Mashraqa, il numero di famiglie sfollate è 34 (155 persone), gli sfollati sono andati nella città di Al-Hisha, nell’area di Al-Shibl e nel villaggio di Tawila. Consideriamo che i residenti di questo villaggio hanno subito gravi sofferenze per andarsene, a causa del bombardamento indiscriminato e massiccio dal lato turco, senza assistenza delle forze russe.
C- nei quartieri di Ain Issa – Circa 840 famiglie, ovvero circa 6500 persone, sono fuggite dalla città nel corso degli ultimi cinque giorni, verso la città di Raqqa, i villaggi a nord di Raqqa e i villaggi di Ain Issa lontani dalle linee del fronte.
2- I villaggi della zona occidentale sono stati sfollati a causa delle forze turche adiacenti ai villaggi (Debs, Hisham, Khalidiya, Atshana, Rummana, Koberlik, Korek, Qazali, Bir Arab Al-Jarin).
I dati finali dall’inizio degli attacchi a inizio ottobre fino all’ultimo attacco in data 15/12/2020 sono quanto segue:
il numero di famiglie sfollate in totale è 1600 famiglie, circa 9600 persone;
il numero di villaggi colpiti, che sono stati evacuati, 15 villaggi inclusa la città di Ain Issa;
l’evacuazione sta avendo luogo nella direzione dei villaggi confinanti con i villaggi delle persone sfollate e lontano dal raggio del bombardamento, alcune persone partono con la speranza di tornare nei loro villaggi, il resto va verso la città di Raqqa e i suoi villaggi settentrionali e orientali;
il numero di feriti è 38, il numero di martiri è 8.
Il bombardamento continua a colpire i civili sfollati e quelli che attraversano la strada M4 davanti alle forze russe, che hanno smesso di attraversare l’incrocio, senza capacità di aiutare i residenti.
20/12/2020 Ufficio delle Organizzazioni a Tel Abyad – Ain Issa“
La violenza di genere che ogni giorno si consuma sulla pelle delle donne è lo strumento attraverso cui il sistema patriarcale afferma la sua esistenza.
La violenza di genere che ogni giorno si consuma sulla pelle delle donne è lo strumento attraverso cui il sistema patriarcale afferma la sua esistenza. L’oppressione femminile e la costrizione all’interno dei ruoli a loro tradizionalmente assegnati sono tra gli obiettivi principali dell’esercizio di tale violenza, che non si limita alla sfera fisica. Per essere totalizzante, infatti, essa deve essere esercitata sotto ogni forma, anche psicologica ed economica, e influenzare ogni aspetto della vita. La violenza diviene quindi pervasiva e invasiva, a tal punto da essere interiorizzata e normalizzata anche dalle donne stesse, che talvolta non ne riconoscono i casi più o meno espliciti.
Convenzionalmente, infatti, le diverse forme di violenza sono gerarchizzate in maniera tale che ad alcune venga attribuito un maggiore livello di gravità rispetto ad altre. Questa “piramide” di prevaricazioni più o meno condannabili non fa altro che distogliere l’attenzione dalla gravità complessiva del problema e dalla sua sistemicità. Le forme di violenza vissute e reiterate nel quotidiano vengono minimizzate, mentre, in realtà, non sono altro che l’espressione più esplicita del dominio. Influenzando la mentalità e la vita nei suoi vari aspetti sociali e relazionali, infatti, le violenze ritenute “sottili” fanno introiettare e accettare la subordinazione e il ruolo di soggetto prevaricato. Come risultato, l’elaborazione di una risposta organizzata e radicale alla violenza risulta ancora più difficile. La retorica dei “casi isolati” e del “non tutti gli uomini” è pericolosa, non solo perché distoglie l’attenzione dalla sistemicità della violenza maschile, ma anche perché rafforza l’ideale di colpevolezza unicamente individuale. Questo aspetto risulta funzionale a far apparire l’allontanamento dei cosiddetti “violenti” dal loro gruppo di riferimento come iniziativa sufficiente a risolvere quella che in realtà è piaga sociale. L’episodio violento non deve essere invece considerato come sé stante, ma come concretizzazione della mentalità patriarcale in un determinato contesto sociale che da questa mentalità è, in forme diverse, evidentemente permeato. L’uomo violento non è il malato, ma il figlio sano del patriarcato.
Per questo motivo, diventa fondamentale intendere la violenza di genere come una responsabilità collettiva, tanto nelle cause, quanto nelle risposte. Se l’intera società è influenzata dal patriarcato, è l’intera collettività a doversi far carico della risoluzione del fenomeno della violenza di genere, non solo le donne. Gli uomini devono essere disposti e determinati ad affrontare un percorso di totale decostruzione della mascolinità loro insegnata e ad armarsi degli strumenti necessari per farlo studiando, ascoltando e affrontando riflessioni comunitarie. Finché la violenza rimarrà un problema solo delle donne, e saranno loro le sole a occuparsene, non sarà possibile scardinarne la matrice.
Nel frattempo, come le rose hanno le loro spine, le donne devono munirsi di strumenti di autodifesa. Contro un sistema che ci uccide, silenzia, reprime e limita, l’autodifesa è il primo passo della resistenza. Poiché ogni parte della vita delle donne è soggetta al dominio, anche l’autodifesa deve riguardarne tutti gli aspetti: fisici, sociali, personali e politici. Solo quando tutte le donne saranno libere nei corpi e nelle menti ci potrà essere una società libera e giusta. L’autodifesa è resistenza, protezione, decostruzione e creazione di uno spazio in cui piantare il seme di una vita finalmente libera. L’autodifesa è vita.
Dobbiamo capire quali sono i pericoli che in quanto donne corriamo e sapere come proteggere noi stesse e le nostre compagne. Questo significa guardare agli uomini ed anche ai “compagni”, con gli occhi ben aperti, realisticamente e senza illusioni. Dobbiamo capire quali valori ci sono stati sottratti, quali violenze abbiamo imparato ad accettare, interiorizzando la mentalità patriarcale e quali sono le conseguenze di tutto ciò. Solo imparando a riconoscere la prevaricazione maschilista e facendo nostri strumenti psicologici, fisici e politici per fronteggiarla potremo mettere le basi per la costruzione di una vita libera. Dobbiamo imparare a difenderci dagli attacchi che minano la nostra forza e la nostra unità, che ci sminuiscono, sviliscono, dividono e mettono una contro l’altra. “Dobbiamo anche difenderci dalla divisione. Storicamente, le donne unite sono forti, se divise possono essere abusate e colonizzate. Sviluppare la nostra collettività, auto-organizzazione e i modi in cui ci relazioniamo, libere dalla mentalità maschile dominante, è al centro della nostra autodifesa e della costruzione di alternative”.1
Vogliamo riconquistare i nostri valori e applicarli in una vita comune. Per riscoprirci, ricostruirci e sviluppare degli strumenti di autodifesa abbiamo bisogno di allontanarci il più possibile dalle influenze del patriarcato. Separarci e stare insieme fra donne, fra compagne, può aiutarci a creare uno spazio di comprensione reciproca e delle dinamiche di potere che su di noi vengono esercitate. Riteniamo che sia altrettanto importante ricordare che la mentalità che combattiamo è insita anche in noi e anche in noi dobbiamo combatterla e decostruirla. È anche per questo che pensiamo sia utile creare uno spazio autonomo e separato nel quale provare a sviluppare pensieri nuovi e immaginare una vita diversa e libera. La società che ha creato il problema e che su esso si fonda non potrà essere la stessa che origina l’alternativa. Crediamo che sia necessario trasformare le differenze che il sistema ci mostra come ostacoli e che sfrutta per dividerci in mezzi per arricchirci, in linfa vitale per una comunità che voglia dirsi libera. Creare comunità e legami non è un percorso facile, perché va contro l’individualismo predicato e praticato nella società in cui ci troviamo. Però, donne diverse fra loro ma unite possono dare vita a un’alternativa. Per questo, alla paura, ai pregiudizi e alla competizione come strumenti utilizzati distruggere fiducia sicurezza e unità, dobbiamo rispondere con l’autodifesa, non come pratica individuale, ma come strumento di protezione della propria collettività. Pensiamo che costruire connessioni fra noi donne sia fondamentale per la nostra resistenza e per la riconquista della nostra libertà. Riscoprire il nostro legame ha lo scopo di rafforzare noi stesse.
“La resistenza è vittoriosa quando è organizzata”2 e, aggiungiamo, collettiva. Questa quindi è la nostra chiamata, affinché la nostra lotta sia efficace, la nostra forza incisiva e dirompente, e la nostra comunità stabile, unita e libera.
Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!
ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO PER LE SUE POLITICHE FEMMINICIDE! 100 MOTIVI PER CONDANNARE IL DITTATORE
La storia recente dell’umanità dimostra che, durante i regimi dittatoriali, si registra il numero più alto di catastrofi. Esempi sono: il Genocidio armeno, la Shoah, i genocidi dei colonizzatori contro le popolazioni indigene in America, nonché i numerosi massacri in luoghi come il Medio Oriente, incluso il Kurdistan. L’umanità ha dovuto affrontare tutti i tipi di genocidi, in particolare negli ultimi due secoli. Secondo la definizione della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, per genocidio si intende “uno qualsiasi dei seguenti atti commessi con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, una nazione, etnia, razza o religione, in quanto tale: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri di quella collettività; infliggere deliberatamente certe condizioni di vita al gruppo, calcolate per causarne la distruzione fisica totale o parziale; imporre misure progettate per prevenire le nascite all’interno della comunità; trasferire con la forza i bambini di un gruppo ad un altro gruppo.” La definizione ampiamente accettata di dittatura descrive la monopolizzazione/concentrazione del potere nelle mani di un sovrano per rimanere leader supremo. Queste definizioni, secondo gli standard legali internazionali, offrono una ragione sufficiente per suggerire che Erdogan è un dittatore e, pertanto, dovrebbe essere processato per i suoi crimini. Il dittatore, che funge da presidente della Turchia, ha una mentalità machista, fascista e razzista che prende di mira le donne curde in modo consapevole, pianificato e specifico. In 18 anni di governo dell’AKP, Erdogan è diventato il principale autore di un sistema che si macchia di massacri, omicidi e stupri mirati e sistematici nei confronti delle donne.
Il 29 ottobre 2009, un obice dell’esercito turco ha ucciso la dodicenne Ceylan Onkol mentre stava pascolando le sue pecore. Il 9 gennaio 2013 Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Şaylemez sono state assassinate a Parigi dai servizi segreti turchi. Kader Ortakaya è stata colpita alla testa nel novembre 2014, mentre cercava di attraversare Kobane durante l’assedio di Daesh. La giovane attivista Dilek Doğan è stata uccisa, nella sua casa, dalla polizia il 18 ottobre 2015. Nel dicembre 2015, il corpo di Taybet Inan, una civile uccisa dalle forze armate turche, è stato lasciato marcire per le strade durante il coprifuoco a Silopi. Il 4 gennaio, le attiviste curde Seve Demir, Pakize Nayir e Fatma Uyar sono state massacrate dal fuoco dell’esercito a Silopi sotto l’assedio dell’esercito. Il 12 ottobre 2019, l’attivista e rappresentante politica delle donne curde Hevrin Khalaf è stata uccisa dalle forze islamiste, sostenute dalla Turchia, durante l’operazione di stato turco “Fonte di pace” a Serekaniye (Ras al-Ain) nel nord Siria. Nel giugno 2020, tre attiviste donne curde del movimento ombrello Kongra Star sono state uccise in un attacco di droni turchi contro una casa nel villaggio siriano settentrionale di Helince de Kobane. Purtroppo, potremmo aggiungere molti altri esempi. La violenza contro le donne è aumentata di oltre il mille per cento in Turchia. Lo stupro sta diventando sempre più frequente. Le donne sono sistematicamente escluse dai circoli politici (inclusa la reclusione per impedire di parteciparvi). Tutto questo va aggiunto alla criminalizzazione del lavoro accademico, artistico e professionale. La nostra memoria e la nostra rabbia sono vive perché ogni giorno affrontiamo un nuovo massacro. Abbiamo il coraggio e il potere di giudicare i responsabili, gli autori di questo massacro. Abbiamo ragioni e prove sufficienti per questo. Abbiamo anche abbastanza consapevolezza e capacità di analisi per riconoscere che questi massacri sono tutti crimini di guerra. Come movimento delle donne curde, abbiamo combattuto attraverso campagne, azioni e resistenza contro il femminicidio nel nostro Paese. Con la nostra campagna “100 motivi per condannare il dittatore”, ci ribelleremo contro il principale autore di questi crimini, Recep Tayyip Erdogan. Per essere precisi, nei 18 anni al potere, Erdogan ha commesso non 100, ma migliaia di crimini. Tuttavia, come donne, abbiamo deciso di concentrarci su crimini efferati, per i quali deve pagare affinché la nostra coscienza trovi pace. Non formuleremo una frase del tipo “Il numero di incidenti e morti è impossibile da contare”. In quanto donne, non condanniamo questi crimini solo sulle base delle prove che abbiamo raccolto. Li condanniamo anche alla luce della nostra ideologia, coscienza, posizione e spinte dal bisogno di soddisfare le nostre richieste. Non possiamo accettare che Erdogan sia come gli altri, che sono sempre stati visti come “leader di Stato”, e come “dittatori” solo dopo che i loro crimini di guerra sono stati smascherati o dopo la loro morte. Chiediamo che venga processato adesso. La nostra lista dei crimini commessi da Erdogan è abbastanza lunga e non vogliamo che diventi ancora più lunga. Come Movimento delle donne curde in Europa (TJK-E), vogliamo raccogliere 100.000 firme per 100 motivi per opporci al dittatore e ai suoi mercenari nell’abuso di potere, e ai militari e alla polizia per violenza e ingiustizia. Nella prima fase della nostra campagna, nei 104 giorni che intercorrono tra il 25 novembre 2020 e l’8 marzo 2021, daremo ogni giorno un altro “motivo”, condividendo le storie delle donne assassinate dallo Stato.
Contro il dittatore, che riesce a commettere nuovi massacri ogni giorno, vi parleremo delle donne assassinate. Vogliamo che entrino per sempre nelle pagine della storia e nella memoria dell’umanità. Le firme che raccoglieremo costituiranno il primo passo per gettare le basi per il lavoro legale, sociale, politico e d’azione che intraprenderemo, con il massimo impegno per perseguitare il dittatore. Nella seconda fase, porteremo le nostre firme e i crimini che registriamo e tutte le prove che raccogliamo all’ONU e ad altre istituzioni competenti per chiedere l’avvio del processo di riconoscimento del femminicidio come crimine simile al genocidio. Il fallimento delle Nazioni Unite nel fare ciò che è necessario incoraggia dittatori come Erdogan, che rappresentano la forma istituzionalizzata della mentalità dominata dagli uomini.
Ogni firma che raccoglieremo rappresenterà un passo in avanti per mettere sotto processo il dittatore, così come ogni voce in più che si alzerà e diventerà azione restringerà lo spazio a disposizione dei dittatori. Puoi aggiungere potere al nostro potere, la tua voce alla nostra voce per eliminare il dittatore dalla nostra vita, prendendo parte a questa campagna su www.100-reasons.org.
ERDOGAN DOVREBBE ESSERE PROCESSATO per le sue politiche femminicide! 100.000 firme per 100 motivi
Molto tempo fa, l’AKP ha promesso di democratizzare in modo significativo la Turchia, applicare le regole dello Stato di diritto, risolvere questioni interne come la questione curda attraverso mezzi politici, costruire un sistema parlamentare pluralista e democratico, con tolleranza zero per la tortura e nessun problema con paesi confinanti. Per anni, queste promesse hanno accresciuto le aspettative per le urgenti richieste di cambiamento della società. Tra le promesse c’era la lotta al sessismo e all’uguaglianza di genere. Nei 18 anni di governo dell’AKP, la Turchia non solo non è riuscita a mantenere queste promesse, ma ha fatto passi indietro nel tempo in modi senza precedenti. Insieme al suo partner di coalizione, l’ultranazionalista “Partito del Movimento Nazionalista” (MHP), il governo ha istituito un governo dittatoriale/fascista di una sola persona, prendendo il controllo di tutti gli organi statali, eliminando la libertà di pensiero e di espressione, trasformando il sistema giudiziario nel più grande veicolo di ingiustizia nello smantellamento della divisione dei poteri. Il governo di Erdogan usa sconsideratamente tutti le risorse del funzionamento statale contro coloro che si oppongono al suo governo. Cerca di eliminare ogni opposizione attraverso l’omicidio, la prigione, la tortura, lo sfollamento forzato e l’espropriazione. Inoltre, le persone vengono messe a tacere con minacce di licenziamento, intimidazioni e ricatti. A livello nazionale, il governo Erdogan ha trasformato il Paese in una prigione a cielo aperto, un regime di paura con metodi dittatoriali. Parallelamente, lo Stato ha fatto ricorso a aggressioni e ricatti nella sua politica estera oggi più che mai.
Sebbene il governo avesse promesso “zero problemi con i vicini”, il paese ora ha problemi con quasi tutti i suoi vicini nella regione e oltre. Nella sua ricerca dell’egemonia regionale basata sul sogno neo-ottomano, l’AKP conduce guerre in Siria, Iraq e Libia. Usa spesso l’ISIS e gruppi simili come mercenari per l’occupazione. Usa regolarmente il ricatto come parte della sua politica estera per far rispettare la sua volontà (il cosiddetto accordo sui rifugiati con l’UE è un esempio). In questo momento, la Turchia, sotto l’AKP, rappresenta una minaccia e un pericolo per l’intera regione. Siamo consapevoli di questi eventi nella misura in cui sono coperti dalla stampa. Tuttavia, c’è un’altra guerra pericolosa guidata dall’AKP che non viene riportata dai media e che è assente dalle agende mondiali: una guerra femminicida contro le donne! Con la crescente aggressività delle politiche interne ed esterne del governo Erdogan, sono aumentate anche le politiche femminicide. Con le sue politiche femminicide, l’AKP sta anche conducendo una politica “societicida”, di uccisione della societá. Il fascismo, come il sistema più profondamente dominato dagli uomini, può continuare la sua esistenza solo approfondendo lo stato di colonizzazione delle donne. La Turchia è il Paese con il maggior numero di prigioniere politiche. Durante il governo dell’AKP, la violenza contro le donne è aumentata del 1400%.
L’esplosione di femminicidi e violenza contro le donne non è una coincidenza, né è scollegata dalle politiche statali. Nelle regioni sotto l’occupazione dello Stato turco, le donne vengono rapite, violentate, vendute e massacrate. C’è un serio attacco alla volontà e alla capacità delle donne di decidere sulla propria vita. Le donne sono oggettivate e costrette ad assumere ruoli di genere tradizionali. Le donne affrontano costantemente il soffocamento da parte dello Stato e della società patriarcale che esso riproduce. Come in tutte le parti del mondo, le donne costituiscono un’importante dinamica di opposizione in Turchia. Il movimento delle donne curde è in prima linea in un serio risveglio. Non è un caso che le politiche femminicide di Erdogan aumentino ogni giorno in cui cresce questo risveglio. Con il femminicidio, lo Stato sta cercando di eliminare l’opposizione e quindi ogni potenziale forza di cambiamento. L’obiettivo è tenere in ostaggio la società. Il fatto che il femminicidio non sia ancora riconosciuto come crimine contro l’umanità significa che Stati e dittatori che ricorrono al femminicidio non hanno paura di essere ritenuti responsabili. Finché il femminicidio non sarà trattato come un crimine contro l’umanità, non sarà possibile condurre una lotta credibile ed efficace contro le politiche sociali come il genocidio. Con questa campagna, vogliamo attirare l’attenzione sulle politiche femminicide dell’AKP e di Erdogan.
Vogliamo giustizia e chiedere un processo giudiziario dell’AKP. Con questa campagna vogliamo essere la voce di tutte le donne del mondo che sono soggette a violenza e attirare l’attenzione su tutti i crimini di stato commessi contro le donne. Vogliamo porre fine alla violenza contro le donne commessa nella Repubblica Turca attraverso ii femminicidio, dove ogni giorno una donna viene uccisa dalla violenza sessista.
Con questa campagna vogliamo che il femminicidio sia riconosciuto a livello internazionale come crimine contro l’umanità. Aggiungi la tua firma alle nostre richieste. Fermiamo il femminicidio!
La rivoluzione delle donne non si ferma e ora più che mai ha bisogno della solidarietà attiva della società civile internazionale.
di Fabiana Cioni
Nei territori della Federazione Democratica della Siria del Nord e dell’Est (Rojava) le organizzazioni delle femminili il 10 novembre hanno presentato a Qamislo le attività in programma per celebrare la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Il processo rivoluzionario si fonda sulla liberazione delle donne perché soltanto affrontando e abbattendo la prima forma di colonizzazione, di sfruttamento e schiavitù emersa nel corso dell’evoluzione della storia dell’essere umano, può compiersi la trasformazione radicale della società verso quella che Ocalan ha chiamato “Modernità Democratica”. Una democrazia dal basso che viene costruita dalla popolazione quotidianamente, in cui le donne con impegno e consapevolezza si auto-organizzano in associazioni, cooperative, organizzazioni territoriali sui temi della salute, dell’economia, dell’ecologia, dell’autodifesa, tutte riunite in Kongra Star, associazione di associazioni. Kongra Star ha lanciato a livello internazionale la campagna di raccolta firme per rendere più intensa la solidarietà tra le donne contro l’occupazione e il genocidio che terminerà il 25/11. Il genocidio è espressione della mentalità nazionalista che non può accettare, per definizione, la molteplicità delle presenze culturali, linguistiche e religiose della società e il femminicidio è lo strumento che viene utilizzato per sopprimere le diversità e distruggere la società. Per sostenere la campagna clicca qui.
Nel corso del mese di novembre le associazioni di donne organizzeranno workshop e incontri di formazione sui temi del matrimonio nell’infanzia, sulla parità di genere, sull’aumento della violenza con la pandemia da covid-19 e sulla partecipazione alle scelte politiche. Nessuna donna è lasciata indietro perché la società democratica ha bisogno di tutte le sfumature e soltanto se c’è una partecipazione diffusa può realizzarsi l’utopia concreta dell’autogoverno e della vita libera insieme.
Free life together
Jinwar è l’eco-villaggio delle donne, auto-costruito con mattoni di terra cruda riappropriandosi del sapere ancestrale delle donne a cui la Dea Cosmica trasmise l’arte della modellazione della creta. A Jinwar le donne imparano a liberarsi dai legami di subalternità fisica, psicologica ed emotiva dei maschi con un processo di conoscenza, consapevolezza e pratica di vita insieme seguendo Jineolojî. La Jineolojî, definita come scienza dalla prospettiva delle donne, nasce da più di 40 anni di lotta del movimento delle donne curde. è considerata la scienza della società democratica perché Jineolojî coniuga teoria e prassi affinché si realizzi una società ecologica in cui comunitariamente sono gestiti i beni comuni, l’economia, la salute, la formazione, l’autodifesa.
Jinwar è stato inaugurato il 25 novembre 2018 ed è aperto a tutte le donne, senza distinzione di religione, lingua, cultura, che abbiano bisogno di essere accolte. Nel villaggio vivono donne arabe, curde, yezide, alcune sono vedove di martiri per la liberazione, altre si sono allontanate dal marito o dalla famiglia a causa delle continue violenze subite, altre ancora perché desiderano formarsi, imparare, acquisire un approccio olistico ai problemi e partecipare ad una esperienza collettiva da portare successivamente nella società. La comunità vive collettivamente fuori dalla logica del mercato, in connessione con i ritmi naturali, recuperano i saperi dell’agricoltura tradizionale e si rendono autosufficienti. Le donne a Jinwar cercano nel passato remoto le radici di una relazione ecologica con il mondo naturale, consapevoli di custodire alcune reminiscenze della civiltà neolitica della Mesopotamia nelle usanze popolari trasmesse di madre in figlia e non ancora completamente sradicate dalla modernità capitalista.
Gli edifici si articolano intorno a forme geometriche elementari che simbolicamente richiamano la Dea Cosmica come il triangolo e il cerchio. La spiritualità per millenni è stata interna alla natura, un lunghissimo periodo in cui le comunità umane svilupparono società ecologiche con al centro la cura per il gruppo, il benessere della collettività e il sostegno reciproco. A Jinwar le donne rendono attuale questa visione olistica del mondo e delle relazioni umane senza escludere la tecnologia che viene valutate rispetto all’ecosistema complessivo. Per esempio il progetto di autosufficienza energetica è in parte realizzato con l’allestimento di una serie di pannelli fotovoltaici sul tetto dell’Accademia delle donne.
Sifa Jin
La cura del corpo come riappropriazione del primo territorio da difendere è un principio di Jinwar che trova espressione nel centro di Medicina Naturale Sifa Jin. è stato inaugurato nella settimana dell’8 marzo di quest’anno, il centro è aperto anche alle donne e famiglie dei villaggi vicini (gli uomini adulti sono visitati soltanto se anziani o se gravemente malati e impossibilitati a raggiungere il più vicino ospedale). Le donne con Sifa Jin hanno l’obiettivo di riappropriarsi della conoscenza olistica del corpo avvicinandosi ad una epistemologia ancestrale, condivisa con i pueblos originarios, che si prenda cura dei corpi e del territorio. In cerchio condividono i saperi del passato riconciliandosi con la natura, entrano in contatto con i suoi cicli per produrre olii essenziali, unguenti e tisane. La formazione avviene in modo formale e informale, per esempio i dialoghi durante la raccolta delle erbe sono scambi di saperi e approfondimento.
Dalla sua apertura circa 1000 donne si sono recate a Sifa Jin ed è molto positivo che questo presidio sia stato aperto poco prima della diffusione anche in Rojava del virus covid-19 perché anche le famiglie che vivono vicino sono state informate e hanno avuto una formazione sulla regole da seguire per il contenimento, oltre a ricevere le necessarie cure. Per potenziare la presenza sul territorio del presidio sanitario il collettivo di Jinwar ha attivato un progetto per l’acquisto di un’ambulanza. In Italia Cisda (coordinamento donne afgane) e Rete Jin hanno organizzato una campagna di raccolta fondi, questo è il momento di esprimere la solidarietà donando al progetto Arte per Jinwar.
La diffusione di Covid-19 sta progredendo anche in Rojava, l’ultimo bollettino relativo a ottobre evidenzia il raddoppio dei casi in un solo mese, i posti letto attrezzati sono meno di 60 per una popolazione di circa un milione di persone. La situazione già critica potrebbe peggiorare notevolmente con l’arrivo dell’inverno. La Mezzaluna Rossa Kurda segnala la mancanza di ventilatori, kit per fare i test e i dispositivi di protezione personali. L’embargo continua a gravare sulla popolazione nonostante la pandemia. Per arginare la rapida diffusione dell’epidemia la regione dell’Eufrate, compresa la città di Kobanê, è sotto coprifuoco da 15 novembre per due settimane. La Turchia continua ad attaccare e costruisce nuove postazioni nei pressi di Dirbêsiyê.
Ma la rivoluzione delle donne non si ferma e ora più che mai ha bisogno della solidarietà attiva della società civile internazionale.
JIN JIYAN AZADI!
Fabiana Cioni è attivista in solidarietà con MLK, dottoranda IUAV Università di Venezia.
In occasione dell’ottavo anniversario della rivoluzione del Rojava, ANF News ha intervistato la Comandante generale delle YPJ Newroz Ehmed, la quale ha innanzitutto dichiarato che la rivoluzione del Rojava ha dato prova del potere del popolo e delle donne.
In quali condizioni ha avuto luogo la rivoluzione, e quali fasi ha attraversato?
Nel 2010-2011 era nata un’iniziativa rivoluzionaria. La gente aveva reagito alla crisi in atto nel sistema, divenuta ormai intollerabile; in particolare, abbiamo assistito alle rivolte del popolo arabo nel fenomeno della cosiddetta “Primavera araba”. Le popolazioni non tolleravano più una persecuzione che ad esse risultava evidente e le proteste si sono sviluppate a ondate successive. Anche il popolo curdo era uno di quelli che vivevano tali difficoltà: era stato lasciato solo ad affrontare genocidi, in ogni senso, e perciò s’era unito a quest’ondata di rivolta. Il popolo curdo voleva battersi per la propria libertà. La situazione era assai problematica. L’unica forza che il popolo aveva consisteva nella sua capacità d’organizzazione e di adattamento alla rivoluzione, vissuta con un sentimento di liberazione. Nelle piazze erano specialmente le donne ad essere una presenza massiccia – il XXI secolo è il secolo delle donne, e qui ne abbiamo avuto chiara dimostrazione. L’elemento che differenzia la nostra rivoluzione dalle altre è l’anelito a battersi per l’autodeterminazione e la libertà, la consapevolezza, lo sviluppo, e la battaglia per garantire la partecipazione di tutti i popoli. Questa rivoluzione popolare l’abbiamo creata coi nostri soli mezzi; c’erano forze che miravano a intervenire nel processo, ma l’abbiamo impedito. Da secoli questa terra vede la convivenza pacifica di arabi, circassi, assiri, siriaci, armeni, curdi, è un mosaico di popoli diversi, portati a unirsi dal desiderio di vivere insieme in spirito di fratellanza. Con questa rivoluzione, è stata eliminata la frammentazione perseguita e attuata dal sistema siriano allo scopo di creare divisione fra i popoli.
La rivoluzione del Rojava s’è sviluppata sotto la guida delle donne, tale è la percezione che ne ha il mondo… Come giudichi quest’idea d’una “rivoluzione nella rivoluzione”?
Poiché la rivoluzione del Rojava è una rivoluzione guidata dalle donne, è definita anche “la rivoluzione delle donne”. È difatti una realtà rivoluzionaria che siano le donne ad essere in prima linea in ogni campo. Mosse dall’amore per la libertà, passo dopo passo, abbiamo fatto fronte a tutte le difficoltà, abbiamo resistito, a testa alta, per spezzare le plurimillenarie catene della schiavitù e conquistare la libertà. Col tempo, ad ogni passo, questo livello di consapevolezza aumentava. La partecipazione delle YPJ ha influenzato la società intera: le donne hanno dato prova d’esser in grado di occupare saldamente ogni funzione, in ogni settore. Ecco perché con questa rivoluzione non solo è stato eradicato il sistema statalista, ma è emerso chiaramente il tratto caratterizzante di essere una rivoluzione nella rivoluzione che esalta la forza delle donne. Le donne sono inserite nell’ambito politico, sociale, diplomatico, economico e militare, ed è cosa evidente a tuttx. Le donne sono protagoniste in ogni area della società, portando le proprie opinioni e i propri ideali: è così che abbiamo realizzato un modello di vita fondato su democrazia, ecologia e libertà delle donne.
Quando c’è stata l’occupazione di Serêkaniyê e Girê Sipî, i popoli del mondo hanno espresso una reazione energica: un tuo commento al riguardo?
Ovunque le donne rivoluzionarie hanno combattuto e ricevuto attacchi. Nel 2014, a Shengal, a far fronte agli attacchi dei mercenari dell’ISIS si sono levate le YPJ, e si sono battute fino alla fine: il mondo ha assistito anche a questo. È stata una lotta per il bene dell’intera umanità, tuttx l’hanno compreso; la valorosa resistenza delle donne è stata di sprone a tuttx. L’esercito turco invasore non poteva accettare questa rivoluzione, non poteva tollerare di trovarsi di fronte delle donne che resistevano e dunque ha sferrato un’offensiva d’occupazione priva di qualsiasi giustificazione – ma l’unità dei popoli, il loro ergersi fianco a fianco, si sono tradotti nella creazione d’un proprio esercito senz’alcun appoggio da parte di questo o quello Stato. A questa rivoluzione si sono unite le compagne Hevrin Xelef, Aqîde Ana, la compagna Amara, oltre a moltx comandanti militari e internazionalistx da tutto il mondo: questa resistenza è stata possibile grazie a coloro che hanno sacrificato tutto in nome della libertà. L’esercito turco ha occupato alcune delle nostre zone, ma la volontà delle donne e dei popoli, il loro potere di resistenza, quelli no, non ce l’ha fatta ad occuparli: ecco la risposta più grande all’occupazione.
Oggi i territori del Rojava sono sotto attacco da parte dello Stato turco: quali misure di contrasto state adottando, e a che punto sono i vostri preparativi?
In questa rivoluzione abbiamo realizzato molte conquiste: di certo, su queste vittorie raggiunte insieme al popolo, le forze di difesa femminili non arretreranno. L’invasione turca continua a minacciare ed attaccare il Rojava e il Kurdistan settentrionale e meridionale [rispettivamente il Bakûr e il Başûr; Rojava significa “ovest” – n.d.t.]*. Noi delle YPJ ci muoviamo in piena coscienza: con questo stesso spirito deve agire il nostro popolo. Ci stiamo preparando in molti modi. Nei processi storici finora compiuti il nostro popolo ha vissuto grande sofferenza, ma nonostante le difficoltà, il dolore, il prezzo che ha pagato, la nostra gente non ha ceduto, è sempre stata al nostro fianco, sempre dalla nostra parte, spiritualmente e materialmente.
Vi esortiamo a difendere la dignità e la resistenza del nostro popolo. Siamo grate della strenua dedizione delle/dei nostrx martiri e veteranx: alle loro famiglie va il nostro rispetto. Giuriamo di batterci sino alla fine per una società libera, egualitaria e democratica.
* Chiamiamo Kurdistan l’area dove storicamente è stata alta la presenza del popolo curdo. Con l’avvento degli Stati-nazione esso si è trovato diviso in quattro parti: il Bakûr (“nord”), la parte di Kurdistan all’interno dei confini della Turchia: include l’Anatolia orientale e sud-orientale, con almeno 13 province a maggioranza demografica curda (Iğdır, Tunceli, Bingöl, Muş, Ağrı, Adıyaman, Diyarbakır, Siirt, Bitlis, Van, Şanlıurfa, Mardin, Hakkâri); il Başûr (“sud”), la parte all’interno dei confini dell’Iraq: oggi regione autonoma dell’Iraq settentrionale, retta dallo Hikûmetî Herêmî Kurdistan (KRG – Kurdistan Regional Government, Governo regionale curdo); il Rojava (“ovest”), la parte all’interno dei confini della Siria: ospita l’entità politica oggi denominata Federaliya Demokratîk a Bakûrê Sûriyê (Federazione democratica della Siria del nord); e il Rojhilat (“est”), la parte di Kurdistan all’interno dei confini dell’Iran: comprendente le province iraniane dell’Azerbaijan occidentale, del Kurdistan e di Kirmanshah – n.d.t.
Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato.
Cortei di protesta in molte città turche per la morte d’una giovane per mano del fidanzato; condannate le politiche del regime del presidente Recep Tayyip Erdoğan, incapaci di arginare il recente aumento di violenza sulle donne.
Un crimine orrendo, vittima la giovane [studente] turca Pinar Gültekin: secondo Al Ain News, il fidanzato Jamal Matin Avci l’ha colpita e poi strangolata fino alla morte, quindi, dopo aver provato invano a bruciarlo, ha messo il corpo in una botte e l’ha trasportato in una foresta nell’ovest della Turchia per darlo alle fiamme.
Dopo la scoperta del delitto, l’opinione pubblica è insorta ed è scesa in piazza per esprimere rabbia per l’accaduto e chiedere che il governo adotti misure più efficaci per fermare la violenza contro le donne, che ha visto un’escalation negli ultimi anni.
A Istanbul, un gran numero di donne si è riunito nei quartieri di Beşiktaş, nel lato europeo della città, e di Kadıköy, nel lato asiatico, e ha condannato l’incidente. L’evento ha visto la partecipazione di un alto numero di artiste e artisti che rifiutano questi avvenimenti, della piattaforma “Fermeremo il femminicidio” (“Kadın Cinayetlerini Durduracağız” Platformu) e dei consigli di quartiere delle donne della città.
Le manifestanti recavano striscioni con slogan di condanna – “Non staremo in silenzio dinanzi a questi avvenimenti”, “È tempo di applicare l’accordo di Istanbul” per prevenire e combattere la violenza contro le donne – e immagini della giovane uccisa, gridando “Basta morte”, “Distruggeremo la vostra mascolinità” e “Rispettate l’accordo di Istanbul”.
In un discorso tenuto alle manifestanti, la segretaria generale della piattaforma Fidan Ataselim ha affermato: “Metteremo fine ai crimini commessi contro le donne”. “Siamo così adirate che non abbiamo intenzione di fare un solo passo indietro. Abbiamo firmato l’accordo di Istanbul e il regime vuole revocarlo”. In precedenza, a proposito di tale accordo, il vice-presidente parlamentare di Giustizia e Sviluppo (AKP) Numan Kortulmush ha dichiarato: “Proprio come questo accordo è stato firmato secondo le procedure, allo stesso modo verranno prese misure per uscirne”. Questa presa di posizione ha causato paura e panico tra le donne turche: per le loro vite, specialmente alla luce del pericolo concreto che minaccia i bambini e [soprattutto] le bambine.
Le YPS-Jin invitano all’autodifesa dopo che nei giorni scorsi si sono nuovamente verificati attacchi contro donne e minori da parte di uomini e militari nel Kurdistan turco.
Proteste in seguito al tentato stupro di una 13enne a Şırnak
Il tentato stupro d’una ragazzina di 13 anni ha scatenato proteste nella provincia di Şırnak. Il responsabile, un sergente scelto dell’esercito turco, è stato sopraffatto dagli abitanti del luogo e quindi arrestato.
Il tentato stupro d’una ragazzina di 13 anni da parte di un sergente scelto turco ha scatenato accese proteste a Şırnak, nel Kurdistan settentrionale. In serata la polizia ha disperso coi lacrimogeni una manifestazione contro la violenza sessuale. Prima avevano già avuto luogo numerose proteste nelle strade e altre sui network online, sotto l’hashtag #SusmaŞırnak (“Non tacere, Şırnak”). I manifestanti, in maggioranza uomini, hanno annunciato che continueranno con le azioni.
Secondo quanto riferito dai suoi avvocati, martedì sera sul tardi la ragazza si trovava sulle scale del suo condominio insieme a un’amica quando per poco non è rimasta vittima dell’aggressione sessuale commessa dal soldato A.A. I vicini si sono accorti del fatto grazie alle grida d’aiuto [della giovane], l’uomo ne è stato disturbato e si è dato alla fuga sulla propria autovettura. Di lì a poco è stato sorpreso dagli abitanti mentre si masturbava, affrontato e reso inoffensivo, non senz’aver prima estratto la pistola d’ordinanza e minacciato diverse persone: la gente è riuscita a sottrargli l’arma e a trattenerlo fino all’arrivo della polizia.
Mercoledì, sia alla stazione di polizia che durante l’interrogatorio condotto da funzionari del pubblico ministero, A.A. ha negato il tentato stupro, pretendendo di essere vittima di un attacco da parte d’un gruppo di persone a lui ignote “a causa della sua appartenenza all’esercito”: [a suo dire,] s’era recato al condominio a cercare una donna “di cui ignorava il nome”, con la quale avrebbe dovuto incontrarsi quella sera per un picnic.
A.A., dal 2017 sergente scelto presso la 1a Brigata di comando di Şırnak, è stato accusato dal pubblico ministero di tentato stupro e minacce a mezzo d’arma da fuoco. La sezione penale del tribunale distrettuale di Şırnak ha accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere in considerazione del rischio di fuga, latitanza e reiterazione del reato.
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In terapia intensiva il minore colpito da soldati turchi
Bağa è stato ferito sul lato destro del costato da una pallottola fuoriuscita dalla schiena, che l’ha lasciato in condizioni gravissime.
Nella prima mattinata di giovedì scorso, nel villaggio rurale di Çiliya Jor, nel distretto di Çaldıran in provincia di Van, alcuni soldati turchi hanno sparato al quindicenne Azat Bağa, intento a far pascolare le pecore.
Il ragazzo, rimasto gravemente ferito, è stato portato d’urgenza dai parenti al Centro medico “Dursun Odabaşı” dell’Università “Yüzüncü Yıl” (Yüzüncü Yıl Üniversitesi Dursun Odabaşı Tıp), dove si trova tuttora in terapia intensiva.
Stando a quanto riferito, Bağa è stato colpito sul lato destro del costato da una pallottola fuoriuscita dalla schiena, che l’ha lasciato in pericolo di vita; non si sa ancora quando verrà operato: la sua famiglia continua ad attendere fuori dall’ospedale.
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Le YPS-Jin esortano all’autodifesa contro lo stupro
In considerazione del crescente numero di casi di violenza sessuale, le Unità civili di difesa delle donne YPS-Jin (Yekîneyên Parastina Sivîl-Jin) invitano all’organizzazione delle donne in unità di difesa per “vendicarsi dello Stato maschio”.
In molte città del Kurdistan settentrionale e della Turchia, sono attivi dei gruppi organizzati delle Unità di difesa delle donne YPS-Jin che si stanno facendo un nome attraverso azioni militanti. Il Coordinamento YPS-Jin ha pubblicato un comunicato in cui invita le donne a resistere e difendersi. Specialmente gli stupri da parte dei militari sono descritti dalle donne come un’espressione della speciale guerra in atto in Kurdistan.
“La promozione della cultura dello stupro è l’attacco dello Stato contro le donne”
Riguardo alle politiche sessiste del regime dell’AKP e alle loro conseguenze sociali, le YPS-Jin hanno affermato: “Promuovendo una cultura di prostituzione e stupro, l’obiettivo è attaccare le donne in quanto forza creativa della società. Una società le cui donne sono spezzate o distrutte può essere facilmente sottomessa. Si dice sempre ‘spara prima alle donne'”.
“L’attacco a Şırnak è un attacco a tutte le donne”
Riguardo alla recente ondata di violenze sessuali (molestie e stupri) da parte dei membri dell’esercito turco, le YPS-Jin hanno detto: “A Şırnak un ufficiale ha commesso violenza sessuale contro una ragazza curda di 13 anni. È un attacco a tutte le donne e ai valori del Kurdistan. In Kurdistan lo stupro e la molestia sessuale sono diventati espressione del fascismo turco. Come donne dobbiamo essere consapevoli di questa realtà. La nostra identità, la nostra terra e i nostri corpi appartengono a noi e qualsiasi resistenza per proteggerli è legittimata.
“Dobbiamo esercitare il diritto all’autodifesa”
Il popolo di Şırnak si è difeso, ha affrontato il perpetratore e ha dato vita a manifestazioni di protesta. È risultato chiaro ancora una volta che in Kurdistan una vita dignitosa è possibile soltanto attraverso l’autodifesa. L’autodifesa è per noi una necessità più urgente persino del pane quotidiano. In questo senso, noi come donne dobbiamo esercitare il nostro diritto all’autodifesa in tutta la sua ampiezza. Ovunque ci siano stupratori, ovunque ci sia violenza sessuale, ovunque ci sia aggressione da parte dello Stato, dobbiamo scendere in piazza in autodifesa. Il silenzio è complicità. Dobbiamo usare un’ampia gamma di mezzi per mostrare il potere delle donne e mettere fine al fascismo maschile patriarcale.
“Le mani che si allungano sulle donne saranno spezzate”
Come YPS-Jin, dichiariamo che espanderemo la nostra lotta e chiederemo conto allo Stato stupratore colonialista. Spezzeremo tutte le mani che si allungheranno sulle donne. Le nostre unità di vendetta si scaglieranno su occupanti e stupratori. Chiediamo a tutte le donne di organizzarsi sotto l’ombrello delle YPS-Jin, di ricorrere all’autodifesa e vendicarsi dello Stato maschio.
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Donna denuncia stupro e viene uccisa dal marito
Nel villaggio di Gölağılı presso Malazgirt, provincia di Muş, una donna è stata prima violentata dal fratello del marito e poi assassinata da quest’ultimo.
Stando alle informazioni ricevute, Fatma Altınmakas, madre di sei figli, è stata uccisa dal marito, Kazım Altınmakas. La famiglia ha preso il cadavere e l’ha sepolto nel villaggio di Özdemir (Hozdemir) presso Patnos, in provincia di Ağrı.
Dopo il delitto, Kazım Altınmakas è stato arrestato e incarcerato con l’accusa di omicidio volontario. I sei figli della coppia sono stati tutti presi in carico dai servizi sociali.
Fatma Altınmakas sarebbe anche stata vittima di violenza sessuale: secondo quanto riferito dai familiari, il 12 luglio la donna si è recata insieme al marito alla stazione di Polizia di Malazgirt, dove ha sporto denuncia contro il fratello del marito, S.A., dichiarando d’essere stata violentata da costui; S.A. è stato arrestato e rilasciato dopo due giorni: il giorno del rilascio ha coinciso con l’assassinio di Altınmakas.
Stando alle informazioni, la famiglia [d’origine] di Fatma Altınmakas avrebbe sporto denuncia contro Kazım Altınmakas e altri membri della famiglia [di quest’ultimo].
A nome delle coordinatrici del Movimento delle donne Kongra Star del Rojava, rendiamo omaggio a tutti i popoli della Siria del Nord-Est, guidati dai/dalle martiri, con le YPJ, le YPG e tutte le donne di tutte le componenti, per l’ottavo anniversario della rivoluzione del 19 luglio, che è diventata un simbolo di resistenza e rivoluzione delle donne per il popolo curdo e tutti i popoli della regione.
Il popolo della Siria, specialmente il popolo curdo, ha sofferto a causa della politica di emarginazione e negazione della sua identità e cultura causata dalle pratiche del partito Ba’ath sciovinista. Perciò, con l’inizio della rivoluzione della primavera del popolo in Tunisia, il terreno fertile per l’inizio della rivoluzione del 19 luglio in Rojava ha rappresentato una risposta a tutte le politiche di dissoluzione e negazione.
Il popolo curdo aveva brama di libertà e aveva il suo progetto democratico per restaurare i diritti che gli erano stati sottratti e ha iniziato la rivoluzione della dignità.
Dallo scoppio di questa rivoluzione, le donne sono state proattive nella loro leadership e si sono impegnate in tutte le aree dell’attività organizzativa, politica, militare e sociale. Le donne sono diventate pioniere in tutte le attività che si sono sviluppate all’interno di questa rivoluzione per portarle a un livello effettivo, specialmente un’equa rappresentazione dei sessi attraverso il sistema di presidenza congiunta.
Inoltre, i grandi sacrifici che le nostre martiri – Arin, Slava, Warshin, Berivan, Roxan e centinaia d’altre – hanno fatto per sconfiggere l’ISIS e resistere all’occupazione sono tra i fiori più puri di questa terra. La rivoluzione del 19 luglio reca impresso il carattere delle donne e per questo è diventata un modello per tutti i dibattiti internazionali.
Questo è il motivo per cui le donne in Siria del Nord e dell’Est sono state prese di mira dagli attacchi dell’occupazione e dall’assedio d’una guerra sferrata da ogni parte, volti a minare le conquiste di questa rivoluzione, perché le donne rappresentano la pietra angolare dello sviluppo e del successo di questa rivoluzione, ma le donne in Siria del Nord-Est hanno assunto l’impegno solenne di continuare la lotta e intensificare la resistenza contro tutti i possibili attacchi e riusciranno a proteggere le conquiste della rivoluzione del 19 luglio con tutta la loro forza.
Noi come organizzazione Star, dal canto nostro, facciamo appello a tutti i movimenti e le organizzazioni di donne affinché lavorino per sostenere la rivoluzione delle donne in Siria del Nord-Est.
“La rivoluzione del Rojava, che è iniziata a Kobanê il 19 luglio 2012 e si è poi diffusa in tutte le città del Rojava, ha già preso posto nella storia come la maggiore rivoluzione del Medio Oriente”, ha detto il KCK.
La co-presidenza del Consiglio esecutivo del KCK (Koma Civakên Kurdistan – Unione delle Comunità del Kurdistan) ha emesso un comunicato scritto per l’ottavo anniversario della rivoluzione del Rojava.
Il KCK ha detto: “Per l’ottavo anniversario della rivoluzione del Rojava-Kurdistan, ricordiamo con gratitudine e rispetto tutti/e i/le martiri caduti/e nella lotta per realizzare e proteggere questa rivoluzione.
La rivoluzione del Rojava, che è iniziata a Kobanê il 19 luglio 2012 e poi si è diffusa in tutte le città del Rojava, ha già preso posto nella storia come la maggiore rivoluzione del Medio Oriente. Ancora una volta rendiamo omaggio a coloro che hanno reso possibile questa rivoluzione”.
Il comunicato del KCK ha aggiunto: “La rivoluzione del Rojava era basata su vent’anni di grandioso lavoro di Abdullah Öcalan in Medio Oriente e Siria e sul paradigma di società ecologica, democratica e basata sulla libertà delle donne. Dopo che questa rivoluzione ha avuto luogo, tutte le forze reazionarie, e specialmente lo Stato turco, hanno mostrato ostilità: in questa rivoluzione, il dispotismo e la politica reazionaria mediorientali hanno visto la propria morte. Mercenari come al-Nusra hanno attaccato Serêkaniyê valendosi del sostegno fornito dal governo turco. Dopo che questi mercenari sono stati sconfitti, nel 2014 l’ISIS ha attaccato la rivoluzione del Rojava, Shengal (Sinjar) e il Kurdistan del Sud”.
Il KCK ha continuato: “La rivoluzione del Rojava non è solo la base della rivoluzione democratica in Siria; è anche il fondamento della rivoluzione democratica in Medio Oriente. Il sistema democratico del Rojava basato sulle donne libere è un’oasi di libertà e democrazia in Medio Oriente. La rivoluzione del Rojava è prima di tutto una rivoluzione delle donne. È la prima nel mondo con questo carattere: è stata la precorritrice delle rivoluzioni democratiche del XXI secolo grazie alla sua linea basata sulla libertà delle donne e al sistema del confederalismo democratico basato su una società democratica organizzata.
La rivoluzione del Rojava ha preso un posto importante nella storia dell’umanità perché è il primo esempio che sia stato messo in pratica di vita democratica, egualitaria e socialista non basata sul governo e sullo Stato”.
Il KCK ha insistito: “La rivoluzione del Rojava si è diffusa in tutta la Siria oggi con la concezione di Nazione Democratica ed è diventata la base principale della democratizzazione della Siria. Questo carattere democratico è sotto attacco da parte dello Stato turco, la forza più reazionaria e fascista del Medio Oriente. Da questo punto di vista, la rivoluzione del Rojava si è trasformata in una guerra tra i popoli del mondo e le forze della democrazia e lo Stato turco.
La rivoluzione del Rojava si è guadagnata l’appoggio dei popoli, in questo stabilendo un primato poiché nessuna rivoluzione nella storia ha beneficiato di un tale sostegno. Oggi la maggior forza della rivoluzione del Rojava sono la profondità e la portata del suo carattere democratico e il sostegno dei popoli del mondo e delle forze della democrazia. Avendo tale forza, la rivoluzione del Rojava e della Siria del Nord-Est saprà resistere, non importa quanto saranno imponenti gli attacchi: continuerà a essere la speranza dei popoli del Medio Oriente e del mondo.
Il popolo curdo nelle quattro parti del Kurdistan e i curdi in tutto il mondo stanno dalla parte della rivoluzione del Rojava. La resistenza della rivoluzione del Rojava è enorme. Su questa base, il Rojava resistente e la rivoluzione della Siria del Nord-Est respingeranno tutti gli attacchi reazionari e faranno della Siria un paese democratico esemplare per il Medio Oriente”.
Questa rivoluzione ha dimostrato che una nuova vita è possibile grazie alla grandiosa resistenza dei popoli e ha lasciato un segno profondo nel XXI secolo.
Il Movimento delle donne del Kurdistan in Europa (Tevgera Jinên Kurdistan-Ewrupa – TJK-E) ha esortato a partecipare alle azioni che si terranno a livello mondiale per l’anniversario della rivoluzione del Rojava il 18 e 19 luglio.
In un comunicato scritto, il TJK-E ha detto: “Stiamo celebrando l’anniversario della rivoluzione del Rojava del 19 luglio 2012, guidata dalle donne. Questa rivoluzione ha dimostrato che una nuova vita è possibile grazie alla grandiosa resistenza dei popoli e ha lasciato un segno profondo nel XXI secolo”.
Il comunicato continuava: “Gli sviluppi in Rojava e Siria del Nord-Est sono segnati dallo strenuo impegno per costruire un sistema democratico, ecologico e basato sulla libertà delle donne intorno alla prospettiva di società democratica e nazione democratica. In questo senso, la rivoluzione del Rojava rappresenta una nuova speranza per il mondo intero, poiché supera l’individualismo della mentalità fascista, tenendo in considerazione equamente tutti i popoli e le fedi e garantendo equa rappresentanza a tutti”.
Il TJK-E ha esortato a prender parte alle azioni che saranno organizzate il 18 e 19 luglio da Women Defend Rojava, Comune Internazionalista, Make Rojava Green Again e RiseUp4Rojava per protestare contro il colonialismo, il fascismo, il patriarcato e i crimini contro le donne, ma anche per celebrare la rivoluzione del Rojava nel suo ottavo anniversario.
La violenza e la repressione contro le donne in Kurdistan e in Turchia continuano ad aumentare. Anche l’associazione delle donne “Rosa”, che si occupa di studi femministi in Kurdistan del Nord, è un’istituzione che subisce queste pressioni.
Molti membri dell’associazione sono stati trattenuti e arrestati nelle scorse settimane. L’attivista del Tevgera Jinên Azad (Movimento per la libertà delle donne – TJA) Sevil Rojbin Çetin è stata arrestata dopo essere stata torturata dalla polizia usando i cani nella sua stessa casa. Di nuovo, come risultato di operazioni di genocidio politico, è stata attaccata la sede del Congresso per una società democratica (Demokratik Toplum Kongresi – DTK).
Ruken Ergüneş dell’associazione delle donne “Rosa” (Rosa Kadın Derneği) e Beser Çelik, portavoce del Consiglio provinciale delle donne dell’HDP di Istanbul, hanno parlato con ANF delle pressioni affrontate dalle donne.
Ricordando che un gran numero di istituzioni delle donne è stato chiuso come risultato del clima di odio verso le donne creatosi dopo il “tentato colpo di Stato” del 2016, Ergüneş ha detto: “Vari studi di praticabilità sono stati effettuati nei quartieri, nei villaggi e in molti altri luoghi. Il numero di centri antiviolenza per le donne è aumentato e le donne hanno iniziato a risolvere da sole i propri problemi”.
Ergüneş ha aggiunto: “Tutti questi centri sono stati chiusi per decreto legge poco dopo il colpo di Stato fallito. Le donne sono state lasciate sole a gestirsi i propri problemi a casa. Lo spazio pubblico, che è uno spazio collettivo in cui le persone si uniscono e producono qualcosa insieme, è percepito come una minaccia. Questo spazio pubblico aveva creato paura nel sistema”.
Ergüneş ha continuato: “Questa mentalità ha reso illegale il lavoro di un’associazione in cui, fin dal giorno in cui è stata aperta, le donne hanno definito autonomamente le proprie priorità. Tutto il nostro lavoro è registrato e legale. Hanno tentato di creare la percezione che l’associazione, che era diventata così ben nota in breve tempo, e in grado di fare così tanto per le donne esposte alla violenza, non sia soltanto un’associazione. Ma la realtà è che noi lavoriamo con le donne”.
E questo è precisamente ciò che il governo dell’AKP non poteva sopportare.
La portavoce del Consiglio provinciale delle donne dell’HDP di Istanbul, Beser Çelik, ha detto che il governo ha attaccato le istituzioni delle donne curde e la volontà delle donne in un momento in cui ci sono da affrontare una crisi economica e sanitaria a causa della pandemia da Coronavirus.
Notando che le leggi che prendono di mira le donne sono state emanate durante il processo pandemico, Çelik ha detto: “Hanno rilasciato numerosi uomini accusati d’aver ucciso donne e hanno legittimato l’abuso su minori. Specialmente la nomina di amministratori fiduciari, le incursioni nella sede dell’associazione delle donne “Rosa”, la chiusura delle istituzioni delle donne e il loro accanimento verso le donne curde rivelano la mentalità di questo governo. Perfino durante il processo pandemico, vengono prese di mira le donne: si sono avuti più arresti di donne e Rojbin Çetin è stata torturata”.
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Ruken Isik: “Nonostante il Covid-19, la Turchia perseguita le attiviste per i diritti delle donne curde”
In Turchia, nonostante la pandemia di Covid-19, continua la repressione nei confronti di organizzazioni, attivisti/attiviste e municipalità curdi – e il bersaglio più recente sono diventate le donne curde.
Il 22 maggio, vigilia di Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del mese santo del Ramadan, dopo la perquisizione dei loro uffici e abitazioni sono state arrestate 18 persone, fra le quali diverse attiviste di primo piano per i diritti delle donne curde. Delle persone arrestate, dodici sono ora in carcere, sei sono state rilasciate dietro cauzione, e fra quest’ultime la 71enne Havva Kıran [membro del gruppo di Diyarbakır dell’associazione delle “Madri per la pace” (Dayîkên Aşîtîyê / Barış Anneleri / Peace Mothers), movimento non-violento per i diritti civili delle donne e la convivenza pacifica fra tutte le etnie – n.d.t.], posta agli arresti domiciliari.
Saliha Aydeniz, co-presidente del filocurdo Partito delle regioni democratiche (Demokratik Bölgeler Partisi, DBP / Partiya Herêman a Demokratîk / Democratic Regions Party), in un’intervista all’edizione curda di VOA [“Voice of America” – n.d.t.] ha dichiarato che dodici delle donne arrestate erano membri dell’associazione femminista “Rosa” (Rosa Kadın Derneği / Rosa Women’s Association) con sede nella città sudorientale di Diyarbakır: fra queste, la presidente Adalet Kaya, la socia fondatrice Narin Gezgör [e i membri del direttivo Fatma Gültekin, Gülcihan Şimşek, Özlem Gündüz, Remziye Sızıcı, Gönül Aslan, Sevim Coşkun (nomi indicati nella didascalia d’una foto a corredo dell’articolo) – n.d.t.]. Fra le altre attiviste arrestate ve n’erano alcune appartenenti al Movimento per la libertà delle donne (o “delle donne libere”, Tevgera Jinên Azad, TJA / Free Women’s Movement), nonché ad altre istituzioni.
Non è stata chiarita la motivazione dell’arresto, ma i/le legali rappresentanti delle attiviste arrestate hanno dichiarato che i pubblici ministeri, negli interrogatori delle loro clienti, hanno posto domande riguardanti il loro pacifico attivismo: le iniziative per la giornata internazionale delle donne dell’8 marzo, le dichiarazioni alla stampa in merito alla sostituzione dei sindaci filo-curdi con amministratori fiduciari di nomina governativa, il sostegno alle “Madri per la pace” – movimento non-violento per i diritti civili delle donne – nella loro battaglia per ottenere dallo Stato l’accoglimento delle richieste dei prigionieri e delle prigioniere in sciopero della fame, e inoltre la campagna per Gülistan Doku, studente universitaria scomparsa da oltre 100 giorni nella città di Dersim (in turco Tunceli) e da allora indefessamente ricercata da familiari e amici.
Il TJA ha dichiarato pubblicamente che le attiviste arrestate sono state criminalizzate per il loro impegno per i diritti delle donne: «Hanno assunto a capi d’accusa i diritti delle donne e la libertà delle organizzazioni indipendenti. Ogni forma d’esercizio del diritto alla libertà d’espressione a favore della libertà delle donne è trattata alla stregua di prova a carico. Esercitare i diritti alla libertà d’associazione e d’espressione, sanciti dal diritto internazionale [sui diritti umani (international human rights law) – n.d.t.] e dagli Stati [nell’ordinamento giuridico nazionale (carta costituzionale e leggi) – n.d.t.], oggi per le donne è diventato un reato passibile d’arresto».
In una recente intervista resa ad Ahval, la portavoce del TJA Ayşe Gökkan ha affermato che, durante la pandemia del Coronavirus, l’associazione “Rosa” s’è adoperata attivamente per raggiungere le donne esposte alla violenza domestica nella segregazione del lockdown. Dall’inizio della pandemia, in tutto il mondo e anche in Turchia s’è avuto un picco di violenza sulle donne.
La parlamentare dell’HDP Meral Danış Beştaş ha scritto su Twitter che era stato condotto in carcere insieme alla madre anche il figlioletto di tre anni di Gönül Aslan, membro della municipalità di Bağlar a Diyarbakır. Il piccolo Dilgeş soffre d’una patologia renale che richiede stretto monitoraggio, e il marito di Aslan è stato costretto ad abbandonare la Turchia per ragioni politiche. Ora sui social media è in corso una campagna per l’immediato rilascio di Dilgeş e di tutte le attiviste incarcerate.
Questi arresti rientrano in un quadro generale di repressione dell’attivismo filo-curdo, che neppure lo scoppio del Covid-19 ha fermato. «Dobbiamo combattere contro due virus contemporaneamente: il Covid-19 e l’autoritarismo razzista che si accanisce sui curdi e sulla loro volontà democratica – sono entrambi gravi problemi di sanità pubblica»: così si sono espressi i parlamentari filo-curdi dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli / Halkların Demokratik Partisi) Hişyar Özsoy e Feleknas Uca in una recente dichiarazione riguardo alle municipalità curde commissariate arbitrariamente dallo Stato turco fin dalle elezioni locali del 31 marzo 2019: 45 su 65 a maggioranza HDP, e 22 co-sindaci curdi arrestati.
Secondo Amnesty International, dalla dichiarazione dello stato d’emergenza in seguito al tentato golpe del 2016, sono state chiuse quasi 400 ONG, fra cui molte organizzazioni per i diritti delle donne che offrivano rifugio alle vittime di violenza domestica. L’associazione femminista “Rosa” è nata appunto in seguito alla chiusura delle organizzazioni e dei centri antiviolenza comunitari di Diyarbakır.
L’azione repressiva mirante alle organizzazioni per i diritti del popolo curdo e alla rimozione dei sindaci filocurdi eletti si basa spesso su accuse pretestuose di “terrorismo”. In una pubblica dichiarazione, il TJA ha respinto ogni accusa informale e formale di terrorismo: «Stiamo organizzando [la protesta del]l’8 marzo contro il femminicidio, lo stupro e le altre forme di violenza sessuale, la disparità di genere, il matrimonio precoce, la violenza sui/sulle minori, la discriminazione religiosa, il razzismo, il sessismo, contro gli amministratori governativi che violano il diritto delle donne all’elettorato attivo e passivo, contro l’isolamento carcerario, la guerra, lo sfruttamento del lavoro, il patriarcato. Se è un crimine, ne siamo tutte e tutti colpevoli. Per questo esortiamo tutte e tutti voi a dare il vostro appoggio al TJA».
“Porgiamo omaggio oggi non soltanto alle nostre compagne cadute martiri in questo attacco, ma a tutte le donne le cui vite sono state date e prese nella lotta per la liberazione.”
Alcune internazionaliste, donne che sono venute in Rojava da diversi territori, sono state alla casa in cui le nostre compagne Zehra, Hebûn e madre Emîna, attiviste del Kongra Star, movimento delle donne del Rojava, sono state uccise dallo Stato turco.
Là hanno letto un comunicato di condanna per il triplo femminicidio commesso dalla Turchia, che rappresenta un attacco a tutte le donne del mondo, nel quale si chiede che tutte le donne nel mondo prendano posizione contro questi attacchi e che venga valorizzata la lotta comune delle donne in tutto il mondo.
Hanno anche chiesto agli Stati e alla comunità internazionale di prendere misure immediate per poter procedere verso la pace in Siria, perché fino a ora gli Stati da cui provengono sono rimasti in silenzio.
La lotta delle donne in Kurdistan è la lotta delle donne in tutto il mondo.
“Con la resistenza ci difenderemo! Con l’organizzazione metteremo fine al femminicidio!”
Il comunicato, rilasciato in inglese e curdo:
Qui il testo del comunicato tradotto:
“Oggi siamo qui a casa di madre Emîna, dove qualche giorno fa c’è stato un attacco compiuto dallo Stato turco, che ha ucciso le nostre compagne Zehra, Emîna e Hebûn. È stato un attacco compiuto con l’intento preciso di colpire il movimento delle donne. Siamo venute qui come internazionaliste, perché pensiamo che questo sia un attacco alle donne di tutto il mondo, con cui condividiamo la lotta per la libertà, e perciò questo è un attacco a tutte noi e noi insieme resisteremo fermamente contro di esso.
Non è una coincidenza che questo attacco sia stato compiuto a Kobane, alla vigilia dell’anniversario del massacro perpetrato qui da Daesh (ISIS). Kobane è un simbolo della resistenza curda, della resistenza delle donne. In questa città scorre il sangue di migliaia di şehîd [martiri], che si sono sacrificati per la sua liberazione, e in questa terra proliferano le radici della liberazione di tutte le donne. Non rimarremo in silenzio mentre è sotto attacco. L’unico silenzio che conosciamo è quello degli Stati, nei luoghi da cui proveniamo, che trattano questa terra e il popolo curdo soltanto come una pedina nei loro giochi di dominazione.
Chiediamo la fine del silenzio. Se lo Stato turco bombarda le nostre compagne in un villaggio di civili, dobbiamo tutti chiedere giustizia e perciò domandiamo la chiusura dello spazio aereo perché possa svolgersi un’inchiesta internazionale che indaghi su questo attacco e che i responsabili siano portati a processo davanti alla comunità internazionale. Chiediamo il totale ritiro dalla Siria di tutte le forze turche occupanti e che tutti quelli che conoscono il significato di giustizia prendano posizione con noi senza esitazione.
Conosciamo la forza della sorellanza e lo Stato turco ha mostrato di conoscerla a sua volta, ma ciò che invece non ha capito è che, per ogni donna che uccide, noi ci solleveremo insieme ancora più forti. Porgiamo omaggio oggi non soltanto alle nostre compagne cadute martiri in questo attacco, ma a tutte le donne le cui vite sono state date e prese nella lotta per la liberazione. Questo è il secolo della donna. In questo momento le donne di tutto il mondo stanno insorgendo e non possiamo essere fermate. Il martirio di queste donne è una ragione di più per spingerci a insorgere; troveremo la nostra forza nel fuoco della resistenza e nella solidarietà, unite di fronte a questo nemico comune.
In questo momento dobbiamo ricordare che proprio nella città di Kobane abbiamo visto la sconfitta dell’invincibile. La resistenza in questa città da parte delle combattenti, delle madri e delle loro famiglie ha segnato l’inizio della fine di Daesh (ISIS) ed è qui che sentiamo più forte battere il cuore della lotta per la libertà. Dalle nostre terre d’origine alle vostre, la vostra lotta è la nostra e insieme vedremo la vittoria. Con ciò diciamo: donne, vita, libertà!”
Sono passati nove mesi dall’assassinio della politica e segretaria generale del Partito del Futuro Siriano, Hevrin Khalaf, da parte della milizia di Ahrar al-Sharqiya supportata dalla Turchia.
Ieri, il Centro di ricerca e protezione dei diritti delle donne in Siria [Navenda Lêkolîn û Parastina Mafên Jinan a Sûriyê] ha avviato una campagna di raccolta firme per chiedere giustizia per l’uccisione di Hevrin Khalaf, la segretaria generale del Partito del Futuro Siriano [Partiya Suriya Pêşerojê]. Qui è possibile aderire al manifesto allegato all’appello.
Appello del Centro di ricerca e protezione dei diritti delle donne in Siria
Il Centro di ricerca e protezione dei diritti delle donne in Siria ha seguito il caso della politica Hevrin Khalaf, segreteria generale del Partito del Futuro Siriano, dal giorno del suo assassinio da parte della fazione pro-turca “Ahrar al-Sharqiya”.
Il Centro ha raccolto prove e assistito a dichiarazioni su quell’orribile crimine, per presentarle alle autorità giudiziarie competenti e alla comunità internazionale. Questo lavoro punta a ottenere giustizia per Hevrin Khalaf, che ha combattuto per una Siria plurale e democratica e ha unito tutte le componenti del popolo siriano sotto un unico tetto. Hevrin ha lottato per raggiungere l’obiettivo di portare sicurezza e pace in Siria, in fratellanza e coesistenza e basandosi su una vita comunitaria.
Noi, il Centro di ricerca e protezione dei diritti delle donne in Siria, oggi 6 luglio 2020 annunciamo l’avvio di una campagna per raccogliere firme con lo slogan: “Giustizia per Hevrin Khalaf”. La raccolta di firme andrà avanti fino a mercoledì 6 agosto 2020. L’intento è quello di fare pressione sui corpi decisionali affinché accettino il caso di Hevrin Khalaf e lo riferiscano alle corti internazionali per punire i colpevoli di questi crimini brutali contro la rappresentante politica curda Hevrin Khalaf e molte altre donne. Perciò chiediamo a tutte le organizzazioni della società civile, politici di spicco, figure legali e artistiche e chiunque risponda al nostro appello di firmare questa petizione. Il Centro la invierà alle autorità competenti affinché l’ottenimento della giustizia per Hevrin Khalaf, segreteria generale del Partito del Futuro Siriano, sia considerato una vittoria dei diritti umani per tutta l’umanità.
Centro di ricerca e protezione dei diritti delle donne, 6 luglio 2020
COMUNICATO
Giustizia per Hevrin Khalaf
Sono passati nove mesi dall’assassinio della politica e segretaria generale del Partito del Futuro Siriano, Hevrin Khalaf, da parte della milizia di Ahrar al-Sharqiya supportata dalla Turchia.
Hevrin Khalaf, che aveva sempre chiesto pace, democrazia e fratellanza delle nazioni, aveva lavorato duramente per rendere la Siria un luogo pacifico. Hevrin non ha mai abbandonato i suoi principi e l’attaccamento al suo Paese, la Siria.
Dall’inizio dell’operazione “Spring of Peace” [Sorgente di pace] fino a oggi, nonostante tutte le prove che documentano i crimini dello Stato turco e nonostante tutti gli appelli e le richieste di giustizia da parte delle organizzazioni per i diritti umani e dei partiti politici per la brutale e crudele uccisione di Hevrin, c’è ancora silenzio. Il mondo intero ha visto il metodo abominevole con cui è stata uccisa. Eppure niente è stato fatto per impedire a queste milizie di continuare, nei territori occupati, a diffondere paura e distruzione e di commettere ulteriori crimini contro la popolazione civile, specialmente donne e bambini.
Come stipulato dalle norme e dagli accordi internazionali e dal diritto internazionale, le donne e i bambini devono essere protetti e risparmiati dai combattimenti in tempi di conflitto armato. Gli attori del conflitto devono essere responsabili, nelle aree civili, della protezione e della sicurezza contro le violazioni di donne e bambini, perciò i responsabili devono essere portati davanti alla giustizia.
Comunque, l’esecuzione di questo meccanismo penale rimane soltanto all’interno dei confini degli Stati nazione che hanno accettato questo accordo. Per gli Stati nazione che non lo hanno accettato e si dissociano da esso, significa che i meccanismi penali non sono applicati.
Perciò questi Paesi possono evitare il giudizio della corte e la punizione. Nonostante la violazione di accordi e trattati internazionali da parte dello Stato turco, esso evita a sé e ai propri ufficiali di apparire davanti alla Corte penale internazionale perché lo Stato turco non ha firmato il sistema politico della corte di Roma [si tratta dello Statuto di Roma, in vigore dal 2002 – n.d.t.].
Per fare in modo che lo Stato turco e le sue fedeli milizie non evitino la punizione per i crimini che hanno commesso e ancora commettono in tutti i territori siriani occupati è necessario implementare i seguenti punti:
Il Consiglio di sicurezza deve prendere provvedimenti e mettere fine all’espansione turca all’interno dei territori siriani e indagare sull’assassinio della politica Hevrin Khalaf con un comitato speciale e trasmettere il suo dossier alla Corte penale internazionale.
Chiedere ai criminali di rendere conto dei loro crimini e ottenere giustizia per la segretaria generale del Partito del Futuro Siriano e per tutte le vittime civili in Siria.
Perciò, vi invitiamo a stare dalla nostra parte e sostenerci per far sentire la nostra voce e mettere pressione alle istituzioni internazionali affinché aprano il caso della politica Hevrin Khalaf e rendano giustizia a lei e alla sua famiglia.
Il confinamento provocato dalla crisi del Coronavirus ha incoraggiato la violenza contro le donne in tutto il mondo – perfino nelle regioni autonome della Siria del Nord e dell’Est. In soli due mesi e mezzo, 14 donne uccise per mano d’uomini, 16 suicide.
Il confinamento provocato dalla crisi del Coronavirus ha incoraggiato la violenza contro le donne in tutto il mondo – perfino nelle regioni autonome della Siria del Nord e dell’Est. Questa è la conclusione del rapporto frutto di una ricerca congiunta del Consiglio di giustizia delle Donne (Meclîs Edaleta Jinê) e delle strutture autonome delle donne delle forze di sicurezza interna, che è stato presentato domenica [28 giugno 2020] a Qamishlo. Durante le restrizioni iniziali adottate tra il 23 marzo e il 15 giugno, nella Siria del Nord e dell’Est 14 donne sono state vittime di femminicidio e altre 126 sono state colpite da violenza patriarcale [registrati inoltre 150 casi di violenza domestica, anche con minori coinvolti/e; secondo un recente rapporto dell’OMS, durante il confinamento per la profilassi del Coronavirus è aumentato nel mondo il numero delle donne vittime di violenza domestica – n.d.t.].
Nello stesso periodo c’è stato anche un massiccio aumento delle tendenze suicide tra le donne. In soltanto due mesi e mezzo, nell’intera regione autonoma 16 donne hanno messo fine alla propria vita e in 14 casi è stato registrato un tentato suicidio. Le organizzazioni delle donne attribuiscono questi dati allarmanti da una parte all’isolamento sociale, che è un fattore fondamentale di stress e può esacerbare i disordini mentali, d’altra parte alle misure di quarantena, terreno di coltura ideale per la violenza domestica. Poiché il suicidio spesso avviene quando i fattori di rischio si accumulano e le donne che hanno subito abusi o sono rimaste traumatizzate dalla guerra sono anche particolarmente portate al suicidio, la morte volontaria potrebbe essere stata l’ultima spiaggia e l’ultimo tentativo di resistenza da parte di queste donne per non accettare la situazione in cui sono state forzate. Per comparare: secondo un rapporto del Comitato delle Donne della Regione dell’Eufrate (Kongreya Star a Herêma Firatê), a Kobanê nel 2019 si sono suicidate 3 donne, l’anno precedente 14.
Il Consiglio di Giustizia delle Donne critica la mancanza di misure per combattere la violenza contro le donne in Siria del Nord e dell’Est. Fa appello perciò a tutte le istituzioni e organizzazioni delle donne nonché alle autorità e ai leader politici affinché sviluppino una strategia onnicomprensiva e comune per la prevenzione del suicidio. La lotta contro la violenza è complessa, ha detto il Consiglio, e perciò è necessaria la cooperazione intersettoriale.
“L’Unione dei Media delle Donne sarà la voce della rivoluzione, secondo le linee della verità, e condurrà l’avanguardia nel costruire un sistema nazionale democratico.”
I media delle donne della Siria nord-orientale hanno annunciato durante la loro terza conferenza l’istituzione dell’Unione dei Media delle Donne (Yekitiya Ragihandina Jinan, YRJ) nel discorso finale pronunciato dalla giornalista del canale satellitare Ronahi, Kazna al-Nabi, in lingua curda, e dalla giornalista dell’agenzia di stampa delle donne, Berivan Hasso, in lingua araba. Eccone il testo:
“Ai media e all’opinione pubblica […] Nella data del 28 giugno 2020, noi giornaliste della Siria del Nord e dell’Est abbiamo tenuto la nostra terza conferenza, con la partecipazione di 86 delegate dei media delle donne. Durante la conferenza, sono stati discussi gli sviluppi dettagliati nella regione e nel mondo e inoltre il ruolo e i compiti dei media, l’identità e la presenza delle donne nei media, i problemi vissuti dalle donne e l’impatto di tali problemi sulle società oppresse, che sono soggette ad attacchi dalla modernità capitalista in questo senso, e le difficoltà che i media delle donne devono affrontare sul piano intellettuale e organizzativo e i modi per risolverle.
La fase che la regione e il mondo stanno attraversando può definirsi una terza guerra mondiale e, con lo sviluppo di questa guerra, la lotta tra il sistema capitalista e la modernità democratica peggiora e si intensifica. I regimi autoritari potenziano pienamente la loro egemonia e influenza sulla società attraverso vari metodi di guerra; questo sistema prende di mira le donne e attraverso di loro l’umanità intera; tra i metodi messi in campo in questa guerra i media sono considerati il più potente, a causa del loro ruolo prominente e influente nel gestire e orientare le società intellettualmente, culturalmente e su altri piani.
Nel corso della storia dei popoli, i media liberi hanno rivestito un importante ruolo di fronte ai regimi autoritari maschilisti. Con lo sviluppo e l’avanzamento della via della rivoluzione in Kurdistan e nella regione, [è emersa la consapevolezza del]l’importanza di promuovere e sviluppare media liberi, che rappresentino il “colore” e il discorso delle donne. Col passare del tempo, i media asserviti al potere hanno lavorato per ridurre tutti i segmenti della società, specialmente le donne, sotto l’influenza della guerra psicologica e della politica del genocidio, per imporre il silenzio. Perciò, far udire la voce delle donne nel campo dei media è un urgente compito umanitario. Allo stesso tempo, organizzare la società da un punto di vista intellettuale e culturale e portarla all’acquisizione di una volontà libera è uno dei compiti dei media liberi delle donne. Finché la voce e il discorso delle donne saranno basati sui principi e i fondamenti della libertà e della democrazia, allo stesso modo la società sarà in grado di realizzare i valori della libertà e costruire un sistema di nazione democratica.
Noi giornaliste della Siria del Nord e dell’Est abbiamo sentito più che mai la necessità di costituire un’organizzazione unitaria, dunque dopo la terza conferenza abbiamo annunciato l’istituzione dell’Unione dei Media delle Donne (YRJ), fondata con l’obiettivo prioritario di diffondere la voce e la verità delle donne libere in tutto il mondo.
Le donne hanno un ruolo prominente e pionieristico nella storia dei media liberi e i media liberi delle donne hanno finora compiuto grandi sacrifici per far conoscere all’opinione pubblica la verità, e anche nella nostra regione le giornaliste hanno combattuto una lotta tenace di fronte alla guerra d’annientamento, occupazione e invasione, sacrificando la vita per far emergere la verità dall’oscurità alla luce e per andare avanti. La trasmissione dell’eredità delle donne che hanno cercato la verità è necessaria per raggiungere la solidarietà e unificare il discorso, così che, se le donne saranno capaci di costruire e rafforzare la propria organizzazione, saranno altrettanto in grado di rivestire il ruolo di leadership che loro spetta nella costruzione del sistema e della società libera e democratica.
Ancora una volta, ci congratuliamo con tutte le giornaliste per aver istituito l’Unione dei Media delle Donne e affermiamo che l’Unione dei Media delle Donne sarà la voce della rivoluzione, secondo le linee della verità, e condurrà l’avanguardia nel costruire un sistema nazionale democratico”.
Decine di organizzazioni e singole persone hanno sottoscritto un comunicato del comitato Women Defend Rojava di Madrid, condannando i continui attacchi da parte dello Stato turco contro la popolazione curda, in particolare per l’uccisione di tre compagne del Kongra Star, Zehra Berkel, Bedîea (Hebûn) Mele Xelîl e madre Emîna Weysi.
Le organizzazioni e i collettivi di donne da molti territori e Paesi, sindacati e librerie, politici, intellettuali e difensori dei diritti umani si scagliano fermamente contro l’uccisione, il femminicidio, il saccheggio e l’invasione perpetrati dallo Stato turco contro le popolazioni curde, e specialmente contro la violenza perpetrata sulle donne del Rojava, che sono l’anima della rivoluzione democratica, della liberazione delle donne e della rivoluzione ambientalista nella Siria del Nord e dell’Est.
Condanniamo il brutale assassinio delle compagne Zehra Berkel, Emîna Weysi e Bedîea Mele Xelîl per mano dell’esercito turco
Nella notte del 23 giugno, nel villaggio di Helince, nei pressi di Kobane (Kurdistan occidentale, Siria), droni dell’esercito turco hanno lanciato missili contro un’abitazione civile in cui si erano riunite varie donne. Come conseguenza di questo attacco sono morte Zehra Berkel, membro del Coordinamento del Kongra Star della regione dell’Eufrate, la madre Emîna Weysi e la nostra compagna Bedîea Mele Xelîl.
Queste tre donne lottavano fianco a fianco con altre migliaia di compagne curde, arabe, assire, circasse, yazide, della Siria nord-orientale, per poter vivere in una società democratica, libera, egualitaria e senza patriarcato.
Allo stesso tempo, a Besre, nella regione di Deir-ez-Zor, nell’est della Siria, ha avuto luogo un attacco brutale alla Casa delle Donne (Mala Jin), in cui le donne svolgono opera di mediazione in conflitti famigliari e di violenza di genere e danno appoggio alle compagne in situazioni vulnerabili. I crimini di guerra dello Stato fascista turco contro l’avanzare della libertà delle donne si sono intensificati.
La rivoluzione iniziata nel 2012, basata sulla democrazia radicale, l’ecologia sociale e la liberazione delle donne, ha continuato ad avanzare nonostante le pressioni e gli attacchi delle diverse forze egemoniche che fanno ingerenza nella regione e l’immenso dolore di veder morire più di 12.000 compagni e compagne nella lotta contro lo Stato Islamico nel corso di cinque anni. Le donne della Siria nord-orientale stanno conducendo una resistenza senza eguali contro le forze di occupazione dello Stato turco e i suoi alleati jihadisti.
Tutti gli alleati dello Stato turco sono parimenti responsabili di questi attacchi. La Coalizione internazionale e lo Stato russo sono responsabili del massacro delle nostre compagne. Li consideriamo responsabili e diciamo chiaramente che questi attacchi selvaggi dello Stato turco devono cessare e che gli Stati e le istituzioni internazionali non devono essere complici del femminicidio e del genocidio del popolo curdo.
Gli attacchi militari contro la società civile sono crimini di guerra. Puntare alle donne che organizzano la loro società e che rivestono un ruolo in politica è un crimine contro il futuro delle donne.
Per questo, facciamo appello alle donne e alle organizzazioni delle donne di tutto il mondo affinché assumano una posizione chiara contro questi attacchi e siano solidali con la resistenza delle donne del Rojava. Inoltre, chiediamo al popolo curdo e a tutti i suoi alleati di intensificare incessantemente la resistenza e agire contro il fascismo e il tradimento.
Lo Stato fascista turco è un assassino di donne. L’obiettivo del fascismo turco e del macellaio Erdoğan è il massacro delle donne che si organizzano per creare una società egualitaria.
Ancora una volta condanniamo questi attacchi barbari. Promettiamo alle nostre compagne Zehra, Bedîea e Madre Emîne di resistere in tutte le zone in cui la mentalità fascista e misogina si manifesti. Questo attacco rafforza la nostra decisione di cercare la libertà e ogni martire nella lotta illumina il nostro cammino e la nostra organizzazione. Garantiremo la libertà delle donne e di tutti i popoli con Zehra, Bedîea e Madre Emîne come nostra avanguardia.
La resistenza è vita!
Viva la resistenza delle donne che si organizzano, lottano e cercano la libertà!
Fermiamo l’occupazione e il massacro!
Women Defend Rojava Madrid 24 giugno 2020
Il presente comunicato, così come la lista delle organizzazioni aderenti, sarà pubblicato in rete e presentato alle istituzioni e ai media. Mandate la vostra adesione a: womendefendrojava-madrid@riseup.net
Vi esortiamo ad azioni creative in questi due giorni per dare una forte espressione comune alle nostre lotte contro il colonialismo, il fascismo, il patriarcato e il femminicidio, la distruzione ecologica e tutte le forme di oppressione in tutto il mondo.
Come Women Defend Rojava facciamo appello insieme a RiseUp4Rojava e alla Comune Internazionalista e anche a Make Rojava Green Again per le giornate d’azione mondiale del 18 e 19 luglio. Il 19 luglio segna l’ottavo anniversario della rivoluzione del Rojava. Vogliamo prenderla anche come occasione per connettere questa giornata con altre rivoluzioni della nostra storia, come la rivoluzione nicaraguense e spagnola e altre lotte in tutto il mondo. Questo è il motivo per cui vi esortiamo ad azioni creative in questi due giorni per dare una forte espressione comune alle nostre lotte contro il colonialismo, il fascismo, il patriarcato e il femminicidio, la distruzione ecologica e tutte le forme di oppressione in tutto il mondo e continuare la rivoluzione.
Qui sotto potete trovare l’appello per le giornate d’azione mondiale in italiano.
La Turchia è decisa a distruggere il baluardo della liberazione delle donne in Siria del Nord. Ma le donne del Rojava non si arrenderanno, scrive Dilar Dirik.
Dilar Dirik è attivista nel movimento delle donne curde e assegnista di ricerca al Centro Studi sui Rifugiati [Refugee Studies Centre] dell’Università di Oxford.
Donne a Qamishlo, la capitale di fatto del Rojava, protestano contro un accordo turco-russo che minaccia loro e le conquiste della loro rivoluzione. Delil Souleiman/AFP/Getty
Ogni giorno, presto, Ilham, una donna curda sui sessant’anni, si alza per andare alla sua Mala Jin – o Casa delle Donne – nella città di Qamishlo (Qamishli) in Siria del Nord. Là, con colleghe che vanno dalle ragazze adolescenti alle donne della sua età, prova ad aiutare nella risoluzione di questioni sollevate dalle donne del suo distretto.
Tra di esse ci sono la violenza domestica e i cosiddetti “delitti d’onore”. La Mala Jin aiuta le donne a lasciare partner violenti, supporta l’indipendenza economica e si organizza contro il sessismo e la violenza nella comunità. Ilham ascolta ed esamina casi individuali visitando le donne che si sono confidate con lei. Dalla creazione della prima Mala Jin nel 2012, il movimento delle donne le ha diffuse nei villaggi e nelle città. Sono considerate tra le istituzioni più efficienti che si occupano di questioni sociali delle donne e sono uno dei motivi per cui le persone fanno riferimento ai traguardi di questa regione come a “una rivoluzione delle donne”.
Molto prima che la coalizione guidata dagli USA contro l’ISIS venisse formata, le donne curde erano in prima linea nella guerra contro l’ISIS e gli affiliati di al-Qaeda in Siria del Nord – un’area che i curdi chiamano Rojava o Kurdistan occidentale. Nel 2013, le donne hanno formato le autonome Unità di protezione delle Donne (YPJ), che insieme alla loro controparte maschile, le Unità di protezione del Popolo (YPG) e ad altre unità, avrebbero formato le Forze Siriane Democratiche, che nel 2019 hanno messo fine al controllo territoriale dell’ISIS.
Le combattenti sono sempre state chiare sul loro essere una forza di autodifesa all’interno di un progetto di emancipazione più ampio, una rivoluzione sociale con la liberazione delle donne come cuore della lotta per una società libera.
Da luglio 2012, l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord e dell’Est ha fatto notevoli passi verso la concreta realizzazione dei diritti delle donne in tutte le sfere della vita. I suoi documenti legali sanciscono la parità di genere e il contrasto della violenza contro le donne come principi centrali.
In tutte le zone dell’amministrazione autogovernata è in atto un sistema di co-presidenza, in base al quale una donna e un uomo condividono il potere e la responsabilità equamente. Le donne sono negoziatrici politiche primarie per conto della loro regione. Ci sono molte comuni, assemblee, cooperative e accademie di donne partite dal basso. Ma tutto questo è sotto attacco da parte delle operazioni militari turche in Siria settentrionale.
“Ramo d’ulivo” e “Sorgente di pace”
Per anni, il governo di Erdogan in Turchia ha insistito che non c’è differenza tra l’ISIS e il sistema di autogoverno a maggioranza curda del Rojava. Entrambi sono visti come minacce terroristiche per la sicurezza nazionale turca. La Turchia ha lanciato due grandi operazioni militari con l’obiettivo di occupare queste regioni: “Olive Branch” [Ramo d’ulivo] ad Afrin nel gennaio 2018 e “Peace Spring” [Sorgente di pace] sull’area di confine tra Serêkaniyê (Ras al-Ain) e Girê Spî (Tell Abyad) nell’ottobre 2019.
L’esercito turco, il secondo più grande della NATO, è aiutato dal suo braccio armato che chiama l’“Esercito nazionale siriano”: un’unione di battaglioni con ideologie islamiste radicali, addestrati, armati e finanziati dalla Turchia.
Organizzazioni come Amnesty International hanno documentato i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani commessi dalla Turchia e dai suoi alleati ad Afrin.
Poco dopo aver lanciato “Peace Spring” lo scorso autunno, il presidente Erdoğan ha usato il linguaggio della pulizia etnica, dicendo che le aree che considerava parte della sua “zona di sicurezza” erano “inadatte per lo stile di vita dei curdi”, ma adatte per quello degli arabi. Come ad Afrin l’anno precedente, la Turchia pianifica di ridurre e sostituire la popolazione curda e far stabilire gli arabi nell’area.
I rapporti sui diritti umani sulla campagna della Turchia “Peace Spring” confermano assassinio, aggressione, rapimento, saccheggio e trasferimento forzato su larga scala e in modo sistematico – in accordo con i crimini di guerra e le violazioni dei diritti umani documentati ad Afrin. Secondo i numeri forniti dall’ONU, 100mila persone erano già state evacuate due giorni dopo l’inizio dell’operazione. Il numero è raddoppiato in due settimane.
Sul campo, il Centro Informazioni del Rojava [Rojava Information Center] documenta l’impatto delle invasioni turche sulla lotta tuttora in corso contro le cellule dormienti dell’ISIS. Il loro ritrovamento dimostra che l’ISIS è stato significativamente potenziato dalla brutale aggressione turca, e che i suoi membri fatti prigionieri sono in grado di fuggire e riunirsi.
Rapite, torturate e uccise
Ho visitato l’ultima volta la regione poco dopo l’invasione turca di Afrin nella primavera del 2018. All’Assemblea delle Donne di Manbij, donne di etnia turkmena, araba, circassa e curda, che hanno vissuto sotto l’ISIS per anni, parlavano dei loro nuovi progetti per trasformare le loro comunità e mettere fine alla violenza contro le donne. Una turkmena, un’insegnante, che aveva assistito a esecuzioni pubbliche, sottolineava che qualsiasi invasione turca sarebbe stata nociva per gli sforzi di coesistenza delle comunità e il risultato sarebbe stata violenza etnica e religiosa. I suoi timori sono stati confermati un anno dopo.
Per le donne, i luoghi occupati dai turchi come Afrin, dove le YPJ si sono formate per la prima volta, non sono più riconoscibili. Alle comunità non musulmane come quella yazida sono imposte ideologie estremiste e conversione forzata. Le donne sono quasi scomparse dalla sfera pubblica. Ogni singola struttura e organizzazione delle donne creata dal 2012 è stata sciolta dall’occupazione. Alcuni dati prodotti dalla ricercatrice Meghan Bodette, cui il New Internationalist ha avuto accesso, documentano dozzine di donne torturate e sequestrate a scopo d’estorsione. Un rapporto della Commissione d’inchiesta internazionale indipendente sulla Repubblica araba siriana afferma che “prendendo di mira quasi ogni aspetto della vita delle donne curde nel distretto di Afrin e – progressivamente – nelle aree colpite dall’operazione ‘Peace Spring’, i gruppi armati generavano timore palpabile di violenza e coercizione tra la popolazione femminile curda”.
Una delle atrocità documentate dell’invasione dello Stato turco ad Afrin è stata la mutilazione del cadavere della combattente YPJ Barin Kobane, filmato mentre veniva esposto, violentato e trascinato sul terreno, circondato da estremisti. Similmente, il cadavere della combattente YPJ Amara Renas è stato filmato mentre veniva abusato dalle squadracce alleate della Turchia. Tre giorni dopo l’inizio dell’invasione “Peace Spring”, Hevrin Khalaf, giovane attivista e leader del Partito della Siria del Futuro, è stata trascinata fuori dal suo veicolo, torturata e uccisa dalla Ahrar al-Sharqiyah, una delle forze estremiste all’interno dell’Esercito nazionale siriano appoggiato dalla Turchia, secondo un rapporto investigativo della BBC araba. Le uccisioni in forma di esecuzioni e la tortura sessualizzata di combattenti curde sono state comparate ai metodi impiegati dall’ISIS in passato, ma hanno una lunga storia anche nell’esercito turco.
Sosin Qamishlo, membro del consiglio militare della regione di Cizire e portavoce delle YPJ, mi ha detto: “Ai nostri occhi, l’ISIS e lo Stato turco sono forze di occupazione che condividono lo stesso metodo e la stessa logica. Prendendo di mira consapevolmente le donne in particolare, lo Stato turco e i suoi mercenari usano gli stessi metodi dell’ISIS per piegare la resistenza delle donne. I modi in cui i curdi, gli arabi, gli armeni, i siriaci, gli assiri e i turkmeni della regione hanno iniziato a organizzarsi sono una spina nel fianco sia per l’ISIS che per lo Stato turco”.
Appello a tutte le donne!
Evîn Swed, portavoce del Kongra Star, l’organizzazione-ombrello del movimento delle donne del Rojava, riferisce che nonostante le loro strutture siano state distrutte nelle aree occupate dalla Turchia, le attiviste hanno continuato ad organizzare le donne in autonomia anche da sfollate internamente in città limitrofe e campi profughi.
“Accettare l’occupazione non è un’opzione” dice. “Negli scorsi nove anni, questa regione e le diverse comunità che vivono in essa hanno resistito a ogni sorta di attacco e violenza, inclusi i piani per il loro trasferimento forzato”.
Evîn considera equivalenti la mentalità e i metodi impiegati dall’invasione turca e la natura patriarcale della violenza dell’ISIS, citando casi di stupro, molestie sessuali, uccisione, matrimonio forzato compreso quello minorile, tutto su base sistematica. “Ciò che tutti [gli aggressori] hanno in comune è una mentalità sessista e il desiderio di distruggere la volontà libera delle donne”.
Secondo Evîn, le donne che sono ancora in queste regioni e sono conosciute per il loro lavoro nel Kongra Star e nelle strutture affiliate sono minacciate e aggredite.
La pandemia del Coronavirus attualmente aggrava la crisi umanitaria preesistente causata dalle campagne militari turche. La stazione idrica di Alouk, situata a Serêkaniyê, è stata sequestrata dalla Turchia e dai suoi alleati e ora è utilizzata per interrompere il rifornimento idrico alle regioni curde. Secondo un comunicato pubblicato da Human Rights Watch nell’aprile 2020, queste misure riducono la disponibilità d’acqua per almeno 460mila persone nel governatorato di al-Hasakeh, che ospita decine di migliaia di rifugiati interni ma anche prigionieri dell’ISIS. All’inizio della primavera, la Turchia ha iniziato a bombardare la regione di Shehba (Shahba), dimora della popolazione evacuata di Afrin.
Nonostante questo cumulo di avversità, il movimento delle donne è determinato a continuare la lotta. In risposta alle invasioni turche, centinaia di migliaia di donne dalle diverse comunità della Siria del Nord sono scese in piazza. Nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, tutte le organizzazioni delle donne della Siria del Nord hanno organizzato grandi manifestazioni in tutta la regione con lo slogan “l’occupazione è violenza”. A queste azioni locali hanno fatto eco azioni femministe in tutto il mondo con la campagna “Women Defend Rojava”.
“Giorno e notte compiamo sforzi per lottare contro l’occupazione” dice Evîn. “Il nostro obiettivo è che queste aree siano liberate e il nostro popolo veda un ritorno dignitoso. Entrambe le cose devono essere guidate dalle donne organizzate e libere”. Similmente, Sosin riafferma la determinazione delle YPJ: “La mentalità sessista degli occupanti pensa che brutalizzare le donne renderà la popolazione pacifica, ma vediamo che sta accadendo l’opposto. Come YPJ, ma più in generale, come movimento delle donne della Siria del Nord e dell’Est, siamo più determinate che mai a lottare contro l’occupazione. Facciamo appello alle donne di tutto il mondo affinché stiano al fianco della rivoluzione delle donne. Come YPJ, presenteremo il conto agli occupanti con la resistenza. La resistenza è vita”.
Mano nella mano opponiamoci a tutte le forme di violenza. La catena che creeremmo unendo le nostre mani può creare un muro contro il sessismo, il razzismo e il colonialismo.
Traduciamo il comunicato delle Comunità delle Donne del Kurdistan – KJK(25 giugno 2020).
In tutto il mondo assistiamo all’aumento degli attacchi di sterminio contro le donne, con l’obiettivo di sopprimere e indebolire la nostra ricerca di libertà. Questo tremendo aumento di violenza contro le donne è direttamente correlato alla crisi del sistema capitalista patriarcale. Questo sistema continua la sua esistenza soprattutto sfruttando le donne; la crisi e la situazione caotica creata da questo sistema pone in grave pericolo le donne e tutte le società. Nuove ondate di attacchi sopraggiungono per spezzare la crescita della consapevolezza e della lotta delle donne. È più essenziale che mai per le donne del mondo sviluppare una comune strategia di resistenza contro questo sistema che sta cercando di massimizzare i profitti dalla condizione e dall’ambiente creati dall’ondata di Covid-19.
Come Movimento per la Libertà delle Donne del Kurdistan, che si è organizzato come erede della lotta universale delle donne per migliaia di anni, ci consideriamo parte del movimento globale delle donne e ci assumiamo responsabilità che vanno oltre i confini del Kurdistan. Da posti isolati del mondo attingiamo un’enorme carica dall’organizzazione e dalla resistenza delle donne e sappiamo che la lotta di liberazione che abbiamo intrapreso nei nostri territori dà forza e ispirazione alle nostre sorelle lontane migliaia di chilometri. Questo è vero per tutte le lotte locali delle donne. In questo momento, l’onorevole lotta per la libertà e l’uguaglianza delle donne sta crescendo ondata dopo ondata dalle nostre località per creare un oceano. Un vento che soffia da un lato del mondo può creare un’ondata o una marea in un’altra parte del mondo. L’energia all’interno delle lotte locali delle donne è immensa e chiamiamo questo stato organizzato il confederalismo democratico delle donne del mondo – e questo intimidisce il sistema patriarcale globale.
La libertà delle donne costituisce l’antitesi storica dello sfruttamento maschile. Poiché il problema delle donne costituisce la cellula staminale di tutti i problemi sociali, a sua volta l’entità sociale all’interno del sistema dominante che ha le contraddizioni strutturali più profonde è la donna. La liberazione delle donne perciò è l’unica area in cui tutti i nodi possono essere sciolti, che significa: il problema della libertà può evolversi in una soluzione reale. Il fatto che la crisi della modernità capitalista si rifletta soprattutto nel dilemma della libertà e della schiavitù delle donne è direttamente correlato a questa verità. Analogamente, il fatto che il sistema patriarcale globale stia combattendo sistematicamente per attaccare le donne è correlato a questa stessa realtà.
Gli attacchi misogini oggi sono aumentati al livello dello sterminio. Gli esempi e l’attuazione di questi stanno aumentando quotidianamente. In tutto il mondo bambini e donne sono esposti ad attacchi violenti e mortali da parte di uomini, forze statali e squadracce. Infatti, la maggiore pandemia che consiste nella violenza misogina e maschile non è mai stata così visibile in nessun momento della storia come ora. Perciò, per trasformare e ottenere risultati, soprattutto come donne, ma anche come società generica, dobbiamo focalizzarci sulla lotta alla pandemia della misoginia, originata dal virus patriarcale, ovvero la mentalità maschile. La nostra lotta e organizzazione deve servire a rafforzare le donne da una parte e a indebolire e superare la mentalità patriarcale dall’altra. Abbiamo urgentemente bisogno di sviluppare metodi di lotta che forniranno questo sia indirettamente che direttamente. Non dobbiamo dimenticare che la liberazione sociale è possibile soltanto con una rivoluzione mentale. Perciò, abbiamo il dovere di prendere di mira la mentalità patriarcale in modo costante, radicale e sistematico.
Questa mentalità è essenzialmente misogina. A questo punto, in cui la ricerca di libertà, la consapevolezza, la lotta e l’organizzazione delle donne sono in aumento, i loro nemici provano ad assicurarsi un’esistenza sviluppando contrattacchi. Queste nuove misure, che hanno portato a un aumento significativo nella violenza contro le donne, non possono essere spiegate soltanto con le condizioni create della pandemia del Covid-19; piuttosto, c’è un tentativo di beneficiare del fatto che la posizione della donna diventi più fragile sotto le proibizioni pandemiche e le condizioni di quarantena. Altrimenti, se attribuiamo l’aumento di per sé alle condizioni pandemiche, diamo per scontato che ci sarà una riduzione della violenza contro le donne alla fine della pandemia, che sarebbe un grave errore. Identificare la fonte del problema è il primo passo nello sviluppo di una soluzione. Le condizioni sono variabili, ma ciò che resta costante è la mentalità maschile che cerca opportunità costantemente. A questo proposito, dobbiamo vedere non soltanto la pandemia, ma anche come il periodo e le condizioni straordinarie in generale siano usate da questa mentalità per perpetrare crimini contro le donne.
Gli attacchi contro la lotta per la libertà delle donne curde, che ispira le sue sorelle in tutto il mondo con la sua resistenza, organizzazione e leadership di lotta rivoluzionaria, esemplifica questa realtà. Soprattutto in Rojava, dove si illumina il faro della rivoluzione delle donne, affrontiamo contrattacchi che aspirano all’annientamento della costruzione del sistema democratico. Questa volta non sotto il nome di ISIS, ma direttamente dello Stato turco fascista e i suoi mercenari islamici e con il supporto e l’approvazione esplicita o implicita dell’ordine patriarcale interstatale!
Questi attacchi fascisti alle donne che giocano un ruolo trainante nella rivoluzione sono stati ripetuti la notte prima di ieri [il 23 giugno 2020] a Kobane. Membri del coordinamento locale del Kongra Star, l’organizzazione-ombrello del movimento delle donne curde in Rojava, stavano visitando un villaggio appartenente a Kobane quando l’esercito turco ha messo in atto un attacco contro di loro. Tre donne curde sono state uccise in questo attacco mirato con un drone armato. Lo Stato turco, dopo aver occupato le città di Afrin, Serêkaniyê [Ras al-Ayn] e Girê Spî [Tell Abyad] e preparandosi ora a lanciare un attacco di occupazione a Kobane, ha deliberatamente scelto le donne come suo obiettivo. Questo perché Kobane è la città in cui l’ISIS è stato colpito per la prima volta sotto la guida delle donne. Kobane simboleggia la rivoluzione delle donne. Kobane, come città di resistenza, ha dato speranza e fiducia a tutti i popoli del mondo con la sua storica resistenza contro l’ISIS. Quando consideriamo che lo spazio aereo sopra Kobane è sotto il controllo russo, diventa chiaro che lo Stato turco conduce i suoi crimini di guerra e i crimini contro l’umanità con l’approvazione di forze statali misogine.
Un altro posto in cui il regime colonialista turco concentra i suoi crimini di guerra misogini è la città di Afrin, che rappresenta il limite occidentale del Rojava e della Siria settentrionale. Afrin è un luogo di grande valore simbolico per la rivoluzione delle donne del Rojava. Il sistema di co-presidenza è stato messo in pratica qui per la prima volta, le YPJ hanno dichiarato qui la loro istituzione e la prima martire della difesa delle donne è caduta qui. All’inizio del 2018, quando l’esercito turco ha invaso Afrin con carri-armati della NATO e gruppi di ISIS, né la Coalizione Internazionale né l’ONU o la Russia si sono opposti. La pulizia etnica è stata effettuata nella città di Afrin e nei villaggi circostanti che avevano una popolazione che era quasi completamente curda a quel tempo. Mentre la lingua curda è stato proibito, il turco e l’arabo venivano dichiarate lingue ufficiali, intanto l’interpretazione islamica omayyade dominava e veniva dichiarata la Sharia. Mentre la grande maggioranza delle persone di Afrin sono migrate internamente e sono diventate persone sfollate, quelle che non hanno lasciato le loro case stanno lottando per sopravvivere sotto il regime terrorista. Questa situazione non è diffusa soltanto ad Afrin, ma in tutte le città della Siria del Nord che lo Stato turco ha invaso e colonizzato.
Siamo consapevoli che non sia una coincidenza che crimini contro le donne, compiuti dallo Stato turco e dai suoi mercenari, stiano sistematicamente avvenendo ad Afrin, per trasformare la città-simbolo della rivoluzione delle donne in una città-simbolo della schiavitù delle donne. Oltre alla pulizia etnica e al genocidio culturale, si effettuano crimini contro le donne. Le donne e le giovani ragazze curde vengono rapite, imprigionate, stuprate, vendute come schiave in diverse città e corpi assassinati vengono lasciati a terra da gruppi islamo-fascisti pagati da Ankara (soprattutto con il denaro del cosiddetto “fondo per rifugiati” dell’UE dato alla Turchia). I crimini contro le donne a cui siamo esposte nelle città occupate in Rojava e Siria del Nord sono colonie turche approvate dalla NATO e dall’ONU, non diverse da ciò che ha fatto ISIS. Il fatto che le forze che provano a giustificare e legittimare il loro intervento in Afghanistan, basato sui diritti delle donne, rimangano in silenzio contro i crimini commessi contro le donne sotto il controllo dello Stato turco, rivela la complicità delle potenze e le vere intenzioni della NATO.
Crimini contro le donne sono perpetrati all’interno dei confini dello Stato turco, in linea con lo stesso concetto, ma con mezzi e metodi intensificati. Lo Stato turco ha preso potere dal coprifuoco per il Covid-19 che hanno proibito assembramenti e ha nominato funzionari fiduciari nelle municipalità delle città curde che avevano un sistema di co-presidenza in atto e arrestato i co-sindaci, ha concesso impunità ai perpetratori violenti di violenza sessuale e li ha rilasciati dalle prigioni sotto il nome di “perdono per il Corona” e legislazione “sposa il tuo stupratore”. Le donne che si oppongono e lottano contro ciò sono criminalizzate e arrestate. Da nessuna parte nel mondo le donne vengono tenute in ostaggio come prigioniere politiche come in Turchia. Le deputate elette e le co-sindache, le attiviste della società civile e le madri per la pace: sono centinaia o perfino migliaia le donne che hanno preso parte nelle attività politiche e sociali in Turchia che vengono imprigionate per i loro discorsi e pensieri. Poiché lo Stato turco sa che la resistenza sociale contro il regime fascista è pensata dalle donne, prova a intimidire e ricattare le donne, attraverso minacce, oppressione, violenza, detenzione e arresti. Non lo fanno solo direttamente con le loro forze, ma oltre agli ambienti di crisi sociale, politica, economica che hanno creato, promuovono tutte le forme di violenza contro le donne con la retorica e le politiche razziste, militariste e misogine. Come risultato, in Kurdistan settentrionale e in Turchia c’è un aumento di uccisioni di donne e di suicidi sospetti.
Lo Stato fascista turco, che non conosce confini nei suoi attacchi contro i curdi e le donne, concentra i suoi attacchi militari genocidi sul Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale). In generale dal 2007, ma specialmente negli ultimi 5 anni, la milizia turca sta effettuando attacchi aerei sul Kurdistan meridionale con sempre più crudeltà. Più recentemente, dozzine di aerei da guerra turchi hanno compiuto simultaneamente raid aerei su Şengal [Sinjar], la terra d’origine degli Yezidi [Yazidi], sul campo profughi di Maxmûr [Makhmour] con dodicimila abitanti e le aree di difesa di Meder [Medya] nella notte del 14 giugno. Il popolo di Şengal e Maxmûr non ha ancora superato il trauma degli attacchi di ISIS dell’agosto 2014 e sta ora affrontando attacchi genocidi da parte dello Stato turco. Gli attacchi aerei transnazionali dello Stato turco, che costituiscono crimini di guerra, non sarebbero e non potrebbero essere effettuati senza il consenso della NATO. Per questa ragione, oltre alla Turchia, l’intera NATO, specialmente gli USA, è colpevole e responsabile. Mentre cinque civili sono stati uccisi durante l’attuale ondata di attacchi da parte della Turchia, questi raid aerei turchi hanno un’influenza particolarmente negativa sulle donne. Centinaia di villaggi montani sono già stati evacuati a causa degli attacchi e i loro abitanti sono stati forzati a fuggire verso la città. Donne che partecipano attivamente alla produzione nei loro villaggi con agricoltura e allevamento vivono una vita isolata a causa della fuga in città. Questo inoltre rende la situazione politica, economica e sociale, che ha preso ora la forma di una crisi in Kurdistan meridionale, perfino più difficile per le donne. Come risultato, la violenza domestica contro le donne sta crescendo rapidamente e possiamo vedere un aumento dei femminicidi e dei suicidi sospetti.
La situazione in Kurdistan orientale (Iran) è simile. La politica conservatrice anti-donne dello Stato iraniano, che non è capace di affrontare la situazione attuale, porta ad un peggioramento costante della crisi. Questo inoltre genera una crisi sociale ed economica. Mentre l’attuale situazione di crisi in Iran colpisce tutti i gruppi etnici e religiosi nel Paese, i curdi subiscono attacchi più sistematici e concentrati. Lo Stato iraniano supporta gli attacchi aerei turchi sul Kurdistan meridionale con colpi di mortaio e granate. Inoltre, l’esercito iraniano ha dispiegato le sue forze nell’area di confine con l’Iraq, che è territorio curdo, e ha iniziato una nuova operazione militare. Questa nuova operazione contro i curdi giunge in un periodo in cui l’Iran è in difficoltà nella sua competizione per l’egemonia del Medio Oriente contro gli USA e la sua popolazione sta lottando contro il virus Covid-19 e una profonda crisi economica. Questo peraltro sta colpendo le donne sotto forma di accresciuta violenza e femminicidio.
I crimini contro le donne che affrontiamo in Kurdistan sono compiuti in un modo simile in tutto il mondo. A livello globale, c’è un aumento significativo della violenza contro le donne, nello specifico violenza domestica. È anche possibile vederlo con l’aumento delle chiamate alle linee di supporto create per le donne che sono state colpite da violenza domestica. Con l’epidemia da Covid-19, le chiamate alle linee di supporto contro la violenza domestica in Libano sono aumentate del 100%. Questo dato è aumentato del 142% in Colombia. Durante il periodo tra marzo e maggio, quando la quarantena era in vigore in Messico, 2338 vittime di violenza domestica hanno chiesto aiuto (il numero di donne che hanno chiamato la linea di supporto nello stesso periodo del 2019 è stato 735). Similmente è stato osservato un serio amento nelle violenze sessuali, specialmente contro le ragazze. Durante la quarantena di due mesi in Colombia, 2338 ragazze di meno di 14 anni sono state esposte alla violenza sessuale e allo stupro. Questi sono soltanto i dati riportati dai registri e la realtà è molto più alta.
L’aumento dei crimini contro le donne in tutto il mondo si nutre direttamente e indirettamente del nazionalismo, sessismo, religione e scienza su cui si basa la modernità capitalista. Perciò, non è una coincidenza che il razzismo e il fascismo stiano aumentando in linea con gli attacchi sessisti. In questo contesto, la supremazia bianca e la violenza statale, che sono state messe in atto per centinaia di anni contro le persone nere negli USA, sono istituzionalizzate strutturalmente, perciò così sdoganate oggi. Precisamente per questa ragione, è necessario costruire alleanze per lottare per la libertà delle donne, raggiunta in forma antirazzista, anticapitalista e anticolonialista. Insieme a questo, individui militarizzati e armati e attori non statali stanno sempre di più infiltrandosi negli spazi vitali delle persone, con implicazioni dirette sulla vita di donne e bambini. Sforzi per aumentare lo sfruttamento sessuale legittimando la prostituzione, basata su un falso senso di libertà, costituiscono un’altra dimensione dei crimini contro le donne. Di nuovo, dovrebbe essere compreso all’interno di questo contesto che le donne che sono costrette nel settore informale, a cui manca ogni tipo di sicurezza, sono suscettibili di attacco e sfruttamento. Da una prospettiva più ampia, è ovvio che vengono compiuti svariati crimini contro le donne e la mentalità maschile dominante prova a trarre benefici dalle condizioni portate dalla pandemia del Covid-19.
Con questi sviluppi, come risponderemo agli attacchi sistematici della guerra che affrontiamo come donne, come ci difenderemo, come ci opporremo, come organizzeremo la resistenza? Questo è il punto su cui dobbiamo focalizzarci proprio ora e la nostra diligenza e le valutazioni dovrebbero servire a questo. Altrimenti, se ci focalizziamo soltanto sugli attacchi e guardiamo la situazione attuale soltanto come crimini contro le donne, possiamo rischiare di disperarci. Comunque, una delle ragioni per cui il sistema patriarcale è diventato così aggressivo è l’ascesa della nostra lotta, che sta rafforzando le donne. Non siamo l’anello più debole, al contrario, siamo il potere sociale che sfida il sistema globale!
Con la consapevolezza del nostro potere e dell’epoca in cui viviamo, possiamo opporci agli attacchi ideologici, politici, economici, militari, fisici e spirituali del sistema patriarcale-capitalista globale, che punta a intimidirci, trattenerci e soggiogarci. Li possiamo indebolire ulteriormente e rendere la lotta per la libertà delle donne una materia pratica per l’epoca rivoluzionaria delle donne del XXI secolo. Non è detto tanto per dire, ma in quest’epoca, con i colori della libertà delle donne, dell’ecologia e della democrazia dovremmo assicurare la rivoluzione delle donne. Come prova la loro aggressione, dobbiamo ricordare che i processi rivoluzionari hanno bisogno di lotta e resistenza feroci. Siamo già in un processo di lotta feroce, perciò la nostra opposizione deve essere per natura conseguentemente feroce.
Il sistema punta a individualizzarci, dividerci e isolarci perché sanno molto bene che noi, come donne, otteniamo la nostra forza dall’unità, dalla solidarietà e dall’organizzazione. Perciò non una singola donna dovrebbe essere sola o camminare da sola; partire dall’accoglierci, supportarci e difenderci l’una con l’altra a livello locale è il primo passo.
Secondo, dobbiamo trasformare le nostre reti in strutture organizzate. Con la consapevolezza che il percorso di libertà passa attraverso l’organizzazione, dovremmo risolvere tutti i problemi che affrontiamo, dalla salute all’economia, dalla legge alla politica, dalla società alla cultura, dalla stampa agli sport, dalla famiglia al territorio, e sviluppare soluzioni basate sul nostro potere autonomo e sulla nostra auto-organizzazione. A prescindere dal problema, il nostro obiettivo principale dovrebbe essere sviluppare soluzioni con la mente e la consapevolezza collettiva delle donne. Con ogni sfida che supereremo, ci rafforzeremo ulteriormente individualmente e collettivamente e indeboliremo il sistema maschile dominante che prova a soggiogarci.
Terzo, dovremmo puntare alla mentalità patriarcale nella lotta contro il sistema a dominazione maschile, poiché è questa mentalità che riproduce la violenza. Non possiamo assicurare le nostre vittorie senza trasformare questa mentalità, che è prevalente in tutte le sfere e gli aspetti sociali della vita con le sue relazioni di potere. Perciò, dobbiamo analizzare la mentalità maschile dominante in profondità, analizzare come è stata sistematizzata, portare a galla i suoi codici e costruire la nostra forza radicale di autodifesa contro di essa. Non dovremmo mai accettarla, dobbiamo svelarla, esporla e isolarla. Come donne, dovremmo collettivamente raggiungere consapevolezza su di noi e ciò che ci circonda. In questa direzione dovremmo creare piani di formazione e azione. Dobbiamo rendere inaccettabile la mentalità patriarcale per le donne e la società. Nel fare questo, dobbiamo anche vedere la sua stretta connessione al nazionalismo, razzismo, sessismo, secolarismo, colonialismo e resistere creando una mentalità di libertà.
Quarto: come gruppo, organizzazione o movimento di donne dovremmo costruire il nostro sistema basato su una mentalità di liberazione. Costruire un sistema democratico autonomo di donne significherà rendere praticabile questa mentalità di liberazione. Con la costruzione comune di strutture autonome basate sul confederalismo democratico, senza indebolire l’unicità locale e senza creare strutture centralizzate, si possono marginalizzare i poteri dello Stato dominante. Per limitare il dominio del sistema dominante, dobbiamo espandere le nostre aree di libertà. Mentre cresciamo, diventano più piccoli, mentre diventiamo più forti, diventano più deboli, mentre ci espandiamo, loro si restringono.
È esattamente il momento che ciò avvenga! Gli attacchi patriarcali contro le donne che cercano emancipazione non ci faranno indietreggiare. Trasformiamo ogni area della vita in una lotta contro la mentalità patriarcale e il suo sistema. Mano nella mano opponiamoci a tutte le forme di violenza. La catena che creeremmo unendo le nostre mani può creare un muro contro il sessismo, il razzismo e il colonialismo. Attraverso la nostra mentalità di liberazione possiamo costruire il nostro mondo democratico di confederalismo delle donne. Possiamo farlo, è il suo momento! Portando a termine storicamente la seconda più grande rivoluzione delle donne in tutto il mondo possiamo demolire il sistema maschile dominante dal Kurdistan a Minneapolis, da Ciudad Juarez a Kandahar, da Kharrtoum a Madrid!
25 giugno 2020 Coordinamento KJK (Komalên Jinên Kurdistan – Comunità delle Donne del Kurdistan)
Chiediamo a tutte le donne di difendersi, di organizzarsi e combattere, combattere ogni femminicidio. L’uccisione delle nostre compagne non passerà impunita ed essa rafforza ancora di più la nostra organizzazione.
Traduciamo il comunicato da Women Defend Rojava (26 giugno 2020).
Migliaia di donne vengono uccise ogni settimana. Milioni affrontano la violenza maschile ogni giorno. Siamo tutte prese di mira dalla mentalità patriarcale. E non rimarremo inerti di fronte a ciò – siamo pronte a difenderci e a mettere fine al femminicidio e alla mentalità patriarcale una volta per tutte.
La recente uccisione delle nostre compagne è stata un ulteriore segnale del fatto che il femminicidio stia aumentando in tutto il mondo e di come il fascismo attacchi le donne che si organizzano. Credono che la loro brutalità ci farà arrendere, ma questo è perché, con la loro mentalità patriarcale, non comprendono la volontà delle donne di essere libere.
La nostra storia come donne è una storia di resistenza. Perché la resistenza è ciò che ci ha permesso di difenderci dalla violenza dello Stato e dalla sua mentalità patriarcale, che ha bisogno di schiavizzare le donne per mantenere il potere. Questo è il motivo per cui uccide le donne che non si arrendono, il motivo per cui temono le donne libere.
In Kurdistan, le donne stanno assumendo il loro ruolo nella resistenza e si stanno opponendo allo Stato fascista turco e ai suoi alleati criminali, che siano gruppi jihadisti, Russia, USA o altri Paesi della NATO, che stanno prendendo di mira direttamente le donne compiendo femminicidi. Nel resto del mondo, milioni di donne attraverso la resistenza stanno creando a loro volta una sorgente di vita, in contrasto con la distruzione portata avanti dal patriarcato, contro il femminicidio che è in aumento in ogni angolo del mondo.
Le donne di qualsiasi territorio, cultura, gruppo etnico o religione hanno deciso di opporsi a ogni aggressione che cerchi di prendersi le nostre vite: come donne difendiamo la nostra esistenza, i nostri territori, le nostre culture e le nostre società.
E non combattiamo da sole. L’uccisione delle nostre compagne è stata un attacco a tutte le donne che si organizzano, un tentativo di alienarci perché sanno che l’organizzazione è la nostra arma migliore. Organizzate non solo resisteremo per difenderci, ma metteremo anche fine al femminicidio.
Chiediamo a tutte le donne di difendersi, di organizzarsi e combattere, combattere ogni femminicidio. L’uccisione delle nostre compagne non passerà impunita ed essa rafforza ancora di più la nostra organizzazione. Chiediamo che questa forza venga replicata per fare passi avanti, per rafforzare i nostri legami dal livello più locale al livello globale, per generare l’ondata di donne libere che cancellerà il pensiero patriarcale una volta per tutte e mettere fine al femminicidio e a ogni forma di violenza contro le donne.
Il seminario era parte di un programma contro la violenza alle donne, iniziato due giorni fa e rivolto a un pubblico misto.
Deir Ez-Zor – 20 giugno 2020
Nella regione siriana orientale di Deir ez-Zor il movimento delle donne ha organizzato un seminario nel villaggio di Abu Hamam.
Il seminario era parte di un programma contro la violenza alle donne, iniziato due giorni fa e rivolto a un pubblico misto.
In un intervento introduttivo Sherazad Kasim ha parlato delle diverse forme di violenza e dei loro effetti psicologici e sociali, sottolineando che le donne sono private dei diritti da molte tradizioni di vecchia data.
I partecipanti hanno quindi espresso le loro opinioni sull’argomento e infine posto domande alle quali le relatrici hanno risposto.
Come coordinamento del Kongra Star, condanniamo totalmente gli attacchi ai membri del Kongra Star nella regione dell’Eufrate Zehra Berkel, Bedîa (Hebûn) Mele Xelîl e madre Emîna Weysi.
ALL’OPINIONE PUBBLICA E ALLA STAMPA INTERNAZIONALE
Come coordinamento del Kongra Star, condanniamo totalmente gli attacchi ai membri del Kongra Star nella regione dell’Eufrate Zehra Berkel, Bedîa (Hebûn) Mele Xelîl e madre Emîna Weysi.
Il popolo curdo e i suoi amici stanno combattendo una lotta e una resistenza senza eguali ovunque contro l’occupazione dello Stato fascista turco. Il nostro popolo, e in particolare le donne come avanguardia, danno tutto ciò che hanno per una società etica, libera e inclusiva. Così come hanno fatto le nostre martiri immortali Hevrin Xelef e la madre Aqîde.
I crimini di guerra dello Stato fascista turco contro la marcia verso la libertà delle donne si sono intensificati. La notte del 23 giugno, nell’attacco via drone dello Stato turco al villaggio di Helence, alla periferia di Kobane, Zehra Berkel, membro del Coordinamento del Kongra Star della regione dell’Eufrate, madre Emîna Weys e la nostra compagna Bedîa Mele Xelîl sono rimaste uccise. La città di Kobane e l’intera regione dell’Eufrate erano controllate in coordinamento con le forze russe.
Inoltre, a Besre, a Deir-ez-zor, è stato effettuato un brutale attacco alla Casa delle Donne (Mala Jin).
Riteniamo anche tutti gli alleati dello Stato turco responsabili di questi attacchi. La coalizione internazionale e lo Stato russo sono responsabili del massacro delle nostre compagne. Li riteniamo responsabili e chiediamo loro di non essere complici del femminicidio e del genocidio del popolo curdo. Ribadiamo che questi attacchi brutali da parte dello Stato turco devono cessare.
Più le donne conoscono il nostro pensiero e si organizzano, più sono temute dalle forze nemiche. All’interno del sistema di occupazione omicida e fascista non c’è posto per l’esistenza delle donne. Difendiamo noi stesse, la nostra conoscenza e le nostre vite. Ecco perché gli attacchi dell’invasore turco sono rivolti soprattutto alla nostra esistenza, alle nostre vite e ai nostri spazi.
Soprattutto ora, a giugno, il popolo e le donne curde, ovunque si trovino, stanno portando avanti lotta di resistenza incomparabile per difendere i loro valori. Pertanto, questi attacchi sono ora continui e senza controllo. Gli attacchi militari contro la società civile sono crimini di guerra. Prendere di mira le donne che organizzano la loro società e che hanno un ruolo in politica è un crimine contro il futuro delle donne.
Questo è il motivo per cui chiediamo alle donne e alle organizzazioni di donne di tutto il mondo di prendere una chiara posizione contro questi attacchi e di mostrare solidarietà alla resistenza delle donne curde. Inoltre, chiediamo al popolo curdo e a tutti i suoi amici di intensificare la resistenza e di agire contro il fascismo e il tradimento.
Lo Stato fascista turco uccide le donne. L’obiettivo del fascismo turco e del macellaio Erdogan è il massacro delle donne che si stanno organizzando.
Ancora una volta condanniamo questi attacchi spietati. Promettiamo nel segno della lotta delle nostre compagne Zehra, Bedîea e madre Emîne che resisteremo in qualunque luogo in cui si manifesti la mentalità omicida e fascista. Questo attacco rafforza il nostro impegno a cercare la libertà e ogni martire illumina la nostra lotta e la nostra organizzazione. Garantiremo la libertà delle donne e di tutti i popoli con Zehra, Bedîea e madre Emîne come nostra avanguardia.
SEHÎD NAMIRIN– I martiri non muoiono!
BIJÎ YEKITIYA JINÊN RÊXISTINKIRÎ, TEKOŞER Û AZADÎXWAZ– Lunga vita alla resistenza delle donne che organizzano, combattono e cercano la libertà!
BIMRE ÎXANET, DAGIRKERÎ Û QIRKERIRIN– Morte al tradimento, all’occupazione e al massacro!
Questa sera [martedì 23 giugno 2020 alle 19:30] i droni armati dello Stato turco fascista hanno bombardato il villaggio di Helincê, a sud-est di Kobane. Lo Stato turco fascista ha colpito direttamente un’abitazione civile, uccidendo almeno tre donne. Zehra Berkel, dirigente del coordinamento di Kongra Star, il movimento delle donne nella regione dell’Eufrate, Emine Weysî [la proprietaria dell’immobile e Hebon Mull Khalil, anch’essa dirigente di Kongra Star].
Questo è un attacco diretto contro noi donne! L’ennesimo femminicidio commesso dallo Stato turco fascista, mirato contro la nostra organizzazione autonoma e la nostra lotta per la liberazione delle donne!
Da anni le donne dell’Amministrazione autonoma del nord-est della Siria si sono organizzate e si battono contro la mentalità patriarcale e per una trasformazione della società fondata sulla libertà delle donne. Fin dall’inizio il Kongra Star, il movimento delle donne del Rojava, ha svolto un ruolo fondamentale nella liberazione delle donne, avendo come obiettivo costitutivo la loro organizzazione e il loro rafforzamento. Anche in questo caso si tenta di distruggere queste loro conquiste – com’è stato evidente nell’ottobre 2019, durante l’ultima invasione turca, con l’assassinio di Hevrin Khalaf, segretaria generale del Syrian Future Party ed esempio del ruolo delle donne nel cammino verso la propria liberazione.
Nel nord-est della Siria continuano le aggressioni, la guerra sporca, l’occupazione da parte della Turchia e dei mercenari jihadisti al suo servizio. Lo dimostrano gli attacchi di questa sera e la situazione delle donne nelle zone occupate come Afrin: ogni giorno si ha notizia di donne sequestrate o uccise dai mercenari jihadisti appoggiati dallo Stato turco.
Tali aggressioni vanno ad aggiungersi alla guerra dichiarata al popolo curdo e alla rivoluzione delle donne da parte dello Stato turco e dal suo regime fascista portata avanti con gli attacchi e i bombardamenti nel Bashur (Kurdistan meridionale, Iraq) e con repressione in Bakur (Kurdistan settentrionale, Turchia), dove vengono arrestati attiviste, attivisti e parlamentari impegnati nel realizzare politiche femministe e per i diritti delle donne – che mira a proseguire un colpo di stato incentrato sull’attacco alle donne.
Inoltre, non possiamo dimenticare che l’aggressione sferrata oggi a Kobane è avvenuta a due giorni dall’anniversario del massacro che venne commesso proprio qui, nella città simbolo della resistenza e della sconfitta del fascismo dello Stato Islamico. Infatti, cinque anni fa, il 25 giugno 2015, truppe jihadiste entrarono in città indossando l’uniforme delle YPG e vi uccisero 252 persone fra cui 35 bambine e bambini e 64 donne. Lo Stato turco e lo Stato islamico si contraddistinguono per la stessa mentalità brutale.
Per questo facciamo appello alle donne di tutto il mondo perché alzino le loro voci e condannino i crimini di guerra perpetrati dallo Stato turco e denuncino le responsabilità della Russia nel controllo della fly zone sopra Kobane e quelle di tutti gli Stati membri della NATO e di tutte le organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite che continuano a far passare sotto silenzio le violazioni dei diritti umani commesse in ogni parte del Kurdistan.
Women Defend Rojava fa appello a tutte le donne affinché s’impegnino nella difesa del Rojava e del Kurdistan dal fascismo, organizzando azioni, manifestazioni e assemblee, diffondendo informazioni sulle atrocità dello Stato turco, facendo pressioni su coloro che si sono resi responsabili. Prendete posizione in quanto donne per difendere la vita dal fascismo. Donne di tutto il mondo, organizziamoci insieme per l’autodifesa! Basta con la mentalità patriarcale!
Sappiamo molto bene che fino a oggi, grazie ai nostri sforzi e al nostro impegno, abbiamo ottenuto grandi cose. Bisogna preservare e sostenere questi valori e l’impegno di tutti.
La notte del 14 giugno, lo Stato turco fascista e invasore ha bombardato con i suoi velivoli militari la regione di Şengal, il campo profughi di Maxmur e le aree di difesa di Medya.
Il Kongra Star condanna con fermezza questi attacchi crudeli e disumani sul nostro popolo e sulle nostre regioni. Lo Stato turco di nuovo sta tentando di affermare la sua esistenza attraverso gli attacchi nei confronti del popolo curdo. Questo attacco dimostra che lo Stato fascista ha paura del popolo curdo e in particolare delle donne curde.
Questi attacchi non ci metteranno a tacere né ci intimidiranno perché siamo un popolo ribelle. La nostra resistenza corrisponde alla nostra esistenza ed è legittima. Questi attacchi crudeli indeboliscono lo Stato fascista turco, mentre la nostra resistenza ci rende ancora più forti. Ad ogni attacco sale la nostra rabbia contro il fascismo e la mentalità assassina.
Nel 1915 l’Impero Ottomano si è reso responsabile del genocidio di Seyfo contro i popoli assiri, caldei e aramaici. Milioni di persone sono state vittime del fascismo ottomano. Ancora oggi lo Stato turco fascista continua con questa brutalità. Persegue una politica di negazione e distruzione contro un popolo che resiste e ama la libertà, e attacca la nostra regione.
Questi attacchi dello Stato fascista e assassino violano tutti i principi umanitari e le leggi internazionali. In questo momento questi attacchi sono concentrati in Iraq, Kurdistan meridionale. Con essi sono state inflitte gravi ferite alla natura e alla società. Di fronte a queste azioni dello Stato turco le vergognose dichiarazioni del governo di Baghdad non sono sufficienti.
Il governo iracheno, il governo regionale del Kurdistan e soprattutto il parlamento regionale del Kurdistan hanno una responsabilità morale e devono dare delle risposte. Questi attacchi non dovrebbero essere permessi. Allo stesso tempo, il popolo iracheno non deve accettare questa aggressione, deve prendere posizione. La cultura del popolo resistente in Kurdistan meridionale è degna di rispetto. La società del Kurdistan meridionale deve proteggere il suo territorio, la sua vita e la sua cultura. Questa è una lotta senza precedenti, caratterizzata da un’avanguardia di donne.
Coloro che non accettano questo tradimento e questo attacco devono alzare la voce e prendere posizione. Questi attacchi hanno avuto luogo mentre erano in corso trattative per far partire un processo di unità nazionale. Si vogliono fermare questi tentativi di unire i curdi. La volontà del popolo curdo e delle donne curde si esprime nell’unità nazionale e in una nazione democratica. I nemici del popolo curdo sono consapevoli di questo, perciò vogliono impedire che questo processo abbia luogo.
Sappiamo molto bene che fino a oggi, grazie ai nostri sforzi e al nostro impegno, abbiamo ottenuto grandi cose. Bisogna preservare e sostenere questi valori e l’impegno di tutti, specialmente delle donne del Kurdistan meridionale, delle organizzazioni e delle istituzioni delle donne e prendere posizione contro l’occupazione, il genocidio, lo stupro e gli attacchi brutali. Questa occupazione e il tradimento vengono agiti principalmente contro le donne. Di fronte a questo tradimento si deve alzare la voce delle donne.
Nel frattempo lo Stato turco sta attaccando anche il Kurdistan occidentale (Rojava) con lo scopo di soffocare la voce della rivoluzione. Si vuole operare un cambiamento demografico: le popolazioni presenti nelle aree occupate dallo Stato fascista dovrebbero essere sostituite con gruppi di jihadisti. Tutto questo continuando quotidianamente a commettere crimini di guerra come rapimenti, stupri, uccisioni, arresti, rapimenti mirati di donne, bambini e giovani. Ma fino a oggi la comunità internazionale è rimasta in silenzio, un silenzio che lascia perplessi.
Il fascismo dello Stato turco e le sue minacce in tutto il mondo si rafforzano grazie al silenzio delle organizzazioni internazionali. E per questo le sue azioni criminali non si fermano. Questo si può vedere anche negli attacchi ai politici e all’intera popolazione del Kurdistan settentrionale e nelle brutali devastazioni delle tombe e dei corpi dei nostri martiri. Ma il popolo curdo non è solo. Mandiamo i nostri saluti e il nostro amore agli amici del popolo curdo che prendono posizione contro lo Stato turco fascista e fanno di tutto per mettere a conoscenza l’opinione pubblica di questi attacchi. Ciò che fate mette a nudo i crimini di guerra e gli attacchi quotidiani dello Stato turco. Queste azioni dei nostri amici sono anche un omaggio alla resistenza delle donne.
Ribadiamo la nostra condanna di queste atrocità e chiediamo alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità. Fermate questi attacchi! Chiediamo che la nostra lotta, che vede come avanguardia le donne e i giovani, venga rafforzata fino alla sconfitta del fascismo e dell’occupazione.
Bimre dagirkerî u xiyanet – Abbasso gli invasori e il tradimento! Bijî têkoşîna jinan – Lunga vita alla lotta delle donne! Bijî yekîtiya gelê kurd – Lunga vita all’unità del popolo curdo!
Aderiamo all’appello pubblicato da Rete Kurdistan per una mobilitazione organizzata per il 27 giugno alle ore 17.
Come Rete Jin aderiamo all’appello pubblicato da Rete Kurdistan (9 giugno 2020) per una mobilitazione per la tutela dei diritti umani e la liberazione dei detenuti politici in Turchia, organizzata per il 27 giugno alle ore 17.
“Dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio 2016, il governo turco ha dichiarato lo stato di emergenza. È stato rinnovato ogni tre mesi per un periodo totale di due anni. Lo stato di emergenza è stato applicato senza nessun quadro giuridico ed è stato concepito e utilizzato come strumento autoritario di repressione contro vari gruppi di opposizione della società. Innumerevoli sono state le violazioni perpetrate dal governo turco: diritti umani, libertà di stampa, diritto ad eleggere ed essere eletti/e, diritti sociali ed economici; oltre che libertà individuale e sicurezza personale. Il governo turco ha utilizzato lo stato di emergenza per ignorare la costituzione e i trattati internazionali, per minacciare col terrore la popolazione e reprimere i gruppi di opposizione: per deprivarli dei loro diritti economici e sociali fino ad arrestarli legittimamente. Sebbene lo stato di emergenza sia stato ufficialmente rimosso, continua ad essere applicato nelle province curde. Agendo attraverso i decreti legge il governo turco ha esautorato, tra il 2016 ed il 2018, ben 95 delle 102 municipalità e arrestato 93 sindaci. I nostri ex co-presidenti Selahattin Demirtaş e Figen Yuksedag sono tra i 15 deputati di HDP (Partito Democratico del Popolo) arrestati e si trovano ancora dietro le sbarre. Nel mese di maggio 2020 sono state depositate presso l’Assemblea Nazionale turca i procedimenti di revoca dell’immunità parlamentare di 19 deputati di HDP tra cui Pervin Buldan (co-presidente del partito), Sezai Temelli, Saliha Aydeniz, Remziye Tosun, Ömer Faruk Gergerlioğlu, Şevin Coşkun, Feleknas Uca, Meral Danış Beştaş, Musa Farisoğulları , Tayip Temel , Ebru Günay, Kemal Bülbül, Pero Dündar, Nuran İmir, Gülistan Kılıç Koçyiğit, Ayşe Acar Başaran, Dersim Dağ, Mensur Işık, Ömer Öcalan.
La sconcertante repressione politica nei confronti dei/delle democratiche/i continua a pieno regime in Turchia. Il 4 giugno 2020 i deputati di HDP Leyla Guven e Musa Farisoğulları e il deputato del CHP (Partito repubblicano del popolo) Enis Berberoğlu sono stati privati del loro mandato parlamentare e incarcerati. Sebbene Leyla Guven e Musa Farisoğulları avessero l’immunità parlamentare dopo essere stati eletti come deputati nel 2018, il procedimento in tribunale contro di loro non è stato sospeso ed è proseguito. Il 24 settembre 2019 la Suprema corte di appello ha emesso la propria sentenza di condanna: nove anni di pena detentiva per Musa Farisoğlulları e sei anni per Leyla Guven sulla base di accuse fantasiose collegate al terrorismo. Il 22 maggio a Diyarbakir un’operazione di polizia ha preso di mira l’associazione di solidarietà delle donne Rosa e 12 attiviste, tra cui l’ex sindaca di Bostanici Gulcihan Simsek e Havva Kiran delle Madri della Pace, sono state arrestate e incarcerate.
Più di 5.000 funzionari e militanti di HDP si trovano al momento incarcerati/e per il loro impegno politico e ciò rappresenta un altro sintomo di come il regime turco non tolleri alcuna forma di opposizione, reprimendo e privando della libertà tutti coloro che si oppongono al governo turco.
Alla privazione della libertà personale si accompagnano i trattamenti inumani e degradanti cui vengono sottoposti in carcere, che hanno raggiunto il massimo dell’abominio durante l’attuale pandemia del COVID 19.
Il regime turco ha infatti di recente emanato un provvedimento di amnistia che ha interessato circa 90.000 detenuti condannati per reati talvolta di notevole gravità e pericolosità sociale escludendo dal beneficio tutti i condannati per reati di natura “politica” e tutti i prigionieri politici in attesa di processo in palese violazione degli articoli 2 e 10 della Costituzione turca, nonché dell’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tutto ciò ha impedito la liberazione di circa 50.000 detenuti tra i quali migliaia di politici, membri del parlamento, sindaci curdi, intellettuali, rappresentanti delle ONG, attivisti per i diritti umani, studenti, artisti, giornalisti.
L’attuale pandemia del COVID 19 ha inoltre ulteriormente peggiorato le condizioni delle persone recluse. Il 28 aprile il Ministero degli Interni ha affermato che sono stati rilevati 120 casi COVID-19 in 4 diverse carceri. Il 22 maggio il Ministero ha annunciato 82 casi COVID-19 nella sola prigione di Silivri e che un detenuto era morto. Sulla base dei rapporti delle famiglie e degli avvocati dei detenuti il numero di casi COVID-19 nelle carceri è molto più elevato. I reparti e i corridoi delle carceri non vengono puliti regolarmente. I prodotti per la pulizia vengono venduti nelle mense carcerarie a prezzi elevati e molti detenuti non possono permettersi di acquistarli. Maschere e guanti non sono regolarmente distribuiti nelle carceri di tutto il Paese. Le autorità turche non seguono molti principi e linee guida emanate dall’Organizzazione mondiale della sanità, del CPT (Comitato Prevenzione Tortura) dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa. Tutto questo consente una maggiore diffusione del virus senza che siano assicurate ai reclusi le cure necessarie; è chiaro l’intento di decimare i prigionieri politici senza che nessuno sia in grado di controllare quanto avviene all’interno delle carceri turche.
La pandemia di Covid-19 rappresenta inoltre un grande rischio per la salute e la vita umana e le donne e i bambini sono particolarmente vulnerabili non protetti contro l’epidemia.
Rivendichiamo il diritto ad un esistenza libera e dignitosa di ogni essere umano ed i principi cardine affermati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ripresi da Convenzioni e Trattati del diritto internazionale che tutelano i diritti umani e le libertà fondamentali, che devono essere assicurati a uomini e donne indistintamente in ogni parte e nazione del globo, quali che siano le loro opinioni politiche, il loro credo religioso, il loro orientamento sessuale o il Paese di provenienza, in particolar modo in Turchia dove questi stessi diritti vengono sistematicamente violati.
A tale fine chiediamo a tutti coloro che su tali principi fondamentali del Diritto si riconoscono ed agiscono di aderire sia singolarmente che nelle formazioni sociali o politiche cui appartengono, al presente appello rivolto ad assicurare il rispetto dei Diritti Umani in Turchia e la liberazione dei detenuti politici, condividendone e sottoscrivendone il contenuto e nel contempo realizzando iniziative e presidi in ogni paese europeo e città italiana il giorno:
27 giugno 2020 alle ore 17
Per ottenere la liberazione di tutte le persone che a causa delle loro opinioni politiche in Turchia sono private della loro libertà personale, tra le quali tutte le persone co-sindaco, consiglieri/e comunali e provinciali dell’HDP, così che gli/le stessi possano esercitare la pubblica funzione rivestendo la loro carica e nel contempo sia rispettata la libera espressione della volontà popolare come normalmente accade in ogni Stato di Diritto;
Perché siano tutelati i diritti fondamentali dei prigionieri politici ristretti nelle carceri turche, anche mediante la concreta applicazione delle linee guida redatte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, del CPT e dei commissari per i diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa, così che i detenuti possano essere preservati dagli effetti nefasti del COVID 19;
Per assicurare ai prigionieri politici i benefici di legge concessi ad altri detenuti senza che venga attuata alcuna discriminazione a loro danno;
Per assicurare una esistenza Libera e Dignitosa ad ogni persona, con particolare riguardo alle donne ed ai bambini che in Turchia godono di minori tutele e sono perciò maggiormente esposte ed esposti a discriminazioni soprusi;
Per sostenere ogni altra forma di denuncia e manifestazione di solidarietà per la Libertà di Espressione e di Pensiero affinché anche in Turchia possa essere assicurata la Libertà di Opinione garantita in ogni Stato democratico.
In tal senso chiediamo
ai Governi, agli Organi e Rappresentanze Internazionali quali le Nazioni Unite, al Comitato per la prevenzione della tortura (CPT), l’Unione Europea, Amnesty International ed ogni altra organizzazione che opera a tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, affinché esercitino le necessarie pressioni politiche e diplomatiche sulla Turchia con l’urgenza che la situazione attuale richiede così da poter salvaguardare la vita e le libertà fondamentali di tutti/e coloro che in quello stato sono perseguitati e sottoposti a restrizione della loro libertà personale a causa soltanto delle loro opinioni politiche legittimamente manifestate.
Ufficio informazione del Kurdistan in Italia, Rete Kurdistan Italia
Ieri sera la crudeltà dello Stato turco si è manifestata ancora una volta nel territorio del Kurdistan, questa volta in Bașûr (Kurdistan meridionale, Iraq). Il regime fascista di Erdogan ha segnato l’inizio della cosiddetta operazione “Claw-Eagle” [artiglio d’aquila] con intensi bombardamenti.
Questi attacchi si aggiungono ad altri portati avanti nella guerra contro il popolo curdo dichiarata dallo Stato turco e dal suo regime fascista. Nel Nord e nell’Est della Siria continuano gli attacchi, la guerra sporca e l’occupazione da parte dello Stato turco e dei suoi mercenari jihadisti. In Bakur (Kurdistan settentrionale, Turchia) procedono con una forma di colpo di Stato che mira a imprigionare tutta l’opposizione.
Le bombe di ieri sera in Bașûr hanno colpito il campo profughi di Makhmour, le montagne di Qandil e la regione dello Şengal (Sinjar). L’obiettivo degli attacchi dello Stato turco è ancora una volta la popolazione civile; sono stati attaccati i villaggi, il campo profughi e persino l’ospedale di Zerdest.
La popolazione yazida, che vive nell’area di Şengal (Sinjar) e che dopo il tentato genocidio da parte dell’ISIS ha potuto gradualmente tornare, è di nuovo presa di mira da un fascismo spietato, questa volta rappresentato dallo Stato turco. È, una volta di più, la dimostrazione che le pratiche dello Stato turco siano le stesse dell’ISIS.
Per questo motivo chiediamo a tutte le donne del mondo di opporsi ai crimini di guerra commessi dallo Stato turco, di denunciare la responsabilità di tutti gli Stati membri della NATO e di tutte le organizzazioni, come le Nazioni Unite, che fanno finta di nulla di fronte alle violazioni dei diritti umani commesse in tutto il Kurdistan.
Come Women Defend Rojava chiediamo alle donne di difendere il Kurdistan dal fascismo e di organizzare azioni, manifestazioni o raduni. Vi chiediamo di diffondere le atrocità dello Stato turco e di fare pressione sui responsabili di questa situazione.
Assumiamoci insieme il nostro ruolo di donne e difendiamo la vita contro il fascismo.
Abbiamo dato il via a una campagna di raccolta fondi della durata di sette mesi, supportata con entusiasmo già da una trentina di artist*, che punta a raccogliere 30.000€ e andrà a sostenere le spese per l’acquisto di un’ambulanza per Jinwar.
Avere una possibilità di sottrarsi alle imposizioni del sistema di vita patriarcale e di creare qualcosa di diverso: una vita piena, vissuta comunitariamente. Questo hanno fatto decine di donne a Jinwar nel Nord Est della Siria, dove, dal novembre 2018, esiste un villaggio di sole donne, costruito con materiali naturali ed ecosostenibili, puntando alla completa autosufficienza, grazie alle energie rinnovabili e alla produzione agricola. Ci sono il forno, l’accademia, la scuola ed ora anche un centro di salute e cura: Şifa Jin, che come Rete Jin e Cisda (Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane) intendiamo sostenere con il crowdfunding “Arte per Jinwar. Sosteniamo l’ecovillaggio delle donne, dove la vita è rivoluzione”. Una campagna di raccolta fondi della durata di sette mesi, supportata con entusiasmo già da una trentina di artist* che hanno donato al progetto opere grafiche, pittoriche e fotografiche e la loro forza creativa.
Jinwar ha vissuto momenti drammatici negli ultimi mesi. Il villaggio ha rischiato di essere evacuato dopo che la Turchia, nell’ottobre del 2019, ha invaso il Nord Est della Siria. Da subito però le abitanti hanno deciso di difendere il proprio progetto e la propria autodeterminazione, nonostante gli attacchi che da più parti sta subendo l’intera regione.
L’invasione della Turchia ha comportato saccheggi (anche in un ospedale, a Serakanye) in una regione in cui l’embargo dura già dal 2012. Nel cantone di Afrin, occupato nel gennaio 2018, tra rapimenti e violenze di mercenari jihadisti ed esercito turco, continua la resistenza guidata dalle donne. L’esercito turco prosegue la sua sporca guerra, incendiando campi agricoli e abitazioni nelle zone di confine, come in prossimità di Til Tamer, bloccando, in piena pandemia, l’acquedotto di Alouk, e privando delle risorse idriche milioni di persone nella provincia di Heseke. L’invasione turca ha inoltre rinvigorito l’ideologia jihadista, favorendo l’aumento di attentati.
In questo scenario, le donne di Jinwar stanno costruendo un’alternativa pratica e concreta. E lo stanno facendo con amore e bellezza, curando la vita giorno per giorno. L’arte, espressione della creatività, non può che affiancare il percorso di questa preziosa comunità. Anche noi, a distanza, speriamo che la bellezza trasmessa dalle persone creative coinvolte nel nostro crowdfunding ne generi altrettanta con un aiuto concreto al villaggio
Ringraziamo Cisda per il supporto, chi ha messo a disposizione la propria arte e coloro che vorranno sostenere il crowdfunding, visitando la pagina:
Questo sistema è istituito attraverso sforzi coordinati alla democratizzazione, all’educazione e alla decostruzione all’interno della società di gerarchie patriarcali, sociopolitiche, economiche e culturali.
Nell’ultima settimana negli Stati Uniti con l’insensata uccisione di George Floyd abbiamo visto venire alla luce un altro orribile caso di brutalità da parte della polizia. In seguito alla risposta inadeguata della polizia, si è scatenata pubblica indignazione poiché i quattro agenti di polizia responsabili sono stati soltanto “licenziati” senza ulteriori conseguenze. Sono iniziate rivolte e proteste di massa in molteplici città e tuttora sono in corso. Il comune grido degli oppressi si è concentrato attorno all’idea di “niente giustizia, niente pace”. Questo fenomeno solleva la questione essenziale su come un sistema profondamente radicato in una storia sanguinaria fondata sulla supremazia bianca, il capitalismo e il colonialismo, possa mai fornire giustizia vera e significativa. Alcuni chiedono di riformare la polizia. Altri hanno chiesto la redistribuzione dei fondi. Alcuni hanno obiettato che abolire la polizia sia la migliore opzione. Molti, perfino a sinistra, non riescono neanche a immaginare che questa opzione sia praticabile.
Eppure, questo sistema esiste già in Rojava, la regione ad amministrazione autonoma della Siria del Nord. In Rojava la combinazione delle forze delle Asayîş e delle HPC (Forze di Difesa Civile) opera insieme in una relazione simbiotica per fornire incolumità e sicurezza alla comunità. Le Asayîş agiscono sul controllo del traffico, arrestano criminali, proteggono vittime di violenza domestica, servono come guardie di sicurezza nei principali edifici di governo e controllano il flusso in entrata di persone e merci da un cantone all’altro. Le HPC invece sono persone in un dato quartiere, formate alla sicurezza di base. Controllano soltanto il loro quartiere a meno che non debbano proteggere il popolo durante festival, cerimonie per i martiri, eventi locali e veglie notturne. La funzione di entrambe le forze è esplicitamente la protezione del popolo, specialmente da minacce esterne come le forze terroristiche. Sono sempre le HPC che proteggono il quartiere, mai le Asayîş. Le Asayîş proteggono la “città”, le HPC la “comunità”. L’organizzazione di entrambe consiste in almeno il 40% di donne, se non di più.
Le possibilità di istituire gerarchie di potere e autorità sono considerevolmente ridotte con questo metodo alternativo. Il popolo protegge il popolo, le persone con cui vive e con cui interagisce quotidianamente. La vicinanza delle “forze di sicurezza” alla comunità, essendo parte dello stesso quartiere, assicura che le violazioni non accadano. Dove accadono, sono attivati immediatamente attraverso le comuni di quartiere meccanismi comunitari di giustizia, rispetto e reintegrazione. Il monopolio su questo processo è inoltre prevenuto incoraggiando chiunque a partecipare attraverso un sistema di turnazione. Chiunque può diventare volontario. Questo include esplicitamente gli anziani, in particolare le donne come fonti di protezione civile. Non c’è niente di più impoterante, niente che ristori l’animo di una comunità traumatizzata e devastata dalla guerra che vedere le matriarche di un quartiere ergersi disinvoltamente agli angoli delle strade brandendo AK-47 per la protezione del popolo. Al contrario delle immagini terrificanti di brutalità da parte della polizia negli USA, queste immagini non ispirano paura e terrore. Ispirano fiducia nella comunità, orgoglio, dignità, appartenenza e autostima. Naturalmente, in Rojava gli anziani devono assumersi più responsabilità perché la maggior parte dei giovani uomini e donne stanno ancora combattendo al fronte nella guerra contro i terroristi di ISIS.
L’ecologia sociale di questo sistema è protetta attraverso la promozione della partecipazione delle donne, un profondo rispetto del multiculturalismo e della sacralità dell’ecologia. Questo sistema è istituito attraverso sforzi coordinati alla democratizzazione, all’educazione e alla decostruzione all’interno della società di gerarchie patriarcali, sociopolitiche, economiche e culturali. Non è abbastanza creare semplicemente istituzioni alternative senza compiere significativi sforzi educativi all’interno della società. Questo è l’unico modo in cui può avvenire un cambiamento a lungo termine, significativo e organico.
Due HPC locali in servizio sulla strada nella città di Derik, cantone di Cezîre, 2016. Copyright: Hawzhin Azeez.
Per rieducare la società, le persone entrano spesso in accademia per 1, 2 o 3 mesi alla volta. Questo è su base volontaria, ma anche per ciascun ramo dell’istituzione governativa. Per esempio, il Ministero dell’Educazione sceglierà a turno un gruppo di trenta insegnanti alla volta da far accedere alle accademie. Le persone continuano ad essere pagate durante questo processo. Le donne con bambini possono portarseli dietro e affidarli all’assistenza infantile gratuita mentre passano settimane studiando e imparando doveri civili, diritti democratici, liberazione di genere, sostenibilità ecologica, storia del capitalismo e altro. Tutti partecipano alle pulizie quotidiane, alla cucina e alla gestione del centro di formazione mentre sono lì. La coesistenza comunitaria è promossa come uno sforzo deliberato e consapevole di riorganizzazione e riformulazione della società. Questi stessi membri della classe tornano nella comunità e si uniscono alle Asayîş, alle HPC, alle comuni, alle cooperative e ai consigli locali. Le persone sono incoraggiate a prendere parte su molteplici livelli a processi decisionali e di partecipazione.
Comunque, prima che fosse resa possibile l’istituzione di questo sistema alternativo, c’era bisogno che emergesse un’ideologia alternativa che fornisse un progetto per questa società ideale e democratica. Questo sistema funziona basandosi sulla teoria del confederalismo democratico del leader curdo Abdullah Öcalan, ispirata dall’ecologia sociale del teorico americano Murray Bookchin. Uno dei valori fondamentali del confederalismo democratico è l’approccio anti-gerarchico alle strutture comunitarie e alla coesistenza, partendo dal difficile compito di promuovere la liberazione e la partecipazione delle donne in tutte le sfere dell’arena pubblica. Una quota di partecipazione del 40/60% deve esistere in tutte le strutture amministrative e decisionali. Questo include anche il sistema di co-presidenza in cui tutte le posizioni di leadership sono rette da un uomo e una donna. Essenzialmente, un sistema basato sulla promozione attiva di uguaglianza attraverso processi etici, religiosi e decisionali è fondamentale per far funzionare questo sistema anti-gerarchico. Questo sistema si basa anche sul fondamento che le istituzioni con un alto livello di partecipazione delle donne tendono ad essere più inclusive e democratiche per natura. Secondo Öcalan:
Il grado in cui una società può essere trasformata a fondo è determinato dall’entità della trasformazione realizzata dalle donne. Similmente, il livello della libertà e dell’uguaglianza della donna determina la libertà e l’uguaglianza di tutte le sezioni della società. Perciò, la democratizzazione della donna è decisiva per l’istituzione permanente di democrazia e laicismo. Anche per una nazione democratica, la libertà delle donne è di grande importanza, poiché la donna liberata costituisce la società liberata. La società liberata a sua volta costituisce la nazione democratica.
L’orientamento ideologico del Rojava tende a sovvertire tutto quello che sappiamo sullo Stato, sulla pace, la liberazione e la coesistenza. È esplicitamente anti-gerarchico in tutte le forme. Dal concepimento del sistema di Westfalia, le minoranze divise e colonizzate hanno vissuto sotto Stati-nazione artificiali e autoritari. Un sistema escludente, violento e gerarchico che insegna che la diversità è l’antitesi del patriottismo e del nazionalismo. La diversità deve essere sacrificata sull’altare sanguinario dello Stato-nazione con una lingua, una bandiera, un’identità e un mito nazionale. Questa storia ha insegnato agli oppressi, agli espropriati e ai senza Stato che soltanto ottenendo uno Stato possono raggiungere la liberazione. Questo processo, comunque, porterebbe naturalmente all’oppressione di altre minoranze poste all’interno dei confini di quello Stato. Invece con Bookchin e Öcalan è emerso un progetto alternativo in cui gli odi primordiali e le fratture etnico-religiose di lunga data potrebbero essere risolti attraverso un modello radicale dal basso di confederalismo democratico. Il confederalismo democratico unisce il ricco mosaico di culture e religioni in una società arricchita che prospera sulla diversità anziché tentare di cancellarla per servire gli interessi di un particolare gruppo dominante.
Molte persone di sinistra hanno fatto l’errore di credere che questo implichi che tutte le espressioni di identità nazionale debbano essere cancellate. Che tutto il “nazionalismo” curdo, armeno, assiro e yazida non dovrebbe essere espresso. Questa è una prospettiva profondamente orientalista ed euro-centrica. Chiedere agli yazidi di smettere di essere yazidi o ai curdi di smettere di essere curdi serve soltanto gli interessi delle forze imperialiste e genocide che hanno istituito le loro ideologie fondanti sulla cancellazione di minoranze profondamente oppresse. Di contro, in Rojava questo significa che tutte le culture dovrebbero vivere liberamente, esprimendo la ricca bellezza delle loro antiche culture e dei loro colori, con altre culture altrettanto liberamente esistenti. Significa patriottismo nel sentire orgoglio per la propria identità, combinato con meccanismi decentralizzati di coesistenza basati sulla decostruzione attiva di gerarchie di potere. Questo significa esplicito rispetto per il multiculturalismo, non di chiedere alle minoranze etnico-religiose oppresse e colonizzate di formare una “cittadinanza” alternativa basata sulla negazione di tutto ciò per la cui preservazione hanno combattuto attraverso i secoli di assimilazione forzata. Il Rojava sostiene che la diversità sia essenziale e sia la spina dorsale di una nazione democratica.
In Rojava questo ha significato che le scuole si gestiscono sulla base delle tre lingue più diffuse, ovvero il curdo, l’arabo e il siriaco. I segnali stradali sono scritti in tutte e tre le lingue. Le minoranze come gli armeni hanno maggiore capacità decisionale e “seggi” in più nei consigli decisionali per assicurare che la volontà della maggioranza non venga emanata a discapito delle minoranze. Le chiese distrutte vengono attivamente ricostruite e rese visibili, i festival multiculturali vengono promossi; arte, cultura, musica, letteratura di differenti culture sono presentate fianco a fianco. La diversità è promossa, supportata, incoraggiata, celebrata e non cancellata, temuta o uccisa.
In questo sistema, le persone sono incoraggiate anche alla partecipazione alla società civile in modo che gli interessi e i bisogni vengano espressi attraverso meccanismi alternativi oltre alle linee etnico-religiose. Questo riorientamento civico funziona soltanto quando le persone non si sentono minacciate per le loro identità culturali. In questo modo l’alienazione, la frammentazione e le ansie coloniali vengono evitate e si creano molteplici e interconnesse vie di appartenenza ed espressione politica. Ugualmente, la partecipazione politica e civica è incoraggiata e attesa. La de-politicizzazione, l’apatia e il non coinvolgimento sono visti come l’antitesi della società democratica.
Questo sistema perciò ricrea il corpo civico lungo una diversa psicologia di liberazione. Decostruisce odi e oppressioni interiorizzati verso sé e gli altri. Disassembla pratiche coloniali e capitaliste di alterità e cancellazione in ciò che Eduardo Galeano chiama i “nessuno”. Questi nessuno sono meno che l’Altro. Essi sono “i nessuno: figli di nessuno, proprietari di niente…i nessuno, i senza corpo, che corrono come conigli, morendo nel corso della vita, fregati da tutte le parti.” Affinché qualsiasi ideologia di liberazione abbia successo deve ricreare un sé, un qualcuno, da quelli che sono stati resi l’Altro, i nessuno.
Il Rojava ha decostruito tutte le forme di razzismo o le strutture di classe o i pregiudizi di genere o altre pratiche di discriminazione? Sicuramente no, ma sta attivamente ristrutturando la società in modo da poter evitare ed eliminare queste oppressioni alla ricerca di una società veramente democratica. È perciò importante non romanticizzare il Rojava, ma guardarlo razionalmente con l’intenzione di capire come funzionano le cose, cosa non funziona e quali correzioni sono necessarie. L’innovazione è essenziale tanto quanto evitare i dogmatismi è vitale per raggiungere una società giusta e democratica. Nelle parole di Murray Bookchin: “se non facciamo l’impossibile, dovremo confrontarci con l’impensabile.”
La lezione essenziale è che il mondo alternativo che immagini esiste già e funziona, ferito e abbandonato, ma ancora in vita; nonostante la mancanza di sostegno da parte della sinistra internazionale, nonostante le ripetute invasioni, annessioni, colonizzazioni, pulizie etniche e utilizzo di armi chimiche illegali contro di esso da parte della Turchia e delle sue forze terroristiche delegate. La disumanità e la violenza di cui ha avuto esperienza la comunità nera negli USA sono state profondamente scioccanti e traumatizzanti per quelli con una coscienza e per quelli che desiderano costruire comunità basate sul rispetto reciproco, l’umanità, la cooperazione e il sostegno. Per far emergere questa società alternativa in luoghi come gli Stati Uniti, le rivoluzioni del popolo del Terzo Mondo devono essere considerate più seriamente e attivamente studiate ed emulate. Si devono imparare lezioni, porre domande, scambiare idee e mettere in atto cambiamenti innovativi per adattarsi alla struttura sociopolitica specifica delle diverse società.
L’intera ecologia sociale del sistema americano è stata distrutta dalla povertà di massa, dalla disparità di reddito, dal furto di salario, dalla mancanza di assistenza sanitaria e di abitazioni, dall’incarcerazione di massa, dalla distruzione degli ecosistemi e dall’acqua potabile avvelenata. L’arresto e l’incarcerazione non soltanto di Derek M. Chauvin, ma anche degli altri tre poliziotti responsabili dell’uccisione di George Floyd, possono funzionare soltanto come sforzi simbolici verso la giustizia. La brutalità della polizia è legata ad una pratica sistemica di molteplici e intersecanti strati di violenza, oppressione e ingiustizie. Dobbiamo domandarci cosa sia la giustizia vera, duratura ed efficace. Niente che non sia vicino all’abbattere l’intero sistema ingiusto, fondato sull’oppressione delle persone nere, potrà mai avvicinarsi ad essa.
Come curdi, guardiamo attraverso il Medio Oriente mentre le comunità nere e alleate insorgono in tutti gli Stati Uniti. Esultiamo per il loro coraggio rivoluzionario, per la loro dedizione risoluta alla giustizia e per il desiderio di libertà; il loro grido di libertà riecheggia nei nostri cuori – entrambi battono al ritmo della libertà negata; e nonostante le nostre catene possano essere diverse, sostanzialmente affrontiamo lo stesso sistema oppressivo che continua ad ucciderci e ad imporci varie violenze. Con il Rojava, abbiamo assicurato che un mondo alternativo sia possibile. Ora dobbiamo lasciare che la solidarietà sia il ponte che ci unisce.
Leyla Güven, parlamentare dell’HDP di Hakkari, ha inviato un messaggio dal carcere all’agenzia JinNews: “Il momento più buio della notte è il momento più vicino al nuovo giorno. Siamo molto vicini al successo. Non siamo noi quelli in una situazione difficile” ha detto.
Leyla Güven, parlamentare dell’HDP di Hakkari, che è stata privata dell’immunità giovedì, ha inviato un messaggio dal carcere all’agenzia JinNews: “Siamo i rappresentanti di un popolo le cui identità, cultura ed esistenza sono negate” – aggiungendo – “non è facile rappresentare un popolo che sacrifica tutto per affermare la propria esistenza.”
Güven ha continuato: “Ma come donne curde, eravamo Sara a Parigi, Arin Mirkan in Rojava, Avesta Xabur in Bashur e abbiamo resistito, siamo sopravvissute. Dopo tutto, siamo le succeditrici di una tradizione di lotta. Non è necessario essere una deputata per rappresentare il popolo curdo. Continueremo la nostra lotta in tutte le aree della vita, proprio come le nostre compagne prima di noi.”
Güven ha concluso il suo messaggio con le seguenti parole: “Come donna curda do la mia parola al nostro popolo. Ci sarò in qualsiasi fase della lotta del popolo curdo per la libertà. Invio il mio amore e rispetto a tutto il nostro popolo, specialmente al popolo di Hakkari. Possano i cuori del nostro popolo essere immensi. Il momento più buio della notte è il momento più vicino al nuovo giorno. Siamo molto vicini al successo. Non siamo noi quelli in una situazione difficile.”
La guerra della Turchia è diretta contro le conquiste delle donne. Intervista con il Consiglio di Jinwar (Meclisa Jinwar).
Il 25 novembre 2018, dopo una lunga fase di costruzione, il villaggio delle donne, Jinwar, è stato aperto in Rojava/Siria del Nord. Jinwar è ampiamente conosciuto come un luogo di vita collettiva per donne. In seguito all’invasione turca, che è iniziata il 9 ottobre 2019, Jinwar è in pericolo. Amargî Lêgerin della campagna Women Defend Rojava ha parlato col consiglio di Jinwar di come le donne del villaggio organizzino la loro vita quotidiana in tempo di guerra e di quali siano i loro piani per quest’anno.
Quali sono i motivi per fondare un villaggio per le donne e quali sono i vostri obiettivi?
Quando mangiamo la zuppa e beviamo il tè insieme oggi sotto il sole invernale di mezzogiorno, facciamo fatica ad immaginare che esattamente nel luogo in cui siamo sedute proprio ora, dove sorgono le case di fango che ci tengono al caldo, dove la vegetazione sta spuntando di nuovo dalla terra, dove migliaia di alberi che abbiamo piantato stanno crescendo e dove all’alba il fumo sale dal camino del forno, dove parliamo insieme dei piani per il villaggio – che in questo luogo la terra giaceva incolta circa tre anni fa.
Le discussioni sulla fondazione del villaggio sono andate avanti per un po’ di tempo. Il comitato di costruzione del villaggio era già stato fondato nel 2016. Il suo obiettivo era costruire un villaggio ecologico in cui le donne potessero vivere insieme in modo autodeterminato.
Attraverso la fondazione di Jinwar, stiamo contribuendo alla storia delle donne. Nel passato, le donne avevano relazioni vivaci di solidarietà con ciò che le circondava – con la natura e le persone – e perciò giocavano un ruolo speciale nella società. Tramandavano il linguaggio e la cultura. E preservavano la conoscenza di come organizzare le diverse aree della vita, quali l’assistenza sanitaria e materiale, che avevano sviluppato per il beneficio della società e degli individui. I valori sociali quali il rispetto, la solidarietà e la cura erano il cuore della vita insieme. Vivere insieme con queste basi assicura l’esistenza della società e perciò la vita e la libertà dell’individuo.
Una società può essere democratica soltanto se le donne partecipano attivamente alla sua formazione e si organizzano in tutte le aree della vita.
Se osserviamo gli sviluppi in Rojava e Siria del Nord, vediamo che le donne stanno giocando un ruolo chiave nella lotta contro lo Stato Islamico (ISIS) e altri gruppi jihadisti e nel costruire e ricostruire un’auto-organizzazione democratica in tutte le aree della società.
Costruendo Jinwar come parte dell’autogoverno autonomo, abbiamo usato la nostra conoscenza ed esperienza, la nostra forza e creatività, per costruire un posto in cui noi donne possiamo liberarci dalle relazioni dove siamo viste soltanto come oggetti.
Allo stesso tempo, stiamo sviluppando uno stile di vita comunitario ed ecologico che coincide con le forme di resistenza e conoscenza per cui le donne sono state essenziali in tutti i periodi storici. Il villaggio è basato sull’idea di autogoverno, che significa che tutte le donne si prendono responsabilità le une per le altre e per l’intero villaggio. Un obiettivo del villaggio è sviluppare e rafforzare una personalità libera nelle donne e nei bambini: diventare una parte attiva della vita comune, supportarsi, credere nella nostra forza e conoscenza, crescere, prendersi responsabilità, sviluppare capacità di risolvere i conflitti e i problemi pratici di ogni giorno.
Come descrivereste Jinwar?
Jinwar è un posto in cui noi, come donne, prendiamo decisioni insieme e organizziamo tutte le aree delle nostre vite in modo comune – questo vale per l’educazione, l’assistenza sanitaria e il supporto materiale.
In questo senso Jinwar è un passo enorme verso una vita significativa e libera in quanto donne.
Probabilmente uno dei più importanti fondamenti di Jinwar è la ricchezza di esperienza che tutte le donne portano con sé, che diventano esperienze collettive attraverso la vita insieme.
Attraverso la nostra vivace interazione quotidiana, condividiamo le esperienze, iniziamo a conoscere meglio noi stesse, il nostro ambiente e la nostra società e a sviluppare relazioni basate sul rispetto, il mutuo sostegno e la solidarietà. In questo modo creiamo la base per una coesistenza pacifica. Vogliamo essere un esempio e mostrare che una vita in comune, incentrata sulle donne, è possibile.
Come hanno influito gli attacchi dell’invasione turca sulle donne e i bambini in generale e cosa significano per il villaggio delle donne?
Gli attacchi della Turchia e dei suoi alleati sulla Confederazione della Siria del Nord e dell’Est hanno avuto luogo con il pretesto di creare una “security zone”. Per creare questa cosiddetta zona di sicurezza, la Turchia insieme alle forze alleate ha attaccato Afrîn nel gennaio 2018 e dal 9 ottobre 2019 ha attaccato Serê Kaniyê, Gire Spî e altre città e villaggi. La modalità della Turchia di creare una zona di sicurezza nel Nord della Siria è quella di occupare il territorio per espellere, derubare, uccidere coloro che sono radicati in quel territorio.
Le donne sono soggette a molteplici forme di violenza in questi attacchi. Molte donne sono state stuprate, violentate, fatte sposare contro il loro volere, vendute e schiavizzate. La legge della Sharia è stata introdotta ad Afrîn e ora anche a Serê Kaniyê e Gire Spî.
Tutto questo ha avuto enormi effetti sulla psiche delle donne e dei bambini.
Inoltre, tutti questi attacchi sulle donne e i bambini non avvengono per caso. Durante gli attacchi sia ad Afrîn che a Serê Kaniyê e Gire Spî, sono state uccise soprattutto donne e bambini. Il femminicidio è una tattica bellica. La storia mostra fino ad ora che sono le donne che tengono insieme la società, che hanno resistito più strenuamente all’oppressione e allo sfruttamento e che hanno costruito modi di vivere in comune come alternativa alla mentalità maschile distruttiva.
Attaccare i bambini significa attaccare il futuro e l’esistenza della società.
La politica di invasione e occupazione ha un impatto sull’autorganizzazione quotidiana delle donne.
Grazie ai grandi risultati raggiunti dalle donne, alla loro resistenza instancabile e alle innumerevoli lotte, negli ultimi anni sono stati creati molti luoghi e si sono stabilite relazioni, all’interno della cornice dell’organizzazione autonoma delle donne, che sono di grande importanza. I rifugi, le accademie, le cooperative e i centri culturali per le donne sono stati costruiti per loro iniziativa e con la loro forza. Questi luoghi hanno reso possibile alle donne di liberarsi dalle strutture famigliari tradizionali, di formarsi, di riunirsi e di sviluppare una forza e una volontà collettiva. Questi luoghi sono i bersagli delle forze di occupazione.
L’esecuzione di Hevrîn Xelef, una nota rappresentante della rivoluzione delle donne, dimostra l’azione violenta diretta contro le donne e la loro organizzazione.
Le donne e i bambini sono i primi ad essere privati dell’accesso all’educazione, all’assistenza sanitaria e al supporto legale a causa della guerra. Decine di migliaia di bambini sono attualmente incapaci di andare a scuola a causa delle condizioni di guerra.
Quando gli attacchi sono iniziati il 9 ottobre, le vite di donne e bambini di Jinwar, e il villaggio stesso, sono stati minacciati, così come lo sono state le vite di tutte le altre donne e bambini nella nostra aerea. Alcune donne avevano già avuto precedentemente molte esperienze dolorose e per la prima volta avevano trovato uno spazio sicuro a Jinwar, ma ora sono di nuovo esposte alla guerra e alla violenza. Come parte della difesa della nostra società, del nostro territorio e di tutte le conquiste della rivoluzione delle donne, abbiamo partecipato a manifestazioni e vari incontri. Abbiamo partecipato alle cerimonie funebri dei morti, supportato le loro famiglie e ci siamo fatte forza le une con le altre.
Qual è la situazione attuale a Jinwar e nei dintorni? Cosa significa questa minaccia per il villaggio delle donne? Qual è l’atteggiamento delle abitanti?
Sia storicamente che attualmente il Medio Oriente è segnato da conflitti e attacchi coloniali sulle donne e le comunità che vivono qui.
Gli attuali attacchi sono rivolti alla coesistenza pacifica di diversi gruppi della popolazione, al progetto di auto-amministrazione e soprattutto alle conquiste delle donne. Ogni villaggio che viene attaccato potrebbe essere Jinwar.
Jinwar resiste contro questa guerra, contro la politica di occupazione e invasione della Turchia, i gruppi jihadisti e i loro alleati, contro la violenza e la distruzione e la mentalità di oppressione di cui questa guerra è il risultato.
Stiamo prendendo posizione in questo conflitto unendoci come donne e costruendo insieme un modo di vivere basato sulla libertà, contrario alla mentalità di oppressione.
L’embargo in Siria e anche il tentativo di isolare completamente il Rojava hanno un impatto sull’economia regionale e locale. La brusca svalutazione della lira siriana contro il dollaro ha portato ad un improvviso incremento del prezzo degli alimenti di base e di molti beni di quotidiana necessità. Molti materiali da costruzione di cui abbiamo bisogno per mettere in atto i nostri progetti sono molto difficili da reperire.
Ma la nostra resistenza quotidiana continua: cuociamo il pane, facciamo lo yogurt dal latte delle pecore del villaggio, ci facciamo venire in mente idee su come dare forma al villaggio, facciamo piani per la prossima stagione dell’orto e dei campi, prepariamo un’unità educativa sulla naturopatia, ripariamo le case e le rendiamo impermeabili alla pioggia, discutiamo e ci riuniamo per riflettere sulla nostra vita insieme e sul nostro lavoro che abbiamo fatto recentemente e per valutarlo. Due donne del villaggio sono appena tornate da una formazione sulla salute e la storia delle donne durata una settimana.
Quali sono i piani e i progetti e quale tipo di supporto?
Ci sono molte idee e progetti, alcuni dei quali vorremmo mettere in pratica nel prossimo futuro. Qualche giorno fa abbiamo installato numerosi pannelli solari sul tetto della cucina comune come parte del nostro progetto solare e alcune delle case sono state allacciate alla fornitura di energia solare. L’obiettivo è produrre abbastanza energia solare per rifornire ciascuna casa del villaggio di elettricità e di acqua calda.
Poi c’è il progetto per la scuola del villaggio. Le lezioni hanno luogo in una delle case circolari di argilla. Quest’anno vogliamo progettare le aule, costruire un’area giochi esterna per i bambini più piccoli, un campo da calcio per i più grandi e una mensa.
Stiamo attualmente preparandoci ad aprire Şifa Jin, il centro sanitario per le donne e i bambini. Il centro sanitario è basato su approcci di medicina naturale. In aggiunta alla fornitura di assistenza ostetrica e medica per le donne e i bambini di Jinwar e dei villaggi nei dintorni, vogliamo fornire ulteriore formazione in tutti gli aspetti della salute, riappropriarci di antiche conoscenze curative e produrre i nostri rimedi naturali. In questo modo possiamo cominciare a conoscere e comprendere meglio i nostri corpi e il nostro ambiente e rafforzare la nostra salute.
Qualcos’altro che volete aggiungere?
Jinwar significa costruire una vita insieme come donne. Il villaggio è il risultato delle conquiste, delle lotte e della resistenza delle donne della regione, sia nella lunga storia delle società matriarcali della Mesopotamia, sia nelle lotte difensive delle Unità di difesa delle donne YPJ, che nella costruzione di strutture sociali che si autogovernano, le municipalità, i consigli delle donne e le cooperative in Siria del Nord. Jinwar vive attraverso le esperienze delle donne di tutto il mondo.
Vi invitiamo a venire a Jinwar per condividere la nostra storia e conoscenza.
Jinwar è parte della ricerca delle donne di tutto il mondo per una vita libera. I nostri principi di vita democratica, ecologica e libera per le donne non sono collegati soltanto a Jinwar, ma servono come ispirazione per le donne di tutto il mondo.
Sia come un villaggio, un collettivo, una comunità – uniamoci come donne e combattiamo insieme!
Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto.
Questa settimana, molte persone negli Stati Uniti sono scese in strada a causa dell’uccisione razzista di George Floyd da parte della polizia. Le proteste continuano giorno dopo giorno con fermezza mentre lo Stato risponde con la più brutale violenza. Manifestanti e giornalisti vengono colpiti, arrestati e umiliati, senza rispetto per il diritto di protesta e per le vite libere dalla violenza.
Soltanto due giorni fa, il giovane curdo Barış Çakan è stato ucciso dai fascisti in Turchia. Un’altra persona curda uccisa dal fascismo che lo Stato turco promuove e protegge, sia attraverso la polizia, l’esercito e i servizi segreti che attraverso fascisti che agiscono impuniti per le strade. Soltanto qualche settimana fa diverse attiviste per la libertà della donne e rappresentanti del popolo curdo in diverse istituzioni sono state colpite e arrestate.
Questi non sono eventi isolati: sia l’uccisione di George che quella di Barış sono parte dell’ideologia su cui si basa lo Stato. Un’ideologia razzista sciovinista che è espressa in diversi luoghi e in diversi modi, ma che è parte dello stesso sistema di Stati-nazione capitalisti basati sulla mentalità maschile di potere e dominazione.
Con questa mentalità provano a dividere la società, creando un nemico in chiunque sia diverso, che sia per colore della pelle, etnia o genere. Generano odio per mantenere il loro potere. Barış e George non sono stati sfortunatamente gli unici a pagare con le loro vite per la brutalità di questo sistema. La storia della comunità nera e quella del popolo curdo sono state storie di oppressione e resistenza.
Dalla tratta degli schiavi neri alle politiche razziste e alla violenza di oggi, dal massacro di Dersim all’occupazione della Siria del Nord e dell’Est da parte della Turchia e dei suoi alleati jihadisti, vediamo la continuità del sistema e la mentalità che sta portando al collasso dell’ambiente, che nega libertà alle donne e alla società. Vediamo come la guerra contro la società sia espressa ogni giorno dalla modernità capitalista e dalla mentalità patriarcale contro il volere democratico del popolo.
Una guerra che si esprime in particolare sui corpi e sulle vite delle donne, come possiamo vedere nella regione occupata di Afrin. Qualche giorno fa è stato pubblicato un video che mostrava donne che sono state rapite e tenute prigioniere in condizioni disumane e violente da gruppi jihadisti supportati dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dal resto della NATO. Questi Stati supportano gruppi che rapiscono, torturano e uccidono donne ad Afrin, così come la polizia, che uccide persone nere restando impunita e attacca e abusa donne. Qui e là, combattiamo la stessa guerra e, in quanto donne, poiché siamo il primo obiettivo, dobbiamo essere la prima linea di resistenza.
Lo Stato difende per sé il monopolio della violenza, mentre l’autodifesa è etichettata come terrorismo, sia che si pratichi nelle strade degli Stati Uniti, sia sulle montagne del Kurdistan. Ma, come spiega giustamente Abdullah Öcalan, “una pace senza autodifesa è un’espressione di rassegnazione e schiavitù.”
Nei territori liberati della Siria del Nord e dell’Est abbiamo un chiaro impegno per la pace. Sappiamo che senza giustizia non c’è pace. Senza etica non c’è pace. Senza democrazia del popolo, non c’è pace. Senza libertà delle donne non c’è pace. Questo è il motivo per cui stiamo costruendo e difendendo un sistema che si basa sulla liberazione delle donne e un sistema democratico ed ecologico che protegge come valori inalienabili il diritto all’autodifesa e alla coesistenza dei popoli, delle religioni e dei gruppi etnici.
Perché giorno dopo giorno continuiamo a essere bombardati, uccisi e umiliati. Continuano a metterci gli uni contro gli altri, dividendo la società. E questo è il motivo per cui la nostra maggiore arma per difenderci come società è rimanere uniti, nella diversità che ci forma, guardando alla differenza come qualcosa che ci arricchisce.
La nostra oppressione ha la stessa origine e perciò dobbiamo combattere insieme per metterle fine, per difendere una vita libera. Combattere l’uccisione dei curdi in Turchia è combattere l’uccisione di persone nere negli Stati Uniti. Combattere l’invasione della Siria del Nord e dell’Est è combattere il razzismo della polizia. Difendere il Rojava è difendere la comunità nera e difendere la comunità nera è difendere il popolo curdo.
Come donne, prendiamo l’impegno di combattere per una libertà che liberi tutta la società. Il nostro impegno è di ricostruire una società che viva insieme come una comunità nella sua diversità, in risposta a così tanta distruzione, divisione e odio. Il nostro impegno è nel difendere la vita di fronte alla morte che ci è imposta.
Difendiamoci dal razzismo, dal fascismo e dalla mentalità patriarcale degli Stati-nazione capitalisti. Costruiamo una vita libera insieme in memoria di George, di Barış, di tutte le persone che sono morte per mano del fascismo e del razzismo e di tutte le persone resistenti che ci hanno preceduto. Insorgiamo e organizziamoci perché soltanto insieme renderemo il razzismo un doloroso ricordo di una storia finita.
Per tutti i martiri, dal Rojava al mondo, diciamo apertamente che “le vite nere contano”, “le vite curde contano” e siamo pronte per difenderle fianco a fianco.
La filosofia base di “Şîfa Jin” è che la salute è lo specchio dello stile di vita, delle relazioni con la società e dell’ambiente e, quindi, riflette la storia dell’oppressione e della resistenza.
Originariamente pubblicato su ANF News (30 maggio 2020).
“La medicina naturale è più che soltanto erbe. Vogliamo difendere la salute della società,” è il messaggio che arriva dal centro di guarigione e salute del villaggio delle donne – Jinwar – nella Siria del Nord.
Jinwar è un villaggio situato nella Siria del Nord, sviluppatosi dalla dea Ishtar, come sottolineato dal leader del popolo curdo Abdullah Öcalan nella sua difesa, ed è la realtà delle donne autosufficienti.
Prima che la costruzione del villaggio iniziasse, le persone che hanno dato vita all’opera si sono incontrate con svariati ingegneri e organizzazioni di donne e hanno ascoltato i loro punti di vista su come dovesse essere costruito. A partire da quelle discussioni, hanno deciso di costruire tutte le trenta case in argilla. La costruzione del villaggio, pensato per lo sviluppo di una vita in comune, è iniziata il 25 novembre 2016. Dopo i resoconti di fattibilità e i preparativi, la costruzione delle case è iniziata nel 2017. A Jinwar, le famiglie delle persone cadute martiri mentre combattevano per la libertà della Siria del Nord, hanno la priorità. Anche le vedove e le donne senza famiglia possono fare richiesta al Kongra Star o alle amministrazioni della Casa delle Donne per stabilirsi nel villaggio.
Jinwar dà priorità all’agricoltura e all’allevamento in modo da poter essere autosufficiente. Le abitanti del villaggio sono anche in grado di soddisfare le loro necessità con il negozio e il forno costruiti al suo interno. Jinwar si basa sull’autosufficienza, ma col tempo punta a provvedere anche agli abitanti dei dintorni. C’è anche una stalla in cui le abitanti del villaggio possono dare alloggio ai loro animali.
Un centro di guarigione e salute chiamato “Şîfa Jin” è stato aperto a Jinwar nel marzo 2020, all’interno della settimana di azione per mettere in risalto la Giornata Internazionale di Lotta delle Donne. “Şîfa Jin” era parte del progetto di Jinwar fin dall’inizio. Con l’apertura, è stato compiuto un importante passo.
“Şîfa Jin” [guarigione delle donne] è un centro di guarigione e salute per le donne, le bambine e i bambini di Jinwar e per le persone dell’area circostante. In aggiunta alle terapie, basate sulla medicina naturopatica e moderna, il centro produce i suoi medicinali da piante curative. La filosofia base di “Şîfa Jin” è che la salute è lo specchio dello stile di vita, delle relazioni con la società e dell’ambiente e, quindi, riflette la storia dell’oppressione e della resistenza.
Cosa significa aver costruito un centro di guarigione naturale delle donne? Perché è importante sviluppare questa conoscenza? Le sagge donne di Jinwar spiegano i loro obiettivi nel video sottostante, che può essere guardato con sottotitoli in inglese, spagnolo e arabo.
“Şîfa Jin” (7 maggio 2020)
Di seguito il testo dei sottotitoli del video:
Hêvîdar Herekol – direttrice del reparto di medicina naturale di Şîfa Jin
“Il nostro lavoro consiste, da una parte, nel gestire la clinica di medicina naturale delle donne e, dall’altra, nell’educare alla guarigione. Abbiamo iniziato un nuovo lavoro appena una settimana fa, una formazione su cosa siano la salute e la guarigione. Abbiamo fatto questa formazione alle giovani donne e le madri, le donne più anziane, anche loro si sono aggregate. Era importante che anche le madri si aggregassero. Così tutte hanno potuto comprendere il loro corpo. È stato molto utile per loro seguire i seminari. Circa sette o otto ragazze e donne si sono iscritte. Ne hanno veramente tratto molto, è stato produttivo. Il nostro obiettivo per il futuro, per le persone che concludono la formazione, è di aumentare la conoscenza della medicina tradizionale curda, come la conoscevano le nostre madri e antenate, come le streghe.
Perché le streghe? Il significato di essere una strega è la saggezza, e la scienza delle donne. Per esempio nell’ambito della guarigione, della medicina tradizionale curda. Questo è essere una strega. E questo perché la mentalità patriarcale l’ha stigmatizzata e questa stessa mentalità, che considera male le donne anziane, le ha accusate di essere streghe. Fu rappresentato così. Ma nella scienza delle donne, come Jineolojî, o nel pensiero di Abdullah Öcalan, la vediamo in modo opposto. Come guarigione, come guarigione delle donne, come medicina naturale. E l’obiettivo di fare ricerca, di realizzare medicine in questo modo, è di iniziare a sviluppare la consapevolezza nella nostra società. Perché la medicina tradizionale curda? Perché la medicina naturale? Perché dobbiamo svilupparla? Per sviluppare conoscenze e consapevolezza nella nostra società. Non rifiutiamo tutta la medicina non naturale o farmaceutica, ma stiamo cercando di sviluppare i metodi della medicina naturale. E la conoscenza di essa all’interno della società. L’obiettivo è quel progresso, sviluppare consapevolezza di quella scienza nella società. E stiamo costruendo una clinica di medicina naturale, per l’ostetricia, per la conoscenza delle donne di partorire e di prendersi cura delle persone, della malattia delle bambine e dei bambini, delle donne … e diffondere consapevolezza tra le persone, per sedersi e discutere in modo “normale” se qualcuna è malata, trovando soluzioni con la medicina naturale, così la conoscenza si diffonderà in tutta la società.”
Cemîle Şitî – membro di Şîfa Jin
“Sto lavorando nella clinica da due mesi, abbiamo avuto la formazione settimanale ora, con le compagne. È stato un grande successo. E stiamo lavorando per le donne, per la salute delle donne, e anche per le bambine e i bambini…”
Mêrîvan Êzîdî – dottoressa di Şîfa Jin
“Sono arrivata a Jinwar due mesi fa per lavorare nel centro di salute delle donne. Abbiamo fatto un percorso di formazione. Era sulla salute e la medicina naturale. Con la formazione, volevamo che le donne di Jinwar e dei villaggi circostanti, che lavoreranno nel centro di salute, pensassero alla salute e all’oppressione e alla violenza che è stata fatta, inflitta ai loro corpi. Ci sono molte cose nel centro di salute, ma la prospettiva è la medicina naturale. E questo non significa soltanto erbe. Si tratta di politica. Vogliamo difendere la salute della società.”
Il KJK chiede che l’assassinio di George Floyd negli USA non sia derubricato ad atto isolato e afferma che “il razzismo e il nazionalismo sono uno strumento ideologico estremamente efficiente dei sistemi dello Stato, del potere e della dominazione.” (31 maggio 2020)
Le Comunità delle donne del Kurdistan (KJK) hanno emesso un comunicato riguardo all’uccisione, avvenuta il 25 maggio 2020, di George Floyd durante un’operazione di polizia a Minneapolis (USA), evento che ha provocato shock e ondate di rabbia in tutto il mondo.
“Condanniamo con fermezza questa violenza chiaramente razzista perpetrata dallo Stato ed esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia e agli amici di George. Sfortunatamente questo crimine non è né il primo né sarà l’ultimo di questo tipo.
Per esempio, il 19 febbraio di quest’anno, dieci persone sono state uccise in un attacco razzista in un bar della città tedesca di Hanau.
Non passa giorno senza che qualche persona curda non venga attaccata e uccisa solo per il fatto di essere curda. In ogni parte del mondo accade che comunità specifiche vengano dichiarate nemiche e attaccate.
Non dobbiamo derubricare queste atrocità ad atti individuali.
Dobbiamo guardare ad esse nel contesto complessivo delle condizioni sociali. Il nazionalismo e il razzismo devono essere sfidati in maniera critica e combattuti con efficacia nel contesto della realtà dello Stato-nazione e del capitalismo. Il razzismo e il nazionalismo sono strumenti ideologici estremamente efficaci nelle mani dei sistemi dello Stato, del potere e della dominazione.
Il popolo curdo lotta da lungo tempo con le origini del nazionalismo e dell’oppressione. Quello curdo è un popolo che ha combattuto per secoli per i propri diritti e per la libertà e abbiamo fatto il possibile per comprendere l’oppressione di cui siamo oggetto per poterla combattere e superare.
Studiamo per capire se l’oppressione sia naturale, se sia sempre stata così o se sia stata creata nel corso della storia umana. La risposta è chiara. L’oppressione non è naturale. È un prodotto umano che serve a mantenere il potere e la dominazione.
I problemi principali del nostro tempo, cioè la catastrofe climatica, la distruzione dell’ambiente, la guerra, la povertà, le migrazioni forzate, la pandemia e molti altri, derivano dal potere e dalla dominazione. Gli squilibri di potere che si traducono in certe atrocità sono sostenuti da una mentalità precisa.
Questa mentalità costruisce gerarchie e relazioni di potere tra umani e natura, tra generi diversi, tra comunità etniche e religioni, tra persone con un diverso colore della pelle, tra culture e classi sociali.
Come può riuscire un gruppo particolare a dominare, opprimere e sfruttare gli altri popoli? Questo risultato non può essere ottenuto soltanto con la violenza fisica. Indubbiamente la violenza fisica gioca un ruolo essenziale, ma questa forma di dominazione vecchia di millenni non può essere mantenuta senza una mentalità che classifichi alcuni gruppi di individui come soggetti e altri come oggetti.
In questo modo, emergono gerarchie e relazioni di potere in cui i dominatori – che siano uomini, bianchi, ricchi o altri settori della società “privilegiati” – vedono come naturale il loro diritto di abusare, sfruttare e uccidere i “non privilegiati”.
L’uccisione di George Floyd dovrebbe anche essere vista come parte di una guerra che uno Stato intraprende nei confronti di parti della società. Specialmente con l’implementazione delle misure di sicurezza e con l’estensione dei poteri delle forze di polizia, i cittadini non benvenuti sono quelli più a rischio. Più le persone osano sfidare il sistema, più cresce la violenza dello Stato nei loro confronti. Secondo i dati, nel 2019, soltanto negli USA, le forze di sicurezza hanno ucciso 1099 persone.
Mentre gli spazi per una vita autodeterminata si stringono sempre più, l’egemonia dello Stato cresce in tutte le aree.
Oggi, lo Stato vuole mantenere il monopolio della violenza, mentre la legittima difesa viene etichettata come terrorismo.
Lo Stato-nazione come pilastro del capitalismo ha contribuito da una parte a standardizzare le diverse identità locali e culturali e delle comunità all’interno dei confini statali, e dall’altra il nazionalismo ha fatto in modo che le diverse comunità etniche entrassero in conflitto tra loro.
L’umanità durante le due guerre mondiali ha sperimentato la disumanità e la capacità distruttiva del nazionalismo.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, per esempio, il territorio del Kurdistan fu diviso tra quattro Stati-nazione senza che al popolo curdo e a molti altri popoli dell’area venissero garantiti diritti o l’esistenza stessa.
La nostra identità è stata negata e tutto ciò che era curdo è stato dichiarato come barbaro e retrogrado.
Siamo a lungo stati soggetti a politiche di assimilazione, per integrare la nostra cultura, lingua e identità a quelle turche, arabe o persiane. Per gli Stati-nazione è fondamentale avere all’interno dei loro confini un’identità etnica omogenea, spesso imposta con la violenza.
Oppressione, potere e dominazione non sono naturali. Quindi, a sua volta, il sistema dello Stato non è naturale, ma uno strumento di potere della classe dominante. È un prodotto dell’organizzazione umana originata a partire dalla sottomissione delle donne. Le donne sono la prima nazione oppressa, la prima classe oppressa. Non c’è quindi da stupirsi se, nonostante le innumerevoli (sia anticoloniali-nazionali che di classe) lotte per la libertà e l’uguaglianza, questi sistemi di oppressione non siano stati superati. Fino a che i movimenti rivoluzionari non porranno la liberazione delle donne al centro della loro lotta, il cuore del sistema oppressivo continuerà ad avere la meglio.
Oggi sappiamo che, fino a che non verrà messa la parola fine al sessismo sociale, la palude della gerarchia, del potere e dell’oppressione non potrà essere bonificata. Non è un caso che gli attacchi nei confronti delle donne siano esplosi in tutto il mondo con l’ascesa del nazionalismo, dell’oppressione e del fascismo.
Mentre gli attacchi a sfondo razziale aumentano in tutto il mondo e i sistemi politici al governo si spostano sempre più a destra, il comportamento statale-patriarcale si sta manifestando in modo sempre più lampante attraverso una certa categoria di individui.
Capi di Stato minacciano donne di stupro e uccisione, restringono i loro diritti duramente conquistati e tentano di forzarle fuori dalla vita pubblica ancora una volta.
È tempo di dichiarare una guerra significativa a questo sistema oppressivo nella sua complessità. Questo vuol dire che dobbiamo comprendere e portare avanti tutti insieme la lotta contro il suprematismo bianco, il nazionalismo, il sessismo e il capitalismo.
Dobbiamo lottare per un sistema alternativo che consideri le differenze una ricchezza della società, e lavorare per unire le nostre lotte in un mosaico che valorizzi le diversità.
Le persone non dovrebbero mai essere considerate inferiori soltanto a causa del colore della loro pelle, del genere o delle loro identità etniche e religiose.
Costruiamo la nostra vita libera oltre lo Stato, il potere e la gerarchia, attraverso strutture democratiche di auto-organizzazione e autodeterminazione.”
Come movimento delle donne Kongra Star condanniamo le azioni del regime fascista turco contro le attiviste in Kurdistan Settentrionale e riaffermiamo la nostra solidarietà nei confronti delle donne.
Pochi giorni fa lo Stato turco ha fatto irruzione nelle case di attiviste dell’Associazione delle Donne Rosa, del Movimento delle Donne Libere (TJA) e di attiviste e rappresentanti dell’HDP nel Kurdistan Settentrionale, arrestando tutte queste donne.
Il Kongra Star, movimento delle donne del Rojava, ha pubblicato il seguente comunicato in solidarietà:
Il regime fascista dell’AKP-MHP ha sottoposto l’intera società e popolazione della Turchia e del Kurdistan Settentrionale a un genocidio. Le pratiche del regime fascista non hanno limiti. Con esse vengono violati tutti i valori morali e umani. I valori più significativi e fondamentali che sostengono la società vengono dissacrati, proprio come sono state dissacrate le tombe dei figli del popolo curdo rubando le ossa dei morti e prendendole a calci. Nel frattempo, bambini, donne e tutti i valori della società vengono stuprati.
Questi arresti fanno calare un’ombra sulla speranza e sulla coscienza delle persone. Bambini, donne, giovani e vecchi, tutte le generazioni della società sono rimaste senza fiato e senza speranza. Gli attentati e gli attacchi contro i curdi hanno avuto effetti devastanti. Ma i curdi non si piegano. I curdi sono quelli che combattono da centinaia di anni per la libertà, la democrazia e l’uguaglianza in Turchia; questo è il motivo per cui li vogliono silenziare e spezzare la loro volontà. Vogliono distruggerli con i loro attacchi brutali e immorali. Ma non sono in grado di farlo. I curdi sono coloro che oggi non tacciono all’ombra del fascismo estremista turco e continuano a resistere. Lo Stato turco sa che non potrà vincere finché i curdi non saranno sconfitti.
Si stanno eseguendo arresti pianificati e mirati di sindaci e di politici, e ciascun attivista dell’opposizione in Turchia viene fatto oggetto di una pesante repressione. La recente ondata di arresti di svariati membri dell’Associazione delle Donne Rosa e l’arresto di politici è parte di questo piano. Rosa è un’organizzazione che lotta contro le violazioni dei diritti delle donne e la violenza contro le donne. Era un luogo a cui le donne si affidavano e dove potevano tirare un sospiro di sollievo. Lottavano per i diritti e la libertà delle donne. Non da ultimo, il regime fascista dell’AKP-MHP ha preparato misure per legalizzare il matrimonio minorile con ragazze. Sappiamo che finora la lotta delle donne curde ha portato molti cambiamenti nella società e nel sistema.
Il ruolo trainante delle donne nella sfera politica e sociale è palese e questo dà forza alla speranza di libertà sia tra le donne sia nella società curda. Questo è il motivo per cui il regime fascista ha puntato alle donne fin dall’inizio. Dall’uccisione, all’arresto, allo stupro: per sconfiggerle sono stati usati e legittimati tutti i metodi. Sappiamo, comunque, che le donne curde non possono essere messe a tacere, intimidite e private della loro richiesta di libertà con l’arresto e la morte. Lo Stato fascista ne imprigiona migliaia, ma altrettante stanno resistendo.
Come movimento delle donne Kongra Star condanniamo le azioni del regime fascista turco contro le attiviste in Kurdistan Settentrionale e riaffermiamo la nostra solidarietà nei confronti delle donne.
Chiediamo a tutte le donne di essere solidali e sostenere le donne curde che con la loro lotta si sono dotate di una grande volontà, di un’organizzazione e di una personalità forti. Non fatevi zittire di fronte a queste pratiche fasciste e crudeli. Combattete per le vostre istituzioni, i vostri valori e la vostra esistenza.
La salute è lo specchio della società in cui viviamo e della nostra relazione con essa: solo una società libera dall’oppressione e dalla repressione sarà dunque una società sana.
Pubblichiamo la traduzione dell’intervista uscita il 18 maggio 2020 sul blog buen camino del giornale spagnolo el salto diario. La stessa intervista si trova anche su Kurdistan América Latina.
Dopo la nostra ultima intervista sull’attività medica al fronte, continuiamo con la questione sanitaria secondo la prospettiva dell’autonomia delle donne, concretizzatasi in Jinwar, il villaggio situato nel Nord-Est della Siria, riservato esclusivamente alle donne. Ampliamo in forma scritta l’intervista realizzata dall’organizzazione giovanile “Arran” [della sinistra indipendentista catalana – n.d.t.] alla compagna internazionalista che ha creato il centro sanitario nel quale lavora come dottoressa. Ci parla della situazione attuale della guerra e della pandemia, della prospettiva della salute e di come tutto ciò sia connesso alla liberazione delle donne e alla loro autonomia.
A grandi linee, come si presenta la situazione della pandemia del Covid-19 nel Nord e nell’Est della Siria?
Finora la pandemia ha interessato a livello medico gli Stati circostanti, ma non la Federazione democratica del Nord e dell’Est della Siria, dove si sono registrati solo due casi isolati più d’una settimana fa; ciononostante, da un mese e mezzo l’Amministrazione autonoma di questo territorio ha adottato tutte le misure preventive, ha chiuso le frontiere, instaurato il coprifuoco e lanciato una campagna di educazione e sensibilizzazione sulle procedure materiali necessarie a prevenire il Coronavirus.
Fin qui la storia è la stessa che in molte altre zone del mondo: la differenza rispetto agli altri Stati, sta nel fatto che qui l’amministrazione questi provvedimenti li adotta a favore del popolo, cioè con l’obiettivo di proteggere la società anziché di approfittarne per trarre vantaggi economici o aumentare il proprio potere sulla popolazione. Oltre all’adozione delle misure si cerca di tener conto, per quanto possibile, delle esigenze della società, e a tal fine si sono creati dei comitati che operano per risolvere le difficoltà che sorgono in questi momenti, in relazione alle necessità primarie – benché ovviamente, trattandosi d’un momento complesso, vi siano difficoltà rimaste tuttora prive di soluzione; ad esempio si stanno assegnando aiuti alimentari alle fasce della popolazione con meno risorse, e dinanzi all’aumento della violenza domestica di genere s’è deciso di permettere alle organizzazioni delle donne di continuare a tenere le proprie riunioni per poter dare risposte, poiché l’organizzazione rende le donne meno vulnerabili a questo tipo di violenza.
L’analisi della pandemia elaborata qui è che essa sia conseguenza diretta dello sfruttamento indiscriminato della natura da parte del sistema capitalista nel quale viviamo e della mentalità che ne deriva, i quali generano forme di vita incompatibili con l’esistenza: diviene dunque più ovvia che mai la necessità di costruire una società fondata sulla democrazia, sull’ecologia e sulla liberazione della donna, che sono i pilastri di questa rivoluzione.
È molto presente anche l’idea che il Coronavirus sia oggetto d’una strumentalizzazione mirata a condurre una guerra psicologica, e di fronte a ciò si considera assai importante evitare che tra la popolazione si diffonda il panico; si presta particolare attenzione al trattamento dell’informazione nei mezzi di comunicazione e per loro tramite si diffondono riflessioni per aiutare la gente a comprendere la situazione: di questi tempi, i media sono più che mai strumento pedagogico. Inoltre, si esorta la popolazione a difendere la società da questa aggressione, proprio com’è abituata a fare di fronte ad attacchi d’altro tipo: l’appello al rispetto delle misure di prevenzione va a beneficio non della singola persona ma della società. Su questa linea sono nate anche iniziative popolari, come la fabbricazione casalinga di ventilatori meccanici sviluppata da un gruppo di ingegneri, o il fatto che varie cooperative di donne abbiano convertito l’attività produttiva abituale in fabbricazione e diffusione gratuita di uniformi per il personale sanitario e mascherine, prefigurando così anche un’economia al servizio delle esigenze del popolo.
Ma in questa terra l’attacco del Coronavirus non è l’unico al quale far fronte: ci troviamo in un territorio in conflitto bellico costante, e così è tuttora, nonostante il mondo si sia paralizzato per la pandemia. Gli attacchi dello Stato fascista turco e dei suoi mercenari jihadisti non solo non sono cessati, ma sono anzi aumentati di frequenza in diverse zone, con artiglieria pesante, requisizione di beni, sequestri di persona, tagli all’acqua e all’elettricità; inoltre, sia lo Stato turco che quello siriano si servono del Coronavirus come arma biologica, tentando di spedire in questo territorio persone contagiate per diffondere il virus e indebolire la società. Ancora, non dobbiamo dimenticare che l’embargo continua e che l’OMS ha rifiutato ogni tipo di soccorso a quest’amministrazione autonoma, poiché tale aiuto equivarrebbe al riconoscimento ufficiale dell’esistenza di un territorio organizzato ai margini dello Stato.
In che cosa consiste l’attività specifica che stai svolgendo?
Ora vivo a Jinwar, la città delle donne. Qui noi donne, con bambine e bambini, seguiamo un modello di vita comunitario, unendo le forze per costruire uno spazio libero dall’oppressione nel quale autogestire le diverse sfere della vita (alimentazione, salute, istruzione ecc.) seguendo i princìpi di democrazia, ecologia e liberazione della donna. Il villaggio è stato inaugurato nel 2018 e fin dall’inizio uno degli elementi del progetto era la costruzione di una clinica per le donne e le nascite. Sono dottoressa e da quattro mesi mi sono trasferita qui per aiutare nell’apertura della struttura, di cui abbiamo festeggiato l’inaugurazione il 4 marzo nell’ambito di una settimana di mobilitazione per l’8 marzo, Giornata internazionale delle donne; il nostro servizio copre, oltre a Jinwar, circa venticinque villaggi dei dintorni. La clinica si chiama “Şîfajin”, che significa “cura per le donne”: in essa s’intrecciano la medicina convenzionale e quella naturale, con produzione autonoma di medicinali, attività di educazione sanitaria e ricerche nei dintorni per recuperare e riprodurre i rimedi naturali della zona.
Cosa molto significativa, è essere riuscite ad aprire la struttura appena prima dell’istituzione del coprifuoco. In questi momenti, nei quali la salute diviene questione cruciale, l’ospedale della città più vicina è chiuso ed è aumentata la violenza domestica di genere, assume quindi speciale importanza il nostro ruolo di pedagogia, assistenza medica e solidarietà alle donne, alle persone minori di età, alle bambine e ai bambini della zona.
Come si configura, nel quadro ideologico della rivoluzione, la questione della salute?
Nell’ambito del sistema sanitario pubblico vi sono due strutture, militare e civile, e due tipi di ospedali, situati nei centri abitati principali: gli “ospedali del popolo”, aperti a tutte e tutti, e gli ospedali militari, riservati alle Forze di difesa del Popolo; parallelamente continuano a funzionare cliniche e ambulatori privati e anche ospedali del regime in due città.
L’obiettivo è costruire un sistema sanitario democratico e gratuito. La gratuità è ormai praticamente in vigore, rimangono a pagamento solo alcuni interventi chirurgici presso alcuni ospedali civili e anche alcuni dei medicinali per la terapia domiciliare da acquistare in farmacia. Per quanto riguarda la partecipazione della popolazione, rimane ancora molto lavoro da fare. L’idea è avere – a tutti i livelli organizzativi della società, dalle comuni ai quartieri urbani, ai gruppi di abitazioni isolate, ai villaggi fino ai livelli superiori – dei comitati di salute pubblica che provvedano alle necessità attuali in relazione a quest’ambito della vita e si adoperino per cambiare la prospettiva in materia di salute.
La percezione della salute egemonica nella quale viviamo è strumentale al sistema capitalista: è quella che, insieme al metodo scientifico, è stata ed è strumento indispensabile per la sua instaurazione e perpetrazione. I sistemi sanitari attuali e l’odierna prospettiva sulla salute obbediscono agli interessi del mercato, a danno della natura; generano soggetti alienati dal proprio corpo e dalla propria mente, con l’unico obiettivo di ridurli a forza-lavoro in totale dipendenza dallo Stato per la cura della propria salute, vissuta piuttosto come oggetto di consumo. Tutto ciò costituisce un fattore indispensabile nello sviluppo della pandemia mondiale che viviamo oggi.
La prospettiva sanitaria che stiamo tentando di instaurare con la rivoluzione è quella della “salute naturale”: concetto non soltanto legato a terapie naturali e autogestite, bensì a un radicamento nella società di valori, coscienza e conoscenza necessari a edificare una società fondata su democrazia, ecologia e liberazione della donna. Non si tratta di rifiutare in assoluto i progressi raggiunti dall’industria chimica e tecnologica, a patto che siano al servizio dei bisogni della gente e rispettino la natura.
La salute è lo specchio della società in cui viviamo e della nostra relazione con essa: solo una società libera dall’oppressione e dalla repressione sarà dunque una società sana.
Tenendo conto del fatto che il progetto si svolge a Jinwar, quale legame si stabilisce tra la gestione popolare della sanità e l’autonomia delle donne?
Come commentavo poco fa, obiettivo di questa rivoluzione è una società fondata sulla democrazia, sull’ecologia e sulla liberazione delle donne. La gestione della sanità deve porsi al servizio di questi traguardi e dunque, intrinsecamente, non può che promuovere l’autonomia delle donne. Due elementi chiave per avanzare in questa direzione sono l’Accademia della Salute e progetti come la Şîfajin, la clinica di Jinwar. All’Accademia della Salute decine di studenti, in maggioranza donne, si preparano a diventare dottoresse e dottori, con una formazione quadriennale che, oltre alla scienza medica, investe anche la prospettiva della salute naturale e quindi le idee e i valori d’una società democratica, ecologica e fatta di donne libere. In un contesto nel quale i medici donne praticamente non esistono, ecco un fatto di grande rilievo. L’assistenza medica che le nuove generazioni offriranno rappresenterà un contributo importantissimo al cambiamento.
Stiamo vivendo la rivoluzione delle donne, e uno dei princìpi guida è che le donne devono essere l’avanguardia della rivoluzione. L’oppressione degli uomini sulle donne e l’instaurazione del patriarcato cinquemila anni or sono è stata fattore imprescindibile della nascita dello Stato e dei vari sistemi di dominio: fu attraverso la mentalità maschile dominante che si crearono le diverse strutture sociali che hanno sistematizzato l’oppressione – guida del cambiamento non possono dunque essere gli uomini, né la mentalità maschile egemonica sotto la quale sono educati a causa del patriarcato, poiché è stata proprio questa mentalità ciò che ci ha condotto fin qui.
Per comprendere l’importanza del ruolo rivoluzionario delle donne nell’ambito della salute, dobbiamo poi risalire alle radici della prospettiva corrotta sulla salute nella quale viviamo, radici che vanno ricercate nella caccia alle streghe perpetrata nei secoli XV-XVIII dalla Chiesa e dallo Stato in Europa e, più tardi, estesa per mezzo del colonialismo.
Furono assassinate migliaia di donne, molte delle quali legate alla medicina; i loro saperi furono espropriati ed esse furono estromesse dalla pratica medica, che divenne professione riservata agli uomini; al tempo stesso, nascevano il metodo scientifico e la scienza moderna, patriarcale nelle sue radici e sviluppatasi a prezzo della sperimentazione condotta tramite metodi atroci sui corpi delle donne. Tutto ciò, insieme a molti altri mutamenti imposti a livello sociale, costituì la base dello sviluppo del capitalismo, nonché dell’ottica sanitaria ad esso strumentale. Dinanzi a tutto questo, è imprescindibile un movimento delle donne che guidi la rivoluzione in ambito sanitario e, parallelamente, una riscrittura della storia secondo la prospettiva delle donne e la creazione d’una scienza costruita a misura di donna: la Jineolojî.
L’apertura della Şîfajin proprio a Jinwar è cosa molto significativa. Jinwar aspira ad essere esempio, guidato da donne, della società democratica, ecologica e di donne libere per la quale lottiamo.
Quali lezioni state traendo dall’attuazione del progetto?
Come sperato, molti dei problemi sanitari che spingono le donne alla Şîfajin sono legati al loro ruolo domestico, alle funzioni ch’esse svolgono, alla situazione d’oppressione che vivono.
Apprezzano il tipo d’assistenza che offriamo, libero dalla violenza e con una chiara intenzione di prenderci cura della loro salute e renderle partecipi [del processo terapeutico], al di là del trattamento concreto che forniamo loro.
Abbiamo constatato che l’ottica sanitaria capitalista, che punta a soluzioni immediate basate sui farmaci, e che perpetra l’alienazione in relazione ai processi che avvengono nel nostro corpo e nella nostra mente, è assai radicata presso le donne; ma al tempo stesso osserviamo che in loro sopravvive una certa curiosità per i rimedi naturali e il desiderio di formarsi e acquisire conoscenze intorno al tema della salute.
Tre delle donne che lavorano nella clinica ve ne sono alcune molto giovani, alla loro prima occupazione extradomestica, e imparano mentre lavoriamo insieme e costruiamo il progetto. È magico assistere alla loro trasformazione, avvenuta in così poco tempo: motivate e felici, sono già alla guida di alcune unità operative della Şîfajin. L’équipe va consolidandosi giorno dopo giorno e tutte diamo il nostro contributo all’apprendimento delle altre e alla realizzazione del progetto.
Dopo l’apertura, diverse donne dei dintorni e le loro famiglie hanno manifestato interesse a seguire una formazione clinica: dinanzi a queste richieste abbiamo deciso di aprire il progetto, consentendo alle donne che vogliano apprendere di trascorrere un periodo di sei mesi insieme a noi, imparando dalla prassi quotidiana e mediante seminari e dibattiti. Si apre così un’altra porta, una nuova possibilità d’autonomia per le donne e di mutamento della prospettiva nel campo della salute.
Infine, nel breve arco di tempo che abbiamo passato a lavorare, stiamo anche toccando con mano come la Şîfajin possa rivestire un ruolo assai importante nel rafforzamento dell’unione tra le donne e nel generare consapevolezza dell’oppressione di genere che viviamo. Noi donne – curde, arabe e internazionali – ci troviamo nello spazio-tempo generato dalla Şîfajin per la cura di donne e neonatx, proprio in seno al popolo delle donne: mettiamo in comune esperienze e conoscenze, discutiamo e al tempo stesso sperimentiamo insieme, per qualche momento, l’atmosfera e le sensazioni che si esprimono in uno spazio non governato dalla mentalità maschile dominante.
Qual è la situazione attuale in Rojava, all’indomani dell’invasione dell’ottobre scorso? Quali ripercussioni ha avuto sulla rivoluzione, e questa come prosegue?
Per affrontare questo punto dobbiamo risalire a prima dell’ultima invasione. Questo è un territorio sotto attacco costante. Di fatto, la rivoluzione del Rojava nasce da una delle falle apertesi in tempo di guerra e ancor oggi si costruisce in un contesto di guerra. Un fatto molto importante è che il processo rivoluzionario non si congela di fronte agli attacchi bensì, dinanzi ad ogni ostacolo, ricerca il percorso alternativo, la possibilità offerta dal momento. Ad esempio, durante l’occupazione di Serêkaniyê e Girê Spî, con l’impressionante resistenza creatasi, ma anche col ruolo svolto a livello diplomatico in quel momento, siamo riuscitx ad ottenere che la rivoluzione della Siria del Nord e dell’Est e le idee che la animano, trovassero diffusione ancora maggiore a livello mondiale e che l’esistenza di questo territorio autonomo fosse ogni volta più riconosciuta e legittimata, pur senza essere uno Stato.
Dall’invasione di Afrîn del 2018, ci troviamo ad affrontare una nuova fase nella quale lo Stato turco, oltre alla volontà di sterminare il popolo curdo, ha l’obiettivo di restaurare l’Impero ottomano. In questo territorio si stanno combattendo cinque tipi di guerra permanente: la guerra militare, quella psicologica, quella economica, l’attacco alle donne e alle loro strutture organizzative, la sostituzione demografica.
Si alternano periodi di guerra calda, caratterizzati da attacchi militari su vasta scala con l’obiettivo dell’occupazione diretta di nuove parti del territorio, e periodi di guerra fredda. I primi corrispondono alle occupazioni di Afrîn, Serêkaniyê o Girê Spî e sono stati un duro colpo sul piano economico per l’importanza di queste località a livello industriale e agricolo (specialmente olivi e grano). Nei periodi di guerra fredda, come l’attuale, lo Stato turco, i suoi mercenari jihadisti e i suoi alleati internazionali, continuano a sferrare attacchi militari di minore intensità e, benché sempre presenti, assumono speciale importanza gli altri tipi di guerra: l’embargo, gli attacchi alle stazioni elettriche, i tagli alle forniture idriche, l’incendio di campi coltivati, la propaganda per diffondere l’ideologia fascista, la tentata accentuazione epidemica del Coronavirus, la sostituzione demografica nei territori occupati, le costanti minacce d’una nuova invasione, ecc. In ogni momento le donne sono bersaglio diretto e sono sempre loro, in virtù del loro ruolo nella società, a soffrire maggiormente le conseguenze delle varie aggressioni.
In uno scenario simile, affinché la rivoluzione continui è necessario reagire senza tregua ai diversi tipi d’attacco, con preparativi a livello militare, educazione della popolazione, riapertura più rapida possibile di collegi, accademie e atenei, il potenziamento dei mezzi di produzione locali (produzione comunitaria o familiare, cooperative ecc.) e loro mantenimento in attività, indipendentemente dalla situazione sul piano bellico, del rafforzamento delle organizzazioni delle donne e delle loro attività e della coesione sociale.
Sopra ogni altra cosa, tuttavia, per creare e mantenere con forza quanto finora realizzato, l’importante è che il desiderio di vita libera e comunitaria sia tanto intenso da non lasciarci contemplare altro cammino che quello di lottare per costruirla, che a muoverci sia l’amore, e che tutte insieme colmiamo di significato ogni momento che viviamo. Allora la rivoluzione non morirà.
Nel mondo odierno pieno di bruttezza, ingiustizia e malvagità, non è l’estetica delle forme fisiche, aumentate, che costituisce la bellezza; solo le donne che difendono la vita con la lotta possono creare bellezza.
“Chi è una persona bella, cosa è meritevole e degno di essere amato, quale identità e personalità dovrebbe essere amata di più, chi sa avere comportamenti che portano all’amore? Dobbiamo essere in grado di cercare, rivelare e sviluppare la bellezza e ciò che è più amabile. Il tuo scopo in queste fila è raggiungere la capacità di essere una fonte di amore e bellezza.” (Abdullah Öcalan)
Prima che l’estetica fosse confinata alla sfera della filosofia e dell’arte, prima che fosse concepita come un corpo femminile seducente per i desideri degli uomini, ciò che era percepito come sacro e bello era tutto ciò che aggiungeva valore, bellezza e significato alla vita. Öcalan lo nota in modo adamantino: “Non riconosco la bellezza al di fuori di una società etica e politica. La bellezza è etica e politica! Specialmente con la continua ascesa del potere e dello Stato, la bellezza e la bontà si sono potute proteggere soltanto con la lotta. Il detto di Zoroastro: “pensa bene, parla bene e agisci bene” ha aperto la strada a princìpi, un sentiero su cui molti, come Máni, Buddha, Confucio e Socrate, hanno sviluppato ragionamenti per difendere i valori sociali.
Eroi, profeti, totem, divinità, religioni e credenze sono emersi nelle culture di tutti i popoli del mondo, mostrando alle persone la strada per la bellezza, la bontà e il benessere. Nel periodo più lungo della storia umana le donne sono state viste come una fonte di bellezza, poiché personificavano tutto ciò che è sacro nella vita e la rappresentazione delle donne nella cultura comunitaria di questa società.
In tempi antichi, in periodi in cui le condizioni di vita per gli umani erano limitate, tutto ciò che rinforzava le condizioni per la riproduzione, il nutrimento e la protezione era riverito e considerato bello. Tra i manufatti archeologici più significativi dei periodi del Paleolitico e del Mesolitico ci sono figure femminili sulle quali si è molto dibattuto, a cui ci si riferisce comunemente come “Venere”, e che rappresentano questo fenomeno. Nonostante gli scarsi mezzi di sussistenza di una vita non sedentaria, in cui era quasi impossibile essere corpulente, la venerazione della fertilità e le Veneri giocarono un ruolo notevole nella vita e divennero i simboli dei valori sociali quali la bellezza e il sacro. Queste figure rappresentano donne con pance abbondanti e seni prominenti che pendono sui loro larghi fianchi e che sono spesso in procinto di partorire.
Nella geografia del Medio Oriente si possono trovare figure femminili più grandi e più significative dalla prima era Neolitica, a partire circa dal 6500 a.C. Tra le più antiche fra queste ci sono le case di Çatal Hüyük con rilievi che rappresentano donne, datate tra il 6500 e il 5600 a.C. In questi rilievi esse sono generalmente gravide e hanno ampi seni. Öcalan fa riferimento alla fonte delle figure femminili di Çatal Hüyük quando scrive che: “La rivoluzione del Neolitico (…) ha avuto luogo nella culla dei fiumi Eufrate, Tigri e Zab. Inizia lì e va fino a Çatal Hüyük. Le donne sono le prime a sviluppare agricoltura e allevamento animale. Lei è dipinta come se si stesse facendo proteggere da due leopardi. Negli scavi di questi siti sono emerse molte figure femminili a indicare che il potere delle donne era diffuso. La famosa Potnia Theròn (signora degli animali) tra quelle che sembrano essere due pantere è sia madre sia giudice della natura. Secondo un archeologo, Potnia dev’essere stata la madre delle altre dee, che sarebbero state una fonte di speranza per i contadini e i pastori dall’inizio del Neolitico fino all’ascesa delle religioni monoteistiche di dominazione maschile.
In periodi successivi, le comunità rurali matriarcali espressero il significato di bellezza, fertilità, gentilezza e bontà nella devozione alla dea. Inanna per i Sumeri, Ishtar per gli Accadi, Astarte per i Cananei, Kubaba e poi Cibele per gli Urriti e gli Ittiti, al-Uzza per la penisola araba, Demetra per le culture latine e Afrodite per i Greci, tutte rappresentavano simboli, rituali e pratiche comuni. Sono tutte dee della fertilità, dell’amore e della bellezza. Öcalan afferma che la tradizione di Inanna-Afrodite rappresenta una femminilità che non ha ancora perso la sua bellezza, l’attrazione sessuale e la forza fisica. Ciò che è rappresentato dalle dee quindi è la tradizione agricola della società, il suo modo di vivere etico-politico. È ancora possibile trovare tracce delle culture delle dee nei resti delle società etico-politiche e riconoscere le immense lotte generate in luoghi in cui questa cultura è forte. Sebbene non ci sia traccia di essi alla prima apparizione al fianco delle dee, gli dei sono emersi all’inizio come i loro figli piccoli e poi come i loro mariti. Dumuzi accanto a Inanna, Tammuz accanto a Ishtar, Baal con Astarte, Attis accanto a Cibele, Osiride con Iside e Adone accanto ad Afrodite. Il sacro rito del matrimonio, che è un’unione della dea con il suo partner scelto, tenuto all’inizio della primavera, aveva luogo secondo i termini delle dee. I tributi sono collegati alla bellezza e alla fertilità di questo processo. In autunno, Dumuzi, Tammuz, Baal, Attis, Osiride e Adone muoiono, rappresentando il ritorno della natura alla terra, solo per essere riuniti di nuovo alle dee all’inizio della primavera. Queste storie mitologiche prevalgono ancora nelle nostre epopee, quali quelle di Leyla e Majnoun, Mem e Zîn, Kerem e Aslı, Tahir e Zühre, Yusuf e Zulaikha, Arzu e Qamber, Siyabend e Xecê, storie che vengono raccontate ancora oggi. La bellezza delle donne decantata nelle storie d’amore dell’epica rappresenta in effetti le dee come fonte di bellezza e vita, esprimendo i desideri di quel tempo. Per questa ragione, in queste tragiche storie d’amore, l’amore viene sempre attaccato da forze malevole, gli amanti non riescono mai a incontrarsi in questo mondo malvagio, ma il loro amore rimane la fonte della vera bellezza. Questo è il motivo per cui Shirin e Farhad si dicono:
“Ho trovato la perfezione soltanto in te D’ora in poi non posso sperare di creare la perfezione La mia prima sconfitta è la mia sconfitta suprema Il lavoro di Farhad è completo Shirin si oppone alle parole di Farhad. Dice: … ci siamo già avventurati nella creazione A tutte le bellezze verrà chiesto di noi Abbiamo iniziato la cosa buona e giusta Il nostro pensiero cercherà sempre l’eternità Elimina tutto ciò che hai creato, se vuoi Se vuoi, crea tutto di nuovo Se vuoi, racconta di una passione che non diminuirà Cammina verso i tempi che ci aspettano Voglio che superi la mia bellezza Non voglio rimanere da sola nella natura Devo concepirmi con ciò che hai creato Dammi maggiori bellezze…” [traduzione non ufficiale]
Per molto tempo, la bellezza ha trovato significato nella forma dei valori collettivi. Le persone che erano coraggiose, si sacrificavano ed erano modeste, quelle che vivevano nella comunità, quelle che non si piegavano davanti all’ingiustizia, erano viste come belle. Prima che le nostre menti fossero avvelenate dai paradigmi positivisti della scienza, erano le fiabe, l’epica, le canzoni dei dengbej [lamentazioni dei cantastorie curdi], le poesie e i proverbi a essere la maggiore fonte di educazione sociale, descrivendo e diffondendo ciò che era bello, buono e giusto. Comunque, le percezioni della bellezza sono cambiate sempre di più nel tempo.
Tra quelli che hanno formato la nostra nozione di bellezza c’è Aristotele. Egli definì la bellezza con ideali e proporzioni matematiche. Disse: “Le forme principali di bellezza sono ordinate, simmetriche e precise, in special modo con la dimostrazione della scienza matematica” e pretese di esprimere ciò nella “regola aurea” della matematica. Secondo questo principio, questa caratteristica misurabile era vista come la fonte della bellezza dei volti, dei corpi e dell’arte, nei dipinti e nelle sculture dei Greci, dei Romani e degli artisti del Rinascimento perfino i corpi delle donne e degli uomini erano rappresentati con questa formula. La Monna Lisa di Leonardo da Vinci fu creata in questo modo. Mentre da una parte nell’arte la bellezza era idealizzata ed espressa, dall’altra era sempre più ridotta alla sua apparenza fisica e all’essere una tendenza artistica. Specialmente la “bellezza interiore”, come era stata considerata dalla filosofia orientale, venne messa da parte. L’unica bellezza che sembrava avere senso e avere valore era quella che seduceva lo sguardo ed era espressa nella forma.
Oggi, i volti e i corpi sono tagliati e ricostruiti con la chirurgia plastica come se fossero fatti di argilla, per raggiungere standard matematici come “la sezione aurea”. I corpi e gli organismi viventi sono trasformati in repliche di statue. Le definizioni di bellezza, per essere precisi di bellezza delle donne, seguono le affermazioni di Aristotele che definiva le donne come “uomini mutilati”, esseri inferiori agli uomini. Dichiarando che le misure ideali dei corpi delle donne sono 90-60-90, dichiara difettosa qualsiasi altra forma o dimensione dei loro corpi. Perfino quando queste forme e standard sono impossibili da raggiungere per una grande maggioranza di donne, specialmente non in modo sano, c’è un interesse particolare nel far sì che le donne investano il loro tempo e la loro energia nel raggiungimento di questi ideali. Come risultato, molte donne si trovano ad avere problemi di salute, per ragioni fisiche o psicologiche, incluse la depressione e altri disturbi mentali. Di conseguenza, le donne ritenute incapaci di raggiungere quegli standard idealizzati di bellezza sono condannate a soffrire complessi di inferiorità per tutta la vita. Le persone sono indotte a temere i cicli naturali della vita, ad avere paura dell’invecchiamento e della maturità. Invece di vivere la bellezza intrinseca di ogni età, piangiamo per la perdita visibile di giovinezza e “bellezza”. Ogni ruga, ogni capello bianco nello specchio diventa una fonte di dolore.
Finché non abbelliremo la vita, tutte le bellezze esistenti saranno in pericolo. Le foreste antiche, i fiumi fecondi, i litorali vivaci, vengono guardati avidamente dalle compagnie, dagli Stati e dai mercati che hanno come fine l’interesse e il profitto. Ogni giorno, edifici di cemento, dighe e altre infrastrutture distruggono le bellezze naturali, spesso in maniera irreversibile. La natura sta perdendo la sua difesa. Le giovani donne belle sono vendute come oggetti dai loro genitori per matrimoni con vecchi uomini ricchi, oggetti alla mercé e al servizio di coppie abusanti e violente, merci che generano soldi sul mercato. Le donne sono anche state private con la forza dei loro mezzi di difesa. Ogni giorno, le donne sono uccise dai loro partner in nome dell’amore. Ci sono molti testimoni di come l’ISIS o gruppi simili scelgono le “ragazze più carine” da vendere come schiave sessuali. In altre parole, in un mondo così brutto la bellezza che non è protetta né organizzata rischia l’uccisione o lo stupro. Questo è il motivo per cui dobbiamo vivere la bellezza collettivamente – e dobbiamo creare spazi affinché ciò accada. Solo affermando i nostri valori etici ed estetici in tutte le sfere della vita, incluse politica, economia e cultura, possiamo stabilire coscientemente standard di bellezza, vivere in modo bello e diventare fonti di bellezza.
In questo senso, si può rendere la vita più bella combattendo contro la bruttezza, l’ingiustizia e la malvagità intorno a noi. Specialmente in quanto donne noi dobbiamo essere consce della nostra responsabilità di abbellire la vita, perché siamo sempre state le maggiori vittime della bruttezza. Come espresso magnificamente dalla guerrigliera e compagna Bêrîtan (Gülnaz Karataş) dopo un’azione a Rubaruk in cui venne colpita in volto da un proiettile nemico: “Guarda quanto si può essere belle. Sono così bella ora.” La compagna Bêrîtan è una delle prime a comprendere che non abbiamo scelta se non quella di essere belle attraverso la lotta. Questo diventa anche più evidente quando consideriamo gli ultimi sviluppi, quali il sistematico aumento di violenza contro le donne. Non sto parlando soltanto di difenderci fisicamente con le armi. Le donne che democratizzano la politica, le donne che rischiano la vita per proteggere la comunità e le altre donne, le donne che educano loro stesse e quelle intorno a loro, le donne che vivono nella comunità, le donne che salvano l’equilibrio ecologico, le donne che combattono per crescere i loro figli in territori liberi, con le loro identità… e molte altre, sono tutte donne che si rendono belle combattendo. Nel mondo odierno pieno di bruttezza, ingiustizia e malvagità, non è l’estetica delle forme fisiche, aumentate, che costituisce la bellezza; solo le donne che difendono la vita con la lotta possono creare bellezza.
In questo senso, c’è qualcosa di più bello delle giovani donne che combattono il fascismo dell’ISIS?
La nazione democratica è l’unità di tutte le strutture organizzative sulla base della libertà sociale, politica, culturale, economica, religiosa, confessionale e della liberazione delle donne, ad un livello ecologico e comunitario.
da Komun Academy – 14 maggio 2020 traduzione inglese dello YXK (Unione degli Studenti del Kurdistan)
Attualmente, il capitalismo globale è in una fase seriamente caotica. Il Medio Oriente, l’Anatolia e la Mesopotamia sono in cima alla lista delle regioni colpite. Perciò è un periodo cruciale per gli interessi dei grandi centri di potere del mondo. Gli intervalli caotici sono associati a sviluppi economici, sociali, culturali e politici che portano alla graduale dissoluzione delle strutture tradizionali dello Stato-nazione e all’emergere di modelli alternativi. La mentalità statalista, orientata al potere e nazionalista, che è basata sulla violenza, si è normalizzata e ha separato le persone, trasformando di conseguenza le regioni in una zona di guerra.
Il caos odierno è un’espressione delle politiche che gli Stati-nazione hanno praticato in Kurdistan negli ultimi due secoli, che sono dirette contro gli interessi della popolazione. Specialmente i massacri degli Armeni, degli Assiri, degli Aramei e dei Curdi hanno impedito che essi unissero le forze e costruissero i loro autogoverni. Questo non poteva essere impedito senza privarli della loro libertà e lasciando che si distruggessero gli uni con gli altri. Questa politica ha esteso la vita della modernità capitalista ed è diventata la sua ancora di salvezza. È ancora praticata in Kurdistan da organizzazioni fantoccio supportate dall’esterno e da collaboratori regionali. Questo è il motivo per cui stiamo attualmente affrontando la Terza Guerra Mondiale in Medio Oriente e per cui quelli che insistono sul Kurdistan stanno affrontando negazione e annientamento.
Gli attacchi al Rojava sono una chiara espressione di ciò. La rivoluzione del Rojava è il risultato della resistenza dei Curdi. In Rojava e nel Kurdistan Meridionale si è anche sviluppata un’eroica resistenza contro la maledizione del Medio Oriente, il fascismo di ISIS. Anche la proclamazione dell’autogoverno in Kurdistan Settentrionale deve essere compresa in questo senso. È possibile condurre una lotta profondamente ideologica per una vita libera e una volontà democratica contro tutte le forme di schiavitù, arretratezza e rassegnazione prodotte dal sistema di annientamento culturale (olocausto) ad un livello individuale e sociale. Le politiche degli Stati si confrontano con il modello di soluzione alternativa quale un sistema di autonomia democratica, che è basato sull’accordo di “democrazia e Stato” e combina la coesistenza uguale e libera dei popoli come base dei suoi approcci alla soluzione. Perciò, finché i popoli del Kurdistan e del Medio Oriente non avranno ottenuto il loro autogoverno, saranno esposti ai massacri e alle politiche negazioniste degli Stati-nazione e non saranno in grado di raggiungere la libertà. In tal senso, si stanno difendendo l’esistenza e la libertà curde, la realtà storica dei Curdi, l’unità democratica dei popoli del Medio Oriente e un’umanità libera. Comunque, nella fase presente, non c’è altra soluzione per i popoli che costruire il loro autogoverno e realizzare la loro volontà. In ogni caso, si sta tentando di criminalizzare questi sforzi. Nonostante ciò, questi popoli del Kurdistan stanno combattendo con la volontà di democratizzare la Turchia e per la liberazione del Kurdistan.
“LA CREAZIONE DI UNA PIATTAFORMA SU CUI TUTTI I TIPI DI GRUPPI SOCIALI E POLITICI, COMUNITÀ RELIGIOSE O TENDENZE INTELLETTUALI POSSANO ESPRIMERSI DIRETTAMENTE IN TUTTI I PROCESSI DECISIONALI LOCALI PUÒ ANCHE ESSERE CHIAMATA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA.” (ABDULLAH ÖCALAN)
Neppure in questo secolo l’umanità è ancora stata in grado di fornire una soluzione fondamentale ai problemi di identità nazionale, libertà e democrazia, ma ci troviamo in una situazione in cui non è possibile continuare a governare nello stesso modo di prima. Fermarci a questo punto condurrebbe a una rinnovata carneficina di popoli. L’unico modo per resistere è costruire la vita culturale e sociale dei popoli. Non accetteranno come base né il carattere genocida della modernità capitalista né lo status quo reazionario della regione. L’unica via rimasta è quella di costruire la modernità democratica, applicarla e difenderla. Il modo per raggiungerla è attraverso l’auto-organizzazione ideologica, politica e morale nel senso del principio della nazione democratica e dell’autonomia democratica, in altre parole, attraverso la costruzione di una democrazia del popolo.
La democrazia è un modo di vivere comunitario per una società etico-politica, che è in sostanza extra-statale, contro la nazionalizzazione, basata sull’autogoverno.
Autonomia democratica significa creazione della democrazia e del sistema sociale di ciascuno. Inoltre, la lotta per un sistema democratico di autogoverno consiste nel portare l’esistente sistema di Stato-nazione a rispettarlo. Esso è basato sulla concezione di nazione democratica, che non favorisce alcuna nazione ma rappresenta una struttura sovranazionale. La nazione democratica è l’unità di tutte le strutture organizzative sulla base della libertà sociale, politica, culturale, economica, religiosa, confessionale e della liberazione delle donne, ad un livello ecologico e comunitario.
È l’organizzazione operata in modo indipendente (autogoverno) di una società organizzata. L’autonomia democratica include il riconoscimento costituzionale di tutte le identità così come l’educazione alla lingua madre, uguale libertà per tutte le culture, libertà di opinione, organizzazione, assemblea e libero accesso alla politica. Culture e popoli negati sono inclusi in politica. Nel contesto della democratizzazione della Turchia, il libero sviluppo di diverse identità e la loro libera espressione e organizzazione è sinonimo di autogoverno democratico. Le libertà menzionate qui non sono limitate a una certa regione della Turchia o a una certa parte della società, ma si applicano a tutti i gruppi etnici e sociali. Perché la libertà non deve essere ristretta geograficamente.
L’autonomia democratica rifiuta i meccanismi statali centralistici, burocratici e monistici che sottendono al nazionalismo e include il superamento dei problemi creati da questo sistema e l’applicazione di una concezione di politica pluralistica, democratica, equa e solidale. La questione è aprire la struttura dello Stato al pluralismo, a differenti sfumature di colore e perciò rendere plurale lo Stato monistico. Invece di concentrare tutto il potere al centro, i meccanismi burocratici ingombranti dovrebbero essere superati e l’autonomia democratica dovrebbe essere stabilita sotto il primato della democrazia dal basso. I poteri centralizzati dallo Stato devono essere lasciati al popolo e la politica deve sviluppare forza di attrazione e soluzione attraverso la partecipazione diretta di gruppi locali e popolazione. Lo Stato deve essere sensibilizzato alla società. La dipendenza di tutti i cittadini dallo Stato dovrebbe essere ridotta al minimo; i cittadini dovrebbero diventare una forza modellante e risolutiva, determinando le loro stesse vite.
L’autonomia democratica fondamentalmente rappresenta un modello in cui sono messi in atto sistematicamente i principi “poco Stato, molta società” o “pochi divieti, molte libertà”. L’auto-amministrazione è una forma di amministrazione che non cerca il potere; in questo modo sono in parte evitati i problemi sociali connessi con la sete di potere così come con l’oppressione e lo sfruttamento.
Come alternativa alla concezione di amministrazione statale incentrata sul potere che causa problemi sociali, l’auto-amministrazione vuole essere una concezione democratica di politica. Combatte gli approcci che rendono la società passiva e senza volontà e raccomanda metodi di autogoverno che includano ogni cellula della società.
L’obiettivo principale è rimpiazzare il centralismo antisociale e la burocrazia con un’organizzazione sociale basata sulla democrazia dal basso. La democrazia dal basso si basa sulla vita di una società morale e politica e sulla partecipazione del popolo a tutte le discussioni e ai processi decisionali.
Al contrario della concezione di amministrazione concentrata, uniforme e burocratica e della leadership dello Stato-nazione, tutti i gruppi sociali e le identità culturali sono rappresentanti in tutte le strutture politiche e perciò realizzano l’auto-amministrazione della società. La leadership è determinata dall’elezione e non dalla nomina. I meccanismi decisionali effettivi includono consigli e discussione. Dal corpo di coordinamento generale (consiglio, commissione, congresso) ai comitati locali, ciascuna unità o gruppo ha controllo e autogoverno democratico su una soluzione delle mansioni sociali corrispondenti al suo contesto culturale.
La condizione principale della democrazia dal basso è che internalizza la democrazia diretta ed è basata su una società organizzata. Nessun gruppo o classe sociale può prendere decisioni da solo per conto di un popolo o di una società. Viene evidenziato che ciascuno dovrebbe avere il diritto di prendere e realizzare decisioni per sé stesso a proprio nome.
In tutto il mondo sta diventando chiaro che cambiare la struttura centralizzata e burocratica della politica è sia una necessità democratica che una seria via di uscita per la soluzione dei crescenti e numerosi problemi. L’autonomia democratica sta venendo messa in agenda come la scelta più appropriata per superare uno dei problemi politici più urgenti del Medio Oriente e per il bisogno di cambiamento politico in Turchia. È cruciale che l’autonomia abbia un contenuto democratico.
In breve, l’autonomia democratica rappresenta il corpo, mentre la nazione democratica anima quel corpo. Organizzando le sue istituzioni, il popolo pratica l’autogoverno locale. La vita della nazione democratica ha un’unità mentale e istituzionale. Perciò i cittadini di questo sistema possono essere chiamati “liberi cittadini”. La loro libertà è misurata dalla libertà sociale. L’antidoto all’individualismo imposto è la vita comunitaria.
L’organizzazione in forma di municipalità e consigli
I consigli e le municipalità formano la base per la democrazia dal basso. La loro struttura dipende da una società organizzata. In questo senso, per il funzionamento della democrazia dal basso stiamo parlando di un sistema che spazia da consigli di villaggio, distretto e città a consigli distrettuali e regionali. È un sistema che inizia localmente dal basso, supera il centralismo statalista e perciò corrisponde alla natura della società. L’istituzione in cui sono messi in pratica i valori municipali è soprattutto il consiglio. La concezione della consapevolezza della nazione democratica è allenata nelle comuni, messa in pratica nella vita di tutti i giorni e diventa un sistema attraverso i consigli.
Quando i valori democratici in una società diventano concreti, significa che c’è vita comunitaria e i consigli hanno strutture organizzative simili. Una delle caratteristiche rilevanti della democrazia dal basso è che crea un senso di responsabilità in tutti gli individui in una società, verso loro stessi e l’ambiente. Tutte le responsabilità socialmente rilevanti sono condivise tra tutti gli individui in una società, quindi viene alla luce la forza propria di ciascun individuo e promuove lo sviluppo personale. Questo approfondisce il senso di responsabilità sociale e rafforza la comunità.
La comune è una forma di organizzazione dal basso in cui i liberi cittadini possono esprimere loro stessi in ogni aspetto e ottenere tutte le risorse che hanno bisogno per condurre una vita in proprio. Quando si parla della comune, non si deve pensare soltanto all’economia. La bugia del capitalismo “non c’è società, solo individui” è contrastata dalla verità “un individuo esiste soltanto nel contesto della sua società”. C’è una forte connessione tra la comunalizzazione e la liberazione, perché la libertà e il comunalismo sono parte della natura della società. Non ci può essere liberazione senza comunalizzazione, proprio come non ci può essere comunalizzazione senza liberazione. Essere un membro di una comune richiede una vita secondo standard democratici. È una condizione della democrazia rendere i principi della vita insieme concreti nella vita di ogni individuo.
Ogni comune deve essere guardata come un’unità morale e politica della società. La democrazia dal basso è l’opposto del sistema statale, che allestisce un parlamento al più alto livello e lo impone alla società. Si tratta di un sistema in cui i consigli sono costituiti proprio dal basso, dai distretti e dai villaggi, per rendere possibile ad ogni individuo di partecipare ai meccanismi decisionali in questi consigli. I consigli locali avranno procedure appropriate al loro ambiente. Non tutto può essere preparato o gestito secondo il pubblico generalizzato. I principi di base devono essere basati su questo. Il coordinamento tra i consigli che si stanno stabilendo è importante. In questo coordinamento, comunque, i consigli non possono decidere gli uni per gli alti, piuttosto viene sviluppata una cooperazione. I principali poteri decisionali spettano ai consigli del villaggio, di quartiere, locali, distrettuali e regionali. La base della democrazia locale (dal basso) è fornita dai consigli, che assicurano che i bisogni della società siano soddisfatti più rapidamente e che i problemi generali siano risolti in un modo più diretto e realistico. Nel sistema statale, che è basato sul centralismo, si tenta di trasportare i problemi sociali dal locale alle capitali e di mantenerli con l’aiuto di un apparato burocratico enorme, mentre in una democrazia dal basso i problemi sono risolti localmente e la società è liberata da spese non necessarie di tempo e soldi.
Senza aspettarci che la soluzione ai problemi sociali venga dallo Stato, ci si dovrebbe organizzare a livello delle regioni e secondo la situazione sociale, economica e culturale in Turchia e in Kurdistan, a partire dai villaggi, sulla base di municipalità, distretti, città, paesi, province e della regione stessa. Con l’aiuto di istituzioni civili e indipendenti, in cui la società sviluppa le proprie soluzioni ai propri problemi, l’obiettivo è costruire un sistema più pratico, democratico e partecipativo. Dall’economia all’educazione alla salute, all’ecologia, alla cultura e alle arti, alla liberazione delle donne, nuove capacità possono essere raggiunte in tutte queste aree della società. Tutte le strutture locali in queste aree potranno formare commissioni ecc. secondo necessità, ma solo in accordo con le condizioni pratiche della vita.
Abbiamo assistito a un giorno nella vita delle guerrigliere. Un giorno pieno di fatica e risate. Quando le guerrigliere lavorano, un sorriso appare sui loro volti. Quando le guerrigliere ridono, il loro sguardo si illumina.
Un altro giorno nelle zone della guerriglia. Il sole sta sorgendo lentamente. Ma il “Rojbaş” [buongiorno] della guerriglia ha ridestato tutte prima del sole.
Quella voce è un “buongiorno” al mondo: “Risvegliamo ancora una volta l’umanità, svegliamo il mondo da un sonno mortale. Siamo l’acqua che impedisce all’albero dell’umanità di rinsecchirsi.”
Ai giovani quella voce ha detto: “Per vendicare milioni di giovani che hanno dato le loro vite per la libertà. Per i nostri antenati che furono schiavizzati sulla via della libertà in Kurdistan. La loro unica speranza era che i loro nipoti si sarebbero vendicati.”
Ancora una volta, siamo state accolte dalle guerrigliere con amore e ospitalità. Il sorriso delle guerrigliere non stanca mai. Abbiamo assistito a un giorno della guerriglia.
Un giorno pieno di fatica e risate. Ogni volta che le guerrigliere lavorano, le risate appaiono sul loro volto. Ogni sorriso è accompagnato da uno sforzo maggiore.
Mi domando: qual è il segreto? Come può una persona stancarsi così tanto e rimanere così tanto gradevole? Con l’amore e l’affetto, lo spirito dell’essere umano si risveglia. Tutto il carico sulle spalle dell’essere umano è sollevato. Funziona benissimo. Quando la guerrigliera ride, il suo sguardo risplende. Quando le donne uniscono il sorriso alla fatica, diventano sempre più belle.
Come cresce la fatica negli occhi della guerrigliera? Come combina l’amore e la devozione? Volevamo che il titolo di questo articolo fosse “Donna, fatica e risate”. Lasciamo che la fatica e la risata siano il segno che distingue le donne.
Queste donne lavorano contro l’occupazione, combattono per le donne. Questa lotta le fa crescere ogni giorno di più. La vita nell’area autonoma della guerriglia è meglio di qualsiasi altra cosa.
Nella guerriglia lo stare con le compagne, la condivisione, l’amore e la lealtà sono al livello più alto. La comandante Nuda voleva inviare due guerrigliere per una lunga missione. Quando ha mandato le guerrigliere in servizio, non ha dimenticato di far loro qualche raccomandazione.
Quando le guerrigliere sono tornate, non c’erano segni di fatica sui loro volti. Un giorno di guerriglia passa così. Il giorno è finito con risate, amore e saluti.
“Come trattiamo la natura, come vengono trattate le persone, come si tratta la nostra interiorità, qui è dove inizia il dibattito sulla salute” – Intervista a un’operatrice sanitaria internazionalista in Siria del Nord-Est (10 maggio 2020)
“Come trattiamo la natura, come vengono trattate le persone, come si tratta la nostra interiorità, qui è dove inizia il dibattito sulla salute” – Intervista a un’operatrice sanitaria internazionalista in Siria del Nord-Est (10 maggio 2020)
Condividiamo l’intervista pubblicata originariamente in spagnolo sul blog Buen Camino del quotidiano spagnolo El salto. L’intervista è in lingua inglese ed è stata pubblicata il 16 maggio 2020 sul blog Women defend Rojava. Sempre il 16 maggio, sul blog dell’ANF, è apparsa anche la versione tedesca.
L’internazionalista tedesca Jiyan Bengî in un ambulatorio sul fronte di Til Temir (Rojava).
Jiyan Bengî è un’internazionalista tedesca che dopo il massacro di Sinjar e l’attacco a Kobane nel 2015 ha deciso di trasferirsi nel Nord della Siria per unirsi alla democrazia confederalista rivoluzionaria promossa dal movimento di liberazione curdo. Sta attualmente svolgendo lavori di assistenza sanitaria sulla linea del fronte. Abbiamo parlato con lei dell’impatto del Coronavirus in Rojava, del concetto di salute nella rivoluzione, della forza trasformatrice del movimento delle donne e delle difficoltà di costruire un’alternativa alla crisi del capitalismo in Europa.
Puoi inserirci un po’ nel contesto? Com’è la situazione qua al fronte, come influisce sull’occupazione, a che punto è la guerra?
Questa è l’ultima linea del fronte dall’inizio dell’offensiva lo scorso anno. Qui per esempio c’è un quartiere che appartiene ad un çete [gruppo jihadista – n.d.t.] e ci sono ancora attacchi frequenti, la maggior parte delle volte con armi pesanti, ma anche leggere. Ad un livello più generale, ora c’è molto movimento. C’è movimento di aerei da guerra, c’è movimento dall’altro lato del fronte, sappiamo che i soldati turchi stanno costruendo altre postazioni, rinnovando le truppe, svolgendo lavori di ricognizione. I droni che volano, i russi che fanno le ronde con i soldati turchi, gli americani anche, in gran parte qui si tratta di raccogliere informazioni. Perciò pensiamo che dopo questa situazione del Coronavirus avremo di nuovo un’intensificazione della guerra. Allo stesso tempo, l’ISIS si sta riorganizzando specialmente nella regione di Deir ez-Zor, gli attacchi e le minacce lì fanno di nuovo parte della vita. Inoltre, le loro cellule dormienti vengono tuttora catturate nei cantoni di Cizire e Kobane. La guerra, anzi le guerre, che stiamo affrontando qui hanno queste diverse componenti.
Prevedi quindi che la Turchia continuerà a provare a occupare nuovi territori?
Per la Turchia la questione non è se attaccare o no, la questione è quando farlo. Se le condizioni sono favorevoli, allora lo faranno. Dipende anche dalle relazioni tra loro e i loro alleati politici e militari. Ma di sicuro, se dipende dalla Turchia, ci sarà guerra di nuovo.
Quale influenza ha su tutto questo la pandemia?
Allora, da una parte, se guardiamo alla situazione mondiale, ora sono tuttx concentratx sul Corona, guardi le notizie e sono Corona, Corona, Corona, quindi se adesso l’intero Rojava (o qualsiasi altro posto nel mondo) bruciasse, sfortunatamente non interesserebbe a nessunx. D’altra parte, quando le infrastrutture elettriche o per la fornitura idrica vengono bombardate, riguarda quello, giusto? Riguarda l’influenza sul morale delle persone, terrorizzarle, mettere pressione sui bisogni della vita quotidiana, diffondere rabbia e paura. Intendo, se pensi ad una città grande quanto Heseke, un singolo giorno senz’acqua… specialmente in una situazione di pandemia, in cui devi pulire ogni cosa ogni giorno, oltre alla necessità dell’acqua potabile, questa è una strategia di guerra continua molto chiara contro le persone della Siria del Nord-Est.
Il sistema idrico di Haseke danneggiato da un attacco turco.
In generale, qual è stata la risposta del Rojava alla minaccia dello scoppio pandemico?
Quando è iniziata questa situazione del Covid-19, la reazione è stata: fermeremo tutto, tutte le strutture militari devono fermare le operazioni “attive”, perché prima di tutto siamo tuttx di fronte alla minaccia di questo virus, che a tutt’oggi è un “nemico” che non è molto chiaro come funzioni. Perciò, per sicurezza e protezione, ci fermiamo e proviamo a rendere tuttx consapevolx di quanto sia importante seguire le procedure di protezione individuale. Per esempio, nella nostra regione, andavamo da tutte le unità e spiegavamo la situazione, la minaccia, come proteggersi, il protocollo se ci fosse stata qualche persona con sintomi, ecc. Poi si tratta di organizzare l’equipaggiamento medico e dare anche informazioni per il materiale disinfettante fai-da-te e per la protezione. C’è ancora l’embargo, non abbiamo così tante risorse, anche soltanto procurarsi mascherine e guanti per tuttx era e continua ad essere impossibile.
Ciò di cui abbiamo anche avuto esperienza è stato convincere una società altamente socializzata ad agire in modo totalmente antisociale (niente strette di mano, abbracci, baci… distanza, niente incontri o visite, un diverso modo di mangiare e bere). Spiegare l’importanza di applicare tutto questo è stato abbastanza difficile. Perché quando guardi le unità di terapia intensiva qui, i posti disponibili… abbiamo 40 respiratori, questo significa che possiamo gestire soltanto 40 casi gravi che necessitino di respirazione assistita, significa che il resto non avrà trattamenti adeguati finché il respiratore non sarà libero, il che sarà probabilmente perché quella persona è morta… quindi ci sono ragioni molto concrete per questi protocolli di protezione e per il confinamento.
Collaboratori di Jiyan Bengî all’interno di un’ambulanza.
Le misure quindi sono le stesse dell’Europa?
Allora, anche qui c’è il confinamento e gli unici pubblici esercizi aperti sono quelli che vendono cose di cui le persone hanno bisogno, come i negozi di alimentari, le farmacie, i negozi di attrezzature agricole… abbiamo anche Asayîş [forze di sicurezza interna – n.d.t.] che assicurano che le persone seguano il confinamento, quindi se lo osservi in modo un po’ superficiale, tutto ha la stessa forma, naturalmente, ma d’altra parte hai strutture diverse all’interno della società. L’acqua e l’elettricità sono gratis e il cibo e altri beni di prima necessità vengono forniti alla popolazione attraverso le Comuni, che penso sia una differenza rispetto all’Europa, perché questo fa parte integrante del sistema adottato qui, dell’idea di società e salute che hanno qui.
C’è una struttura, che costituisce la base della vita qui, e ci sono persone che si assumono questa responsabilità: non è che alcune persone decidono di essere brave persone e perciò usano i loro soldi per dar sostegno ad altre persone, cosa che in un sistema capitalista è una buona decisione, ma è diverso se la base del sistema è la solidarietà reciproca attraverso le Comuni. Perciò non dipendenti da uno Stato, ma dalla responsabilità che tuttx si prendono nei confronti di altrx. In Europa avete gli Stati che si stanno rivelando impreparati dinanzi a questa crisi. Avete bisogno del denaro per risolvere quello che la società dovrebbe avere come livello di base del vivere insieme. L’assistenza sanitaria, la socialità, la responsabilità, ecc.
Una miliziana delle forze di sicurezza interna Asayîş.
Quando l’amministrazione ha iniziato ad annunciare le misure, abbiamo avuto la sensazione che forse le persone non le abbiano prese molto seriamente…
Questo è un territorio che è stato in guerra per lungo tempo, la popolazione ha visto molta miseria, molta morte, hanno avuto molte perdite. Ora si deve affrontare un nemico che non vedi, non vedi come si diffonde, non vedi ciò che accade o come le persone si ammalino… perciò pensi “Ok, se perfino le cose di cui abbiamo bisogno non entrano, come farà ad entrare il virus?”. Le persone talvolta sembreranno troppo tranquille, perché ne hanno già viste troppe. Ma è bene notare che dopo che alcuni casi sono stati confermati, le persone la prendono più seriamente e sembrano più intenzionate a seguire le procedure necessarie.
Prima hai accennato alla questione della salute. Qual è la prospettiva della rivoluzione sanitaria? Perché in Europa, quello che vediamo con la situazione attuale è che essere in salute significa principalmente…
Funzionare. Essere in grado di funzionare.
Ecco.
L’idea è di creare una società basata sui valori di democrazia, ecologia e liberazione delle donne. Quindi, quando si tratta di quello, la domanda è: dove inizia la salute? Forse inizia da un punto diverso da quello che diamo per scontato. Abbiamo bisogno di questo mondo e di questa natura. Ne abbiamo bisogno per vivere, ma la natura non ha bisogno di noi. Questo è qualcosa che si sta comincando a capire ora, no? L’aria è pulita, il mare è pulito, c’è movimento, gli animali “si scatenano”, come se fossero felici, spuntano ovunque [ride].
E questo è il problema, giusto? Il mondo non ha bisogno di noi e noi non siamo in grado di capire e di apprezzare ciò di cui abbiamo bisogno. Non apprezziamo la vita e la natura. E guardare alla natura soltanto come a qualcosa che dovrebbe fornirci le cose che vogliamo è il primo passo per iniziare una relazione molto insalubre con il mondo, una relazione molto pragmatica con il mondo, con la vita in generale, su cui si costruisce tutto il resto. Quindi come trattiamo la natura, come vengono trattate le persone, come si tratta la nostra interiorità, è qui che inizia il dibattito sulla salute. Il modo in cui impariamo a vivere questa vita, a pensare, a sentire, che cosa fare, chi essere, è tutto connesso ad un cuore sano, a sani sentimenti, anima, mente e vita.
Quando guardiamo all’Europa, a quegli Stati che chiamiamo altamente “industrializzati”, c’è un numero assai elevato di casi di depressione e cosiddette “malattie della modernità” (diabete, ecc.) … Le persone tentano di trovare un senso alla vita, sono alla ricerca, sforzandosi di raggiungere l’obiettivo di un’immagine convenzionale di individuo felice, bello, attraente, funzionale, un’immagine che in effetti è pura esteriorità, un esempio di ciò che la salute non è. Perciò iniziare a connettere tutto questo alla realtà sociale, alla realtà dell’essere umano in connessione con la natura, con te stessx come essere umano che sei una parte vitale e necessaria dell’umanità e della società, fare passi in questa direzione, è la base su cui mettere in pratica l’assistenza sanitaria. Siamo tuttx responsabili della salute nostra e di tutte le persone intorno a noi e del mondo in cui viviamo. Capire ciò, cogliere l’intero contesto e la connessione più profonda, raggiungere questo stesso livello, può soltanto significare prendere decisioni su ciò che usiamo, ciò che costruiamo, ciò che facciamo, secondo quella consapevolezza. Perciò quando parliamo di energia/risorse, non stiamo soltanto pensando a ciò di cui abbiamo bisogno, ma a come tuttx possano usarle in modo da non danneggiare la natura e la vita e da non esaurire la risorsa stessa. Quando parliamo di medicina, iniziamo dai casi nei quali la medicina farmaceutica non è la soluzione. Si tratta di tutto ciò che c’è prima della medicina farmaceutica, del nostro modo di vivere, ma anche di usare la ricerca per trovare soluzioni per malattie gravi o le esigenze di una chirurgia adeguata. Non dovrebbe esser questione di soldi o dell’utilizzo della medicina come risorsa per ottenere vantaggi materiali. Si tratta di condividere e prendersi cura l’unx dell’altrx, di ricondurre le decisioni a un contesto più generale.
Quando parli con la gente di qui di quale pensano che sia il futuro del Rojava, rispondono sempre la stessa cosa: “Non è chiaro, nessuno lo sa”. Ora, con la pandemia, sembra che questa stessa esperienza sia vissuta in Europa, c’è molta incertezza, c’è la percezione che nessuno sappia cosa succederà. Per un momento la “normalità” di milioni di persone è stata bruscamente interrotta. Considerando questa situazione da qui, cosa pensi che possa derivare da tutto questo?
Sì, c’è chi dice che questa situazione pandemica è in qualche modo positiva, perché le persone si trovano costrette a fare i conti con la realtà dello Stato, ma questo significa sottostimare il potere della normalità. Non penso che l’approccio delle persone sia tanto “quant’è malvagio lo Stato”, ma piuttosto “almeno ci rimane questo o quello, e ora possiamo di nuovo fare questa cosa o quell’altra”. Perché a questo punto, che alternativa c’è? Le persone torneranno sempre ad affidarsi a ciò che esiste già, perché non sta emergendo una nuova società che sia improntata all’amore e alla creatività, e le vecchie strutture e le vecchie idee, potranno piacerti più o meno, ma sai ciò che ti danno, in qualche modo ti “sostengono”, ti danno una certa sicurezza. E questa per me è la sfida principale delle nuove proposte, e anche del confederalismo democratico.
Offrire un’alternativa da una parte è qualcosa di molto pratico, essere in grado di fornire o creare alternative per il cibo e i bisogni di base, che riguardano direttamente le persone, nelle quali le persone possano impegnarsi, e anche idee in cui le persone possano identificarsi, che facciano loro comprendere il loro bisogno le une delle altre e la mutua responsabilità, che possano spingerle a passare all’azione. Si tratta di dare una risposta ai bisogni urgenti, ma anche di essere una macchina ideologica, disseminare analisi che spieghino come questa situazione sia stata raggiunta, portare le persone ad un punto comune. Questo punto comune significa anche che si dovrà costruire di nuovo la fiducia, che le persone dovranno fidarsi, anche di cose e persone di cui ci avevano insegnato a non fidarci. Tornare ad aver fiducia anche nella speranza e crearla mentre la si dà. Questa potrebbe essere la questione più difficile, perché puoi sempre dire “ok, questo è inutile, e questi gruppi, questa organizzazione, fanno tutto sbagliato e nessun cambiamento è possibile”.
C’è troppo pensiero negativo su tutto, troppo pregiudizio e troppe aspettative. È tutto basato sulla logica del dover “sapere”, la rete di sicurezza dell’“è sempre stato così”, “l’essere umano è così”, “devi essere al 100% logicamente sicurx prima di prendere qualsiasi decisione” … Perché devi davvero esser così, nel capitalismo, se non vuoi perdere tutto ciò che lo Stato può prendere da te.
Il Rojava è nel mezzo di una crisi economica e umanitaria, in guerra, sotto occupazione e ora sotto la minaccia di una pandemia, e ancora la resistenza continua. È costantemente sfidato alla sconfitta. Ciò non contrasta con la sinistra in Europa, con l’impossibilità di credere che possiamo vincere e non essere sconfitti?
Allora, francamente, bisogna capire che c’è paura di essere sconfittx, ma anche accettare il fatto che molte persone hanno già sconfitto se stesse, nelle loro prospettive, nelle loro alternative, diventando molto sub-culturali, molto liberali, con poca onestà, già sconfitte nella loro mentalità… nessuna speranza, nessun sogno, nessuna forza a cui connettersi… o troppi pensieri astratti, lontani dalla realtà della società, dalle emozioni, dai bisogni, lontani dalla gente. Bisogna accettare il fatto che siamo tuttx in qualche modo sconfittx in diversi punti, e comprendere questo significa dire: “Ok, allora sono necessari ulteriori passaggi”.
Penso che abbia a che fare specialmente con il mettere in discussione i nostri metodi. Non c’è messa in discussione del luogo da dove proveniamo e del perché siamo come siamo e quando non ti interroghi su questo puoi solo ripetere ciò in cui sei statx formatx, quello in cui sei cresciutx. Ci sono persone che pensano di essere rivoluzionari romantici, che vedono per esempio nella guerriglia o in altri gruppi combattenti, nelle lotte rivoluzionarie, il popolo che ti rende onore e tu che dai tutto fino alla morte. Allora, ci sono molte persone che lo fanno, per molte ragioni diverse, vanno anche fino in fondo, ma che cosa rappresentano nella vita quotidiana? I valori che – con le migliori intenzioni – molti compagni rappresentano, anche in situazioni difficili, sono dopotutto quelli di una mentalità patriarcale, una mentalità violenta, talvolta perfino fascista. Perché? Non perché sono persone cattive, ma perché non riflettono, non analizzano. Hanno imparato ad essere ignoranti. In questo modo agirai e prenderai decisioni solamente secondo questa mentalità. Le soluzioni che vedi, i problemi che vedi, tutto nella cornice di queste mentalità. Il risultato della tua lotta? Combattere fino alla morte o allo sfinimento o fino ad abbandonare la lotta per trovare un posto da qualche parte nel sistema esistente. E non è così che funziona se vuoi un mondo differente e vuoi un sistema differente, non funzionerà.
Se pensiamo alla rivoluzione qui, penso che un punto da tenere a mente sia ovviamente che c’è un nemico molto molto concreto che ci minaccia anche in un modo molto concreto, così le cose funzionano perché hai il bisogno pratico di difenderti. Ma un altro punto funziona a causa dell’esistenza di un forte movimento organizzato delle donne. Perché in tutti i passaggi e a tutti i livelli della società ci sono donne che si prendono responsabilità, presentano le analisi appropriate e mettono strumenti nelle mani delle persone. Perché è così? Perché è importante? Perché una delle analisi qui è che la base della “civiltà” e della società moderna è una mentalità patriarcale, statalista e oppressiva che in pratica significa che l’esistenza delle donne non è presa seriamente in considerazione. Una società con questa realtà è malsana, iniqua, offensiva, violenta, sfruttatrice… e partire da dove inizia l’oppressione è la chiave principale dei cambiamenti sociali e della ricostruzione dei valori di un mondo, di una vita e di una società olistici.
Jiyan col suo team nell’ambulatorio di Til Temir.
In che senso?Come realizzare tutto questo, concretamente?
Talvolta le persone pensano alla rivoluzione come ad un BANG! dopo il quale tutto è diverso. Invece ha più a che fare con le piccole cose. Penso a quarant’anni fa, quando la prima donna nella guerriglia è entrata nella casa di una famiglia e c’era questa bambina e anche questo bambino che la guardano e pensano: “Wow, non ho mai visto una donna così! Una donna che fa queste cose!”. E questo fa impressione a queste bambine, molte di loro vent’anni dopo partecipano alla lotta perché hanno avuto altre figure di riferimento da seguire, altre spiegazioni alle ragioni dei problemi che vedevano e vivevano, hanno capito che altri sentieri sono possibili e hanno deciso di prenderli, invece di essere intrappolate dalla pressione della famiglia… E quelli sono passaggi che le persone non colgono. Dicono: “Oh, guarda quella YPJ o quella YPG con le armi!”, ma ognuna di loro ha dovuto combattere una lotta enorme, lunga e spesso dolorosa fino a quel punto, specialmente le donne; e la lotta principale non è solo avere quell’arma, ma proseguire su questo sentiero, con questa decisione, seguendo la speranza di un’altra realtà, mentre le persone che conosci, la famiglia in cui sei cresciuta, gli amici che ti rispettavano, non ti appoggiano più, perché le loro tradizioni e i loro legami non sono basati sulla libertà di una società intera, ma solo sul farti prendere in trappola dalla difesa e dalla sopravvivenza della sola piccola “tribù”. Chiunque ti abbia dato identità, una casa, uno spazio sicuro governato dalle sue regole –regole feudali/patriarcali/capitaliste/fasciste o in qualsivoglia modo violente – potrebbe attaccarti.
Uscire da queste relazioni personali velenose è il passo più difficile per molte persone. Mettere in discussione su questo punto te stessa e ciò per cui stai lottando, ciò in cui credi e speri, di che tipo di presente e futuro abbiamo bisogno, è la garanzia che tu non stia soltanto seguendo una mentalità distruttiva “spacchiamo tutto”. Specialmente il momento in cui capisci che è proprio per tutte quelle persone che stai lottando. Perché riguarda la società e te, connesse. Dopo molte lotte per questo, nel mentre, tiri avanti quando i tuoi amici muoiono, quando la tua società è continuamente sotto embargo, sotto pressione, quando succedono cose come Afrin o adesso Serekaniye. Il cambiamento avviene attraverso questi passaggi, ci sono così tante storie pesanti qui, in ogni famiglia, per ogni compagna.
I passi compiuti da tuttx fino a oggi hanno portato alla rivoluzione e a tutti i cambiamenti all’interno della società e del sistema. Perciò non è un BANG, è una lotta continua di tutti i giorni in cui dev’esserci piena chiarezza su quali valori stiamo rappresentando. Questo è rivoluzionario. Vivere la speranza, i cambiamenti, i valori che vuoi creare, per una società piena d’amore, democratica, ecologica, fatta di donne libere. E decidere di difendere tutti questi valori ad ogni costo. E per difendere qualcosa, c’è bisogno d’amore, di valori, solidarietà, creazione, responsabilità, un cuore e un pensiero enormi. Con tutto questo come approccio di base e generale, quando poi dobbiamo combattere con le armi, come qui, per la difesa pratica contro una minaccia come l’ISIS, lo Stato turco o qualsiasi Stato fascista, sarà una lotta rivoluzionaria – in cui la lotta armata è soltanto un passaggio e non lo scopo.
Sviluppare coscientemente una lotta comune contro l’attacco del sistema sulla società e sull’individuo e contro la percezione che vuole creare, non è più un dovere che si può posticipare.
La modernità capitalista, l’ultimo stadio del sistema di civilizzazione dominante, ha raggiunto la sua posizione più distruttiva contro l’umanità. Con le sue illimitate pratiche di potere, guerre, massacri e politiche che uccidono la società nel XXI secolo, proclama che non c’è niente da dire in difesa di quelli che lottano per la società. Mentre ci si aspetta che la società preferisca l’angoscia dei post-modernisti, il fatalismo creato dal dogmatismo o la definizione di liberazione sviluppata dal liberismo a dispetto di tutta la distruttività della modernità capitalista, si richiede che la modernità capitalista sia accettata e lasciata senza replica o contro-azione. La propaganda sostiene che sia giunta la fine della storia, e che la modernità capitalista sia la verità eterna, decidendo in anticipo che non può esistere una società differente. Il sistema più prepotente della storia si dichiara come storia e società dall’inizio alla fine.
La pulizia etnica sviluppata dalle strutture dello Stato-nazione, il fatto che la natura sia stata portata sull’orlo del fallimento attraverso l’industrialismo e la distruzione del sistema economico e sanitario da parte dei giochi finanziari non rivelano soltanto gli attacchi da parte del sistema, ma forniscono anche dati importanti sull’insostenibilità del sistema. L’esplosione della popolazione, il peggioramento dei problemi sociali, l’esistenza di regimi autoritari, la distruzione ecologica, l’iniquità del reddito, i conflitti di classe, lo sfruttamento di genere, la distruzione e l’omogenizzazione delle differenze sociali, la degenerazione morale, la virtualizzazione della vita, l’armamento nucleare e l’attuale Terza Guerra Mondiale sono solo alcune delle principali questioni che possono essere elencate come prove del peggioramento della crisi strutturale del sistema.
Il più recente esempio di ciò è il COVID-19. La crisi pandemica che stiamo vivendo porta quasi a compimento il fallimento del neoliberismo, l’ideologia della modernità capitalista. Ci mostra che il sistema di assistenza sanitaria è soltanto per le élite. Infligge un danno letale alla società, distrugge la natura e le relazioni sociali e porta a gravi disastri inevitabili. Sfortunatamente, questo sistema sta tentando di sottomettere l’intera società caricandola della responsabilità di una malattia infettiva e mortale per cui in primo luogo ha preparato il terreno. Vuole che la società sia colpevole e spaventata da sé stessa, suggerendo che tutti siamo sulla stessa barca. Sì, il COVID-19 colpisce tutti, ma l’élite, i ricchi e i dirigenti del sistema, usano le opportunità create dallo sforzo e dalle tasse della società per evitare la malattia, mentre la classe povera e lavoratrice è lasciata a morire. Per non morire, viene consigliato di cavarsela da soli. “Non vedetevi, non toccatevi, nascondetevi” ecc. sono forniti obbligatoriamente come gli unici mezzi per proteggersi. Perché il sistema non può essere la risposta, ha investito soprattutto nel profitto e nel capitale e non in progetti che proteggeranno la società da possibili crisi, specialmente nel campo della salute. Poiché il sistema dà priorità all’economia di guerra e alla produzione e al consumo di beni non necessari e superflui, che crede portino più profitto, la società ora è di fronte ad una questione di vita o di morte. E ora il sistema vuole mettere le persone di fronte alla scelta di morire o sostenere la sua strategia per rafforzarsi, diventando più dipendenti da esso.
Di nuovo, l’armonia soprattutto fisica, intellettuale, spirituale e vitale dell’individuo e della società e gli aspetti politici e sociali della vita umana sono divisi e alienati dalla vita e dalla società. Il desiderio è organizzare la relazione tra le persone e le loro attività non per il bene generale della società e dell’individuo, ma per gli interessi del potere e dell’egemonia. Questo, insieme alla creazione di una grossa dissonanza nella società, ha rotto la struttura morale che è al centro della società e punta a rompere il legame tra la moralità e la libertà. La presenza di uguaglianza e armonia nell’economia, nella politica, nella salute, nell’educazione e nella vita ecologica porta a integrità morale, mentre la disarmonia e la segregazione portano alla disgregazione morale.
La politica e la cultura di produzione del sistema
Per superare la crisi strutturale del sistema e per assicurare la sua continuità, è stata messa in pratica la cultura consumistica. I rappresentanti del sistema finanziario-capitalistico traggono il loro potere da questo meccanismo culturale di operazione e modalità di produzione. Hanno preso il controllo sui nemici del patriarcato e sullo sfruttamento di umani, natura, società, e soprattutto delle donne. Combinato questo con le loro politiche di produzione degli ultimi 500 anni, soprattutto le loro politiche di consumo dal XIX secolo in poi, possiamo vedere che stanno continuando a costruire il loro sistema contro la natura e contro la società. Il pensiero disumano e la “politica e cultura della produzione”, originati da una logica puramente orientata al profitto e allo sfruttamento, sono estranei alla natura sociale, e la politica e la cultura del consumo che ha fondato nel corso dello scorso secolo è altrettanto estranea alla realtà e alla natura della società. Mentre nella precedente rivoluzione industriale l’obiettivo principale era prendere possesso delle risorse naturali, trasferire queste materie prime nelle aree di produzione capitalista e costruire tutte le relazioni sociali attraverso la produzione di nuovi beni, nel XX secolo il consumo di questi beni prodotti è diventato l’obiettivo principale.
Non è né facile né senza ostacoli inserirsi all’interno della mentalità della società. Di conseguenza, per essere attraente e allo stesso tempo legittimarsi mentre si superano quegli ostacoli, la cultura del consumo usa metodi molto raffinati. Per esempio, si appoggia alla scienza, alla politica e ai campi filosofici e intellettuali per creare la percezione desiderata. La cultura del consumo non è una cultura creata dagli umani come risultato di relazioni naturali con la società e gli individui. È una cultura nuova ed efficace, realizzata per accelerare il funzionamento della società e della cultura industriale.
La globalizzazione del capitalismo e l’etica della Società e dell’Individuo
Se dividiamo la globalizzazione capitalista in tre fasi, nella prima fase vediamo il capitalismo commerciale e il colonialismo sviluppati tra il XV e il XVIII secolo. Vediamo la seconda fase della globalizzazione nell’imperialismo, che è emerso con il capitalismo industriale nel XIX secolo. Con la terza fase della globalizzazione, che è iniziata nel XX secolo, vediamo la globalizzazione attraverso il capitalismo finanziario e l’egemonia capitalista. Ora il sistema sta lavorando duramente affinché questa egemonia penetri e sia assorbita dall’anima di ogni individuo. La fase in cui siamo ora è una fase globalizzata di società del consumo, in cui il carattere cancerogeno del capitalismo è molto avanzato. Un aspetto importante di questa fase è il metodo in cui si fanno soldi dai soldi. L’usura, una volta fonte maledetta di malvagità, è diventata il principale aspetto del capitalismo odierno, anche se è sempre stata considerata come un fattore che corrompe la società e distrugge la moralità. Questo ora è diventato l’aspetto principale dei sistemi economici, sociali e politici del mondo.
Quando i teorici e gli scienziati del sistema capitalista descrivono l’individuo della società capitalista, propendono verso una “costruzione individuale” per cui l’unico fine nella vita dovrebbe essere il consumo, che fanno passare come “necessario e naturale”. L’obiettivo era creare un’economia e uno zeitgeist (“spirito del tempo”)basati su un individualismo che è volto esclusivamente al consumo, strappato via dalla morale della libertà e dall’estetica della vita. Per esempio, nel passato, una persona nella famiglia avrebbe lavorato e avrebbe provveduto ai bisogni della famiglia. Ora, anche se tutta la famiglia lavora, non riesce a raggiungere gli standard creati dalla società consumistica. Tutti devono lavorare, avendo un debito con gli usurai contemporanei. Con ciò, essa aumenta lo sfruttamento e fa in modo che tutti inseguano i beni di consumo che offre. È emersa una realtà sociale che insegue l’accesso a questi beni di consumo e i cui valori centrali sono stati impostati di conseguenza. La società è stritolata nella morsa del consumo e non ha più il vento in poppa.
D’altra parte, questo approccio di “moralità individualistica”, alimentato illimitatamente dalla scienza e della tecnica, trascina l’umanità nei disastri, nelle guerre folli, nella distruzione ambientale, nella brutalità e nel caos. Un consumo di massa viene creato per controbilanciare la produzione di massa capitalista. Il consumo evidenzia una concezione e una considerazione estetica, che sono distaccate dalla costruzione della società e dell’etica. Gli individui che sono prigionieri delle merci, come consumatori eccessivi, offrono ai monopoli capitalisti grosse opportunità di profitto. Come individui di una società che sono stati presi da una produzione quasi “religiosa”, vogliono essere resi il più possibile docili, assimilati e facilmente gestiti. Perciò, entrano in gioco fenomeni di formazione del concetto e della percezione, come la presentazione di sé puramente visiva, la predilezione, il desiderio di essere scelti, le preferenze arbitrarie e il formalismo eccessivo. L’individuo, indebolito e allontanato dal volere politico consapevole e dal potere, è ora diventato l’obiettivo delle politiche di consumo. Il deterioramento del sé e della forma è iniziato all’interno dell’individuo. Tutto è stato trasformato in un oggetto di consumo. L’individuo ritrae sé stesso come pronto per il consumo, facendo attenzione alla forma piuttosto che al contenuto, pretendendo piacere e soddisfazione.
Anche la bellezza unica di tutti i fiori, di tutti gli insetti, di tutte le ali decorate di farfalle colorate, il sapore unico delle varietà di frutta e verdura coltivate nel suolo e le bellezze uniche create da tutte le persone nella loro emozione spirituale e nel loro mondo intellettuale sono inseriti in questo declino. Si desidera che siano progettati dall’industria culturale anche gli aspetti spirituali che nutre ogni persona, come l’amore, il fascino e il senso del gusto. Si sta mettendo in pratica l’ingegneria orientata al profitto con uno sforzo sistematico su tutte le risorse negli umani, nelle piante e negli animali (in breve, tutti gli esseri viventi in natura). Attraverso la cultura del consumo, si spera che si estingua il significato della vita della società.
Perciò, il sistema vuole affrontare quelli che non sono stati presi e non si sono arresi ai desideri e alle tendenze materiali fisico-individualistiche, coloro che con la loro coscienza e con il cuore sono in una costante guerra con il sistema. La ricerca di auto-esistenza è consciamente distorta in tutte le aree della scienza, dall’economia alla politica, dalla sociologia alla psicologia, dalla storia all’utopia e dall’estetica alla legge. L’aspetto più toccante e paradossale è che il sistema ha il consenso individuale a questa distorsione con la convinzione che “sei libero, puoi scegliere e prendere ciò che vuoi, tu sei la determinante”. Comunque, con il COVID-19, possiamo vedere che questo non è vero. Al contrario, stiamo avendo prova di come il sistema in realtà renda l’individuo e la società inermi e vulnerabili. Forse non è bene dirlo, ma con questa malattia abbiamo l’opportunità di vedere alcune cose più approfonditamente e metterle sull’agenda dell’intera società. È importante vedere che il migliore contributo che possiamo dare a noi stessi e al nostro ambiente viene da noi e che dobbiamo organizzarci di conseguenza. Come dato di fatto, anche i rappresentanti del sistema, che stanno fallendo di fronte a questa malattia, si affidano alla società aspettando che essa offra una soluzione e prenda le precauzioni più efficaci. Infatti, facendo riferimento alla società nelle conferenze stampa quotidiane e attraverso le reti televisive e dei social media, stanno in effetti annunciando il fallimento del loro sistema.
Che tipo di lotta?
Sviluppare coscientemente una lotta comune contro l’attacco del sistema sulla società e sull’individuo e contro la percezione che vuole creare, non è più un dovere che si può posticipare. È importante rafforzare quelle esistenti e anche prendere parte alle lotte sociali che svilupperanno una soluzione alternativa alla crisi, che è diventata un aspetto strutturale del sistema, e alle formazioni che illumineranno la strada del successo. Con la consapevolezza che le scienze sociali attuali contribuiscono alla distorsione e pongono le basi degli inganni, è diventato urgente sviluppare metodi di verità sociale.
Il primo passo per uscire dalla crisi è attraverso l’individuo che fa parte di questa società, che può produrre la forza del significato richiesto per le lotte sociali costruendo un regime basato sul pensiero filosofico libero, che rigetti la mentalità della crisi. Anche se il capitalismo è globalizzato, trascende i singoli Paesi ed è intrecciato, il suo circolo vizioso di competizione dovuto alla sua legge di massimizzazione del profitto lo mette di fronte ad un problema strutturale. Comunque, il capitalismo prende atto che non sta più crescendo indefinitamente e che non può più ottenere i margini di profitto sperati. Questo danneggia la percezione del falso mondo artificiale e del costante progresso che ha creato nelle menti delle persone. Queste sono inevitabilmente le conseguenze della natura del capitalismo. È una buona cosa che il sistema debba affrontare tale caos senza poter offrire progetti concreti e soluzioni per superarlo. Questo è il motivo per cui il progetto di modernità democratica sempre presente sta entrando in scena con insistenza, prendendo forza dalla cultura storico-sociale. Un pioniere che applica questo localmente e pensa globalmente, diventando sia un rappresentante della vita che un esecutore pratico, può soddisfare i bisogni della democrazia e della libertà per la società.
Per proteggere la società da questa malattia e renderla autosufficiente, notiamo che non abbiamo bisogno dei metodi dello Stato e dei rappresentanti del sistema. Come ha fatto emergere questa epidemia, è necessario rafforzare le comuni e le assemblee che sono in diretto contatto con la società, anziché i metodi e gli strumenti inutili del sistema. L’individuo organizzato in comuni e assemblee protegge e risolleva sia se stesso che il suo ambiente.
Nelle ultime settimane abbiamo visto e sentito ancora una volta quanto sia importante preservare le nostre risorse naturali e il nostro stile di vita ecologico.
Questo significa costruire relazioni sane tra la natura e le persone e tra le persone.
Care amiche,
speriamo che stiate tutte bene e in salute!
Naturalmente anche noi abbiamo seguito le notizie e gli sviluppi del Corona virus. La sua diffusione e i suoi effetti a corto e lungo termine sulle nostre vite. Le misure prese dagli Stati. E i differenti approcci delle differenti società e i differenti gruppi che si sono formati in questo periodo per assicurare l’approvvigionamento dei loro distretti e per essere solidali l’uno con l’altro.
Soprattutto, possiamo vedere gli effetti che le misure come lo stato di emergenza, l’isolamento, le restrizioni sul lasciare la propria casa e l’interesse insufficiente hanno sulle donne. Da una parte, la violenza contro le donne è aumentata e il numero di femminicidi è cresciuto. Le donne che sono state licenziate dai loro lavori hanno più difficoltà a provvedere a loro stesse. D’altra parte, le donne nella situazione attuale hanno meno o nessuna possibilità di muoversi fuori da casa, scambiarsi informazioni, visitare spazi per donne, organizzarsi. Allo stesso tempo, la pressione per assumere ruoli tradizionali, che erano state capaci di superare prima, organizzandosi con altre donne e modellando le loro vite insieme, sta aumentando.
Nelle ultime settimane abbiamo visto e sentito ancora una volta quanto sia importante preservare le nostre risorse naturali e il nostro stile di vita ecologico. Questo significa costruire relazioni sane tra la natura e le persone e tra le persone.
Qui a Jinwar la vita continua. È importante che la vita continui e non si fermi. Organizziamo la nostra vita insieme e continuiamo il nostro lavoro. Qui, come donne non abbiamo esperienza di violenza nella nostra vita quotidiana e abbiamo l’opportunità di consultarci, approfondire le nostre relazioni, pianificare e discutere come vogliamo creare la nostra vita insieme.
Ci incontriamo come Consiglio ogni due settimane, discutendo la situazione politica attuale e i vari sviluppi nel villaggio, quali la nostra vita comunitaria o le azioni che abbiamo intrapreso. Inoltre valutiamo il lavoro dei diversi comitati nel villaggio. Questo significa che discutiamo quale progresso è stato fatto e se è necessario cambiare il nostro modo di lavorare. Con questa base pianifichiamo il lavoro per il tempo a venire. Insieme consideriamo quale di noi sarà responsabile di quale lavoro nel prossimo futuro. Inoltre, eleggiamo la portavoce del villaggio ogni mese.
Vediamo nella situazione attuale quanto sia importante sviluppare modi alternativi di sostentamento. Questo incoraggia lo sviluppo di economie locali e metodi di auto-sussistenza. Più siamo coinvolte da vicino nel nostro rifornimento economico, meglio possiamo reagire a situazioni eccezionali. In particolare, i gruppi che vivono e lavorano insieme principalmente in aree rurali sono più capaci di affrontare e reagire a cambiamenti nelle situazioni economiche. Allo stesso tempo, prenderci la responsabilità del nostro rifornimento significa anche una maggiore vicinanza al nostro ambiente e alla natura. Questo rafforza la nostra consapevolezza ecologica. Qui a Jinwar possiamo essere auto-sufficienti in molti modi. Abbiamo raccolto molte erbe e piante commestibili che crescono all’interno e intorno al villaggio. Inoltre abbiamo ancora cibo essiccato e conservato dall’anno scorso. Abbiamo fatto lo yogurt e il formaggio dal latte delle pecore del villaggio e diviso le uova del pollame nel villaggio. Varie volte a settimana continuiamo a sfornare pane nel panificio del villaggio con la farina che abbiamo macinato l’anno scorso. Quest’anno abbiamo arato di nuovo i campi e seminato grano, che è già cresciuto molto bene grazie alle molte piogge e al sole. Nelle scorse settimane, abbiamo piantato vari vegetali come i pomodori, i peperoni, le melanzane, i cetrioli e le cipolle nell’orto. Quest’anno abbiamo piantato con l’obiettivo di essere in grado di provvedere a noi stesse con gli ortaggi durante l’anno. Già negli scorsi anni abbiamo piantato centinaia di alberi da frutto. E quest’anno gli alberi di pesche e di albicocche stanno dando frutti per la prima volta!
I pannelli solari, che abbiamo installato all’inizio dell’anno, continuano a fornirci elettricità. Il nostro obiettivo è fornire all’intero villaggio energia solare e termica. Comunque, a causa della situazione attuale e del continuo embargo, non siamo ancora in grado di implementare il progetto.
Al momento le scuole sono chiuse in tutta la Confederazione della Siria del Nord e dell’Est. Anche a Jinwar, in quanto parte del sistema di educazione dell’autogoverno autonomo di questa regione, la scuola del villaggio “Dayika Uveyş” è chiusa. Uno dei progetti di Jinwar è l’ingrandimento della scuola. Vogliamo fornire un parco giochi ai bambini più piccoli e un parco giochi ai bambini più grandi.
Il 4 marzo, nella settimana di azione verso l’8 marzo, abbiamo aperto ufficialmente il centro di salute e guarigione del villaggio, chiamato “Şîfa Jin”. Dall’apertura ci sono state più di 200 visite al centro, principalmente di donne e dei loro figli dalle zone circostanti, alcune delle quali sono venute più volte per terapie. La squadra di Şîfa Jin consiste in sei donne, due di loro vengono al villaggio da villaggi della zona per lavorare nel centro di guarigione. Due donne del gruppo hanno già acquisito molta esperienza in medicina e guarigione naturale. Tramandano questa conoscenza durante il lavoro nel centro di guarigione o attraverso regolari seminari e laboratori. Al momento si sta tenendo un seminario sulla gravidanza e la nascita, perché stiamo anche pianificando di eseguire assistenza in gravidanza e parti.
Immediatamente dopo l’apertura del centro di guarigione, la squadra ha presentato il centro di guarigione alle donne in vari villaggi della zona e tenuto seminari.
Oltre che per le terapie, il centro di guarigione in sé è un importante spazio per le donne, perché possono incontrare altre donne e condividere le loro esperienze e la loro conoscenza. Già questo contribuisce al rafforzamento della loro salute e alla guarigione.
Molte donne vogliono anche istruire loro stesse nel centro di guarigione. Appena la situazione cambierà, inviteremo le donne e terremo seminari.
Speriamo di avervi potuto dare informazioni utili con questa newsletter. Naturalmente, ci sono ancora molte cose che non abbiamo menzionato qui, ma che arricchiscono la nostra vita quotidiana, come la nascita degli agnelli o i piccoli frutti verdi sull’albero di pesche, o le nostre serate insieme intorno al fuoco, dove abbiamo cantato e ballato, il canto degli uccelli, il tè insieme al tramonto, le passeggiate verso il campo di cardi o il giorno in cui abbiamo avuto un grande pasto in comune insieme. Una volta all’anno prepariamo un grandioso pasto a cui sono invitate amiche da tutta l’area. Secondo la tradizione, ci sarà un ricco raccolto se la pioggia arriva mentre si sta mangiando insieme. Siamo liete di annunciarvi che ha piovuto!
Siamo felici di ricevere riscontri, idee e suggerimenti. Scriveteci se volete condividere i vostri pensieri e le vostre domande. E vi auguriamo molta forza per i tempi a venire!
9 gennaio 2013: Ömer Güney, su mandato dei servizi segreti turchi, assassina tre attiviste curde, Fidan Doğan, Sakine Cansiz e Leyla Şaylemez, nella sede del Centro Informazioni Kurdistan a Parigi. Fiumi di manifestanti scendono in strada in Europa e in Kurdistan. Solo ad Amed,città curda in Turchia, il 17 gennaio 2013 se ne contano decine di migliaia.
4 ottobre 2022: la giornalista curda Nagihan Akarsel, membro dell’Accademia di Jineoloji,e appartenente al comitato editoriale del “Jineolojî Journal”, viene assassinata a colpi di pistola a Sulaymaniyah,in Kurdistan iracheno,davanti alla porta di casa.
Nel 2022, in Kurdistan iracheno, oltre a Nagihan, sono state uccise altre cinque donne legate ai movimenti femminili curdi.
23 dicembre 2022: William Malet,di nazionalità francese,attacca il Centro culturale curdo “Ahmet-Kaya” di Parigi durante una riunione preparatoria per la commemorazione dell’assassinio del 2013. Perdono la vita Emine Kara (attivista), Mir Perwer (musicista) and Abdurrahman Kizil (pensionato).
“Sakine Cansiz è storia. È l’incarnazione del volto femminista del movimento di liberazione curdo. È la donna che ha sputato in faccia al suo aguzzino, quando era in prigione.” Cosi` scrive Dilar Dirik nel ricordare Sara. Co-fondatrice del PKK, simbolo di resistenza eroica in carcere, l’importanza di Sara nel movimento curdo e` tale che lo stesso Abdullah Öcalan le chiede di scrivere un libro sulla sua vita.
Leyla, heval Ronahî, figlia della diaspora curda in Europa, era un membro della gioventu` del PKK. Quando e` stata assassinata aveva appena 24 anni. Sempre Dilar Dirik, in un articolo pubblicato su “The Kurdistan Tribune”, ricorda cosi` Fidan: “Non conoscevo Fidan Doğan, perché per me era Rojbin. L’ho incontrata per la prima volta quando ero alle elementari. Io e la mia famiglia ci siamo subito innamorate di lei! Era così energica, sorrideva sempre. La sua voce è ancora nelle mie orecchie.”
Di Nagihan, scrive cosi` Zîlan Diyar del Comitato Europeo di Jineolojî:”Volevo iniziare con una poesia. Poi mi sono accorta che la poesia sei tu. Com’e` stato bello respirare la vita che sapeva di poesia.”
Emine,heval Evîn Goyî, e` arrivata in Europa dopo essere stata ferita nella battaglia per la liberazione di Raqqa dallo Stato Islamico. Prima di allora, aveva combattuto a Kobane e preso parte all’organizzazione dell’Amministrazione Autonoma.
Queste donne straordinarie, piene di dedizione e amore per la liberta, ci sono state sottratte. Piangiamo la loro morte, ma soprattutto celebriamo la loro vita. Raccogliamo la loro eredita` che parla di impegno e speranza. I loro esempi ci indicano la strada da percorrere per una vita libera, dignitosa e bella. E belle lo sono state, le nostre compagne: ben lontane dalla cupa immagine di pericolose terroriste costruita da dittatori e burocrati, il loro popolo le ricorda per l’amore sconfinato che hanno coltivato e per il coraggio con cui hanno lottato e vissuto.
E cosi` vogliamo ricordarle noi oggi.
Donna, vita, liberta`!
Note Il PKK e`attualmente inscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche mondiali,tale è ritenuto, tra gli altri, da Stati Uniti e Unione Europea. Nel gennaio 2020 la Corte di Cassazione belga ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Bruxelles secondo cui il PKK non dovrebbe essere classificato come organizzazione terroristica. A oggi non vi e` stato seguito a questa sentenza.
“I martiri non muoiono mai!” Si può sentire questo slogan del movimento kurdo durante i funerali, nei cortei che attraversano le città europee, lungo le frontiere. Queste parole vengono ripetute davanti agli scudi antisommossa e alle armi del nemico, con gli occhi fissi al cielo. “I martiri non muoiono mai!”
Ma quando sono nate? Nel fermento di una guerra infinita di cui sfuggono i veri disegni, avvolti nella nebbia di miti e immagini propagandistiche; sono nate nel passaggio dalla vita al sacrificio, dal volto al ritratto, dall’umano al simbolico, in cui non trova posto la giustizia o un cenno di verità.
Queste nebbie, questa propaganda, oscureranno per sempre un appartamento di Rue Lafayette 123, a Parigi, dove, in una notte del gennaio 2013, furono assassinate tre donne appartenenti a differenti organi del PKK. I loro nomi: Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez. Un’azione di guerra condotta nella capitale francese, le cui modalità e le cui ragioni sono ancora senza risposta, che forse non verrà mai data.
Il principale sospettato, Ömer Güney, muore in carcere per un tumore al cervello il 17 dicembre 2016. Un mese dopo avrebbe dovuto presentarsi davanti ai magistrati per l’apertura del procedimento giudiziario a suo carico, che invece si ferma; tuttavia, nell’estate del 2021 sembrava che potesse avere fine l’inerzia che aveva accompagnato le indagini. Restano così molte incertezze sulla dinamica di questo crimine, molte doppiezze e illusionismi.
Le tre vittime, uccise insieme nello stesso appartamento, avevano storie differenti. Leyla Söylemez, 24 anni, era una leader del movimento giovanile kurdo. Fidan Dogan, 30 anni, aveva un profilo molto più alto: era una pedina fondamentale negli sforzi diplomatici del movimento nelle capitali europee, ed era in contatto costante con politici francesi di rango elevato. Infine, Sakine Cansiz era una figura leggendaria del movimento curdo, conosciuta per la sua rettitudine e la sua austerità. Aveva 54 anni ed era ai vertici del movimento che aveva contribuito a fondare, insieme all’incontestato leader Abdullah Öcalan, ancora imprigionato.
I destini di queste tre militanti, parte dello stesso movimento e promotrici della stessa causa, sono stati spezzati in pochi secondi dalle pallottole di un assassino che ogni evidenza farebbe corrispondere a Ömer Güney, un personaggio dalla vicenda oscura da poco reclutato nel movimento curdo. Eppure Güney era diventato l’autista di Sakine Cansiz, un ruolo molto delicato per un personaggio così poco conosciuto. Proveniva da una famiglia affiliata all’estrema destra turca e da una regione in cui è molto diffuso il violento nazionalismo anticurdo; come ha potuto questo militante improbabile introdursi nel cuore del movimento curdo a Parigi in così poco tempo, fino al punto di poter avvicinare una figura importante come quella di Sakine?
La domanda è ancora più inquietante alla luce delle prove emerse dopo l’arresto di Güney, che mostrano i collegamenti di questo personaggio con i servizi segreti turchi, il MIT (Millî Istihbarat Teskilati). Le radici di questo caso affonderebbero perciò nei meandri più torbidi dello stato turco, in un momento fondamentale non solo per il conflitto con i curdi ma per la politica turca in generale.
In effetti, l’attentato fu perpetrato proprio mentre, nel 2013, era iniziato il processo di pace tra Ankara e il PKK, che non godeva di un unanime sostegno tra i servizi di sicurezza, allora parzialmente infiltrati dalla rete del predicatore Fetullah Gülen, già alleato di Recip Tayyip Erdogan nella sua ascesa al potere agli inizi degli anni Duemila. Chi poteva aver commissionato il triplice assassinio, elementi interni all’apparato di sicurezza che intendevano prevenire ogni possibile trattativa di pace tra le due parti? Nel corso del conflitto esploso nei mesi seguenti tra il campo di Erdogan e i gülenisti sono venute misteriosamente alla luce conversazioni tra Güney e membri dei servizi segreti turchi. In anni più recenti sono emerse altre evidenze che confermano questi rapporti. Perciò c’è da chiedersi, se questi assassinii sono stati ordinati da Ankara, l’ordine era ufficiale o proveniva da una fazione particolare dello stato turco, determinata a implementare il suo piano per aumentare le tensioni? E se fosse così, qual era l’obiettivo?
Nell’estate del 2021 l’affare potrebbe tornare a galla, in un momento in cui le relazioni tra Francia e Turchia, sensibilmente peggiorate negli ultimi anni, restano tese. Nonostante la morte di Güney, l’inchiesta potrebbe svilupparsi coinvolgendo possibili complici. Sebbene sia stato nominato un nuovo giudice istruttore, la magistratura non ha ancora avuto accesso alle registrazioni delle conversazioni fatte dai servizi francesi nei confronti di individui connessi al caso, e queste registrazioni sono ancora top secret. Comunque, importanti documenti analizzati dalla magistratura belga hanno portato altre prove sui rapporti del presunto assassino con i servizi segreti turchi.
Mentre continua l’attesa per gli sviluppi dell’inchiesta e prima di qualsiasi eventuale chiarimento sulle circostanze che portarono alla morte di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez, queste tre donne figurano oggi tra i principali martiri della causa kurda. In tutto l’arcipelago del movimento kurdo, dalle strade del nord-est della Siria a quelle d’Europa, della Turchia e dell’Iraq, i ritratti sulle loro tombe restano testimoni silenziosi. E i fili tagliati delle loro vite sono ancora persi nelle nebbie dei segreti di stato, nelle ombre più buie di un conflitto che continua a costare vite.
* Il testo che pubblichiamo è tratto dal libro fotografico di Maryam Ashrafi Rising among ruins, dancing amid bullets, Hemeria.
Ancora oggi l’inchiesta sull’attentato a Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez è a un punto fermo.
Questo dossier è stato presentato da Rete Jin Milano in occasione del 19 luglio 2022, ossia il decimo anniversario dalla liberazione di Kobane, definito come l’inizio della rivoluzione in Rojava.
Questa è una prima versione che verrà ampliata nel corso del tempo, andando ad approfondire sempre di più i legami economici tra lo Stato turco e quello italiano. In questa prima versione la ricerca si è concentrata su settore tessile, del turismo, della vendita di armi e una panoramica generale di quali sono le relazioni commerciali.
Questo lavoro è partito dall’esigenza di capire come si muove la politica internazionale e spiegare/spiegarci perchè ad Erdogan e allo stato turco siano permessi tali guerre nei confronti del popolo curdo e dell’Amministrazione Autonoma del Nord-Est della Siria.
— Riportiamo l’articolo pubblicato su Women Defend Rojava il 4 dicembre: https://womendefendrojava.net/en/2022/12/04/turkeys-current-attacks-on-the-autonomous-administration-of-north-and-east-syria/ —
Questo articolo si basa sul contributo di Iida Käyhkö al BRIEFING STAMPA e alla sessione di domande e risposte con Newroz Ahmed (SDF) Sugli attacchi della Turchia nel NE della Syria: https://www.youtube.com/watch?v=MYYvxo55gxE&t=2023s
Per capire il silenzio degli Stati occidentali di fronte agli ultimi attacchi dello Stato turco in Rojava, è fondamentale guardare al contesto geopolitico e sottolineare l’impatto che sta avendo il consenso globale del programma di sicurezza dello Stato turco.
La posizione dello Stato turco si è rafforzata grazie ai cambiamenti geopolitici successivi all’invasione russa dell’Ucraina. I piani della NATO di espansione in Finlandia e Svezia, e la necessità di mostrare un fronte unito, hanno dato alla Turchia l’opportunità di forzare la propria agenda.
Lo Stato turco vuole un consenso planetario con la sua propaganda – cioè quella che dipinge il movimento curdo per la libertà come terrorista. La Turchia è la seconda potenza militare nella NATO, ma sostiene che l’amministrazione autonoma di Rojava rappresenta una minaccia per la sua esistenza.
Non esistono prove o precedenti a sostegno di questa narrazione. Infatti, lo Stato turco ha continuato a tenere in piedi la sua alleanza con gruppi terroristici jihadisti e fascisti nei suoi tentativi di destabilizzare la regione. È stato lo stato turco che ha sostenuto gli attacchi ISIS nei confronti del Rojava. È lo Stato turco che sta attualmente attaccando le unità di difesa nel campo di Al-Hol per cercare di provocare una rinascita dell’ISIS. Consentire che lo Stato turco asserisca di combattere il terrorismo non è solo una farsa, è pericoloso.
Dobbiamo essere assolutamente chiari su questo punto: sono le continue aggressioni e violenze perpetrate dallo Stato turco a causare insicurezza e instabilità in tutta la regione. La Turchia usa la narrazione della guerra al terrorismo per spingere l’idea che la sicurezza nella regione può essere raggiunta solo attraverso l’annientamento totale dei movimenti politici curdi.
Sia chiaro: per molti decenni, la Turchia è stata sostenuta dalla NATO, sia militarmente che politicamente, nei suoi attacchi al Kurdistan. Il mondo è rimasto a guardare mentre la Turchia massacrava i curdi, imprigionava decine di migliaia di persone per piccoli atti di dissidenza e compiva attacchi illegali e sanguinosi in tutto il Kurdistan. Gli alleati della NATO hanno continuato a vendere armi alla Turchia e si sono detti d’accordo con le cosiddette preoccupazioni di sicurezza della Turchia, dichiarando per tutto il tempo di essere in favore della libertà e della democrazia.
Come se non bastasse, gli alleati NATO della Turchia e altri Stati occidentali attaccano i curdi e i loro alleati al di fuori del Kurdistan, per conto della Turchia. Lo Stato turco ha coerentemente spinto gli Stati occidentali a criminalizzare il Movimento Curdo per la Libertà e ad utilizzare la legislazione antiterrorismo per colpire le organizzazioni curde. Gli Stati della NATO che continuano ad aiutare la Turchia nei suoi attacchi contro il movimento curdo per la libertà criminalizzano anche coloro che all’interno dei loro confini cercano di influenzare o criticare questa politica estera. Questa repressione politica ha un effetto estremamente dannoso sull’organizzazione della solidarietà e la creazione di un fronte popolare efficace per resistere al genocidio e alla guerra in Kurdistan.
Le comunità curde, così come gli attivisti solidali, affrontano incursioni, arresti, imprigionamento e deportazione per la loro partecipazione all’attività politica, organizzazione della comunità e lobbying diplomatica. Tutto ciò avviene nell’ambito della legislazione antiterrorismo, che conferisce agli Stati poteri eccezionalmente ampi e brutali. Il movimento di liberazione curdo chiama queste tattiche “guerra speciale” – perché sono un’estensione cruciale della guerra in Kurdistan. Senza questa criminalizzazione, gli Stati occidentali dovrebbero affrontare sfide molto più grandi alla loro complicità negli attacchi dello Stato turco.
Nell’ultimo decennio, l’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale ha offerto al mondo la possibilità di vedere come può funzionare la democrazia di base, basata sulla liberazione delle donne. Ci ha mostrato la possibilità di creare un’alternativa radicale al sistema dominante di disuguaglianza, conflitto e patriarcato.
Per le donne ovunque, Rojava si pone come un esempio di ciò che l’azione anti-patriarcale organizzata può ottenere – dalla creazione di spazi di libertà e organizzazione collettiva nelle comunità, per sconfiggere l’ISIS sui campi di battaglia, a ispirare e sostenere le donne in tutto il Kurdistan e nel mondo per difendersi contro l’oppressione.
Possiamo vedere questo impatto nelle proteste e le rivolte che continuano in tutto l’Iran e Rojhelat dopo la morte di Jina Mahsa Amini, dove le donne hanno adottato lo slogan Jin, Jiyan, azadî, che ha le sue radici nel movimento ci liberazione curdo.
È necessario che gli Stati occidentali respingano la narrazione sulla sicurezza della Turchia e trovino soluzioni politiche che rispettino i progressi democratici compiuti in Rojava. Quelli di noi che vivono in Occidente devono resistere alla criminalizzazione e unirsi all’appello a difendere il Kurdistan. Questa è l’unica strada per una pace duratura.